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UN RACCONTO PER L'ESTATE |
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 12)
Continuammo a parlare, e quell’uomo semplice mi
raccontò la sua vita e le sue idee. – Nel mio villaggio – disse – non ero mica
l’ultimo arrivato; avevo un mestiere, tingevo i tessuti in rosso e blu; vivevo
benino, ma da peccatore: ingannavo volentieri i miei clienti e bestemmiavo a
ogni occasione; ero volgare, ubriacone e attaccabrighe. In quel villaggio c’era
un cantastorie che possedeva un libro vecchio sul Giudizio finale e spesso egli
andava per le case dei fedeli ortodossi a leggerne dei passi, e gli si dava un
po’ di denaro. Veniva anche da me. Di solito gli si dava cinque soldi e quello
rimaneva a leggere fino al canto del gallo. Una volta che, pur prestando
orecchio alla lettura, io stavo lavorando, egli lesse un passo sui tormenti
dell’inferno e sulla risurrezione dei morti, come Dio verrà a giudicare, come
gli Angeli faranno squillare le trombe, e il fuoco e la pece che vi saranno, e
i vermi che divoreranno i peccatori. A un tratto provai uno spavento terribile,
e mi dissi: "Io non me la cavo, no certo! Questi tormenti sono anche per
me. Qua è meglio che mi metta a salvare l’anima mia e forse riuscirò a farmi
perdonare i miei peccati". Ci pensai su a lungo e alla fine decisi di
abbandonare il mio mestiere; vendetti casa e bottega, e dal momento che non
avevo famiglia, divenni guardaboschi, non chiedendo per salario che il pane,
qualcosa per coprirmi e qualche cero da accendere durante la preghiera. Sono
qui ormai da più di dieci anni. Non mangio che una volta al giorno e mi
accontento di pane e acqua. Ogni notte mi alzo al canto del gallo e fino alle
prime luci del giorno faccio le mie genuflessioni e i miei inchini fino a
terra; quando prego; accendo sette ceri davanti all’icona. Di giorno, quando
percorro la foresta, porto sulla pelle delle catene di settanta libbre. Non bestemmio,
non bevo birra né alcool, non litigo con alcuno; delle donne ho sempre fatto a
meno. All’inizio ero piuttosto contento di vivere così, ma a lungo andare per
forza sono assalito da considerazioni che non posso mandar via. Dio solo sa se
io riscatterò i miei peccati, ma intanto questa vita è proprio dura. E poi, è
vero quello che il libro racconta? Come fa l’uomo a risuscitare? Quelli che
sono morti da cent’anni e più sono polvere ed è sparita anche quella. E poi, ci
sarà o non ci sarà un inferno? In ogni caso, nessuno è mai tornato dall’altro
mondo; quando l’uomo muore, si putrefà e non ne rimangono più tracce. Questo
libro forse l’hanno scritto i preti per far paura a noi ignoranti, e per
tenerci più sottomessi. Così si vive male, senza un po’ di consolazione su
questa terra, e poi nell’altro mondo non troveremo nulla! Allora ne vale
proprio la pena? Non è meglio avere un bel po’ di tempo subito? Queste idee non
mi danno pace – aggiunse – e ho paura di dover riprendere il mio vecchio
mestiere. Ero pieno di pietà per lui e mi dicevo: "Si dice che solo i
sapienti e gli intellettuali diventano liberi pensatori e non credono più a
nulla, ma i nostri fratelli, i semplici contadini, sanno fabbricarsi da sé una
bella incredulità! Certamente il mondo delle tenebre fa presa su tutti e forse
più facilmente ancora sui semplici. Bisogna ragionare fin dove è possibile e
fortificarsi contro il nemico con la parola di Dio". Così per sostenere un
poco il fratello e rinsaldare la sua fede, trassi dal sacco la Filocalia e
l’aprii al capitolo 109 del beato Esichio. Glielo lessi, e spiegai che non ci
si astiene dal peccare solo per timore del castigo, perché l’anima non può
liberarsi dai pensieri colpevoli che con la vigilanza dello spirito e la purità
del cuore. Tutto si acquista con la preghiera interiore. Se qualcuno si mette
sulla via dell’ascetica, non solo per timore dei tormenti dell’inferno ma anche
per desiderio del Regno celeste – aggiunsi – i Padri paragonano la sua azione a
quella di un mercenario. Ma Dio vuole che noi veniamo a Lui come figli, vuole
che l’amore e lo zelo ci spingano a comportarci in modo degno e che godiamo
dell’unione perfetta con Lui nell’anima e nel cuore. Puoi fare quel che vuoi;
logorarti, importi le prove e le penitenze fisiche più dure, ma se non hai Dio
sempre nello spirito e la preghiera di Gesù nel cuore, non sarai mai al riparo
dai cattivi pensieri; sarai sempre pronto a peccare alla prima occasione.
Mettiti dunque, fratello, a recitare senza posa la preghiera di Gesù; ti sarà
facile farlo in questa solitudine; ti accorgerai presto del suo benefico
effetto. Le idee empie spariranno, la fede e l’amore per Gesù Cristo si
riveleranno a te; capirai come i morti possono risuscitare e il Giudizio ultimo
ti apparirà quello che realmente è. E nel tuo cuore ci sarà tanta leggerezza e
tata gioia che ne sarai meravigliato; non ti sentirai più stanco o turbato per
la tua vita di penitenza! Gli spiegai poi come meglio potevo il modo di
recitare la preghiera di Gesù, secondo il comandamento divino e gli
insegnamenti dei Padri. Il guardaboschi non chiedeva di meglio e la sua
inquietudine diminuì. Allora, congedandomi da lui, entrati nella vecchia
capanna che mi aveva indicata.
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