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RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO |
(pag. 11)
Lo seguii; dopo un duecento metri, scorsi tra gli
alberi il cane che da una tana sporgeva solo il muso e abbaiava. Vidi
avvicinarsi tra gli alberi un contadino magro e pallido, di mezza età. Mi
chiese come fossi arrivato fin là. Io a mia volta gli domandai che cosa facesse
lui in un luogo così desolato; e scambiammo così qualche frase amichevole. Il
contadino mi pregò di entrare nella sua capanna e mi spiegò che era guardaboschi
e sorvegliava la foresta che doveva essere tutta tagliata. Mi offrì pane e
sale, e la conversazione si fece serrata. – Io invidio la vita solitaria che
conduci – gli dissi –, non è come la mia, sempre errante e a contatto con
tutti. – Se vuoi – mi disse – puoi vivere benissimo qui; c’è poco lontano una
vecchia capanna che era servita alla guardia forestale di prima. È un po’
malconcia, ma per l’estate uno può arrangiarsi alla meglio. Hai un passaporto.
C’è pane abbastanza per due; me ne portano ogni settimana dal nostro villaggio,
e il ruscello qui accanto non manca mai d’acqua. Quanto a me, fratello, sono
dieci anni che non mangio altro che pane e non bevo altro che acqua. Solo in
autunno, quando i lavori dei campi saranno finiti, verranno qui duecento uomini
per il taglio della foresta; io non avrò più nulla da fare qui, e non sarà
nemmeno a te di rimanere. A queste parole mi invase una gioia così grande che
per poco non mi gettai ai suoi piedi. Non sapevo come ringraziare Dio della sua
bontà verso di me. Tutto quello che desideravo e per cui mi affannavo l’avevo
improvvisamente raggiunto. Prima della metà dell’autunno c’erano ancora due
mesi, e durante quel periodo potevo approfittare del silenzio e della pace per
studiare con l’aiuto della Filocalia la preghiera perpetua nell’intimo del
cuore. Così decisi di accomodarmi alla meglio nella capanna.

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