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RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO |
(pag. 6)

Ma non potei beneficiare a lungo della direzione del
mio diletto e saggio starets: egli morì sul finire dell’estate. Gli dissi addio
con le lacrime agli occhi e, ringraziandolo per il suo paterno insegnamento,
gli chiesi di lasciarmi come benedizione il rosario con cui aveva sempre
pregato. Così rimasi solo. L’estate finì, si raccolsero i frutti dell’orto; non
avevo più un tetto. Il contadino mi diede due rubli d’argento per salario,
riempì il mio sacco di pane per il viaggio e io ripresi la mia vita errante, ma
non ero più povero come un tempo: l’invocazione del nome di Gesù Cristo mi
sosteneva lungo il cammino e tutti mi trattavano con bontà; pareva che tutti si
fossero messi a volermi bene.
Un giorno mi chiesi che cosa avrei potuto fare con i
rubli che mi aveva dato il contadino. A che cosa mi servono? Ah, ecco: non ho
più lo starets, non ho alcuno che mi serva di guida. Mi vado a comprare una
Filocalia; ne trovai una, sì, ma il negoziante voleva tre rubli e io non ne
avevo che due. Ebbi un bel contrattare, non volle scendere di un centesimo;
alla fine mi disse:
– Va’ un po’ a vedere in questa chiesa, qui accanto.
Chiedi del sagrestano. So che ha un vecchio libro come questo, e forse te lo
cederà per due rubli.
Vi andai e infatti potei acquistare per due rubli una
Filocalia quanto mai vecchia e sciupata. La aggiustai come mi fu possibile con
della tela e la misi nel mio sacco in compagnia della Bibbia.
E ora eccomi pellegrino, recitando senza posa la
preghiera di Gesù che mi è più cara e più dolce di ogni altra cosa al mondo.
Talvolta percorro più di settanta verste in un giorno e non mi accorgo di
camminare; sento soltanto che recito la preghiera. Quando un freddo violento mi
colpisce, recito la preghiera con maggior attenzione e ben presto mi sento
caldo e confortato. Se la fame si fa troppo insistente, invoco più spesso il
nome di Gesù Cristo e non mi ricordo più di aver avuto fame. Se mi sento male e
la schiena o le gambe mi dolgono, mi concentro nella preghiera di Gesù e non
sento più dolore. Quando qualcuno mi insulta, non penso che alla benefica
preghiera di Gesù; immediatamente collera o pena svaniscono e dimentico tutto.
Il mio spirito è diventato semplice, veramente. Non mi do pena per nulla, nulla
mi occupa, nulla di quanto è esteriore mi trattiene; vorrei essere sempre in
solitudine; per abitudine, non ho che un bisogno solo: recitare senza posa la
preghiera, e quando lo faccio divento allegro. Dio sa che cosa si compie in me.
Naturalmente tutte queste cose sono soltanto impressioni sensibili o, come
diceva lo starets, l’effetto della natura e di un’abitudine acquisita; ma non
oso ancora mettermi a studiare la preghiera nell’intimo del cuore, sono troppo
indegno e troppo stupido. Aspetto l’ora di Dio sperando nella preghiera del mio
starets defunto. Così non sono giunto ancora alla preghiera spirituale del
cuore, spontanea e perpetua: ma, grazie a Dio, comprendo chiaramente ora quel
che significa la parola dell’Apostolo che avevo udita un tempo: Pregate senza
posa.
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