IL TEMPO DELL’UMILTA’
La quaresima porta sempre con sé un bagaglio di domande che ci mettono in crisi se non in difficoltà con noi stessi.
È un tempo di riflessione, di scandaglio interiore, di rinunce concrete; tempo di fermarsi a fare un attimo i conti con se stessi; è il tempo in cui occorre raccontarsi tante verità taciute, dolorose, spesso scomode, spesso volutamente ignorate perché superano la nostra capacità di integrarle nel nostro vissuto, perché stonano, disorientano, fanno male, fanno star male.
Tutto ciò che non viene integrato nel tessuto della propria esistenza, finisce con il disintegrare l’esistenza stessa.
Quel qualcosa di cui non si vuole prendere coscienza, non svanisce solo per il fatto che noi scegliamo di ignorarlo, di fingere che non ci sia.
Quel qualcosa di invisibile, ma di reale allo stesso tempo, fa un suo percorso ben preciso e se non trova la soluzione di cui ha bisogno comincia a rodere, a lacerare, a corrodere anche il buono e il bello che sicuramente c’è in ognuno.
Integrare in sé ciò che non si vuole o non si sa come fare rende inquieti, angosciati, suscita quel lieve malessere che serpeggia dentro i tuoi pensieri e ti rendono incapace di gestire la tua emotività, la tua interiorità, la tua spiritualità, la tua vita tutta intera, vita in cui la serenità si riduce sempre più, la gioia si spegne lentamente come una candela e il malessere avanza.
È una situazione sicuramente non bella da vivere, ma sono pochi quelli che possono dire di non esserci mai passati… pochissimi… se non rari.
La vita molte volte va in pezzi, si rompe in mille frantumi come un vaso di cristallo che scivola dalle mani, tutto crolla come un castello di sabbia per la fragilità della nostra condizione ed anche per quella nostra difficoltà nell’ integrare ciò che non riusciamo ad accettare, ad ammettere, a confessare a noi stessi, perché facciamo fatica a prenderci le nostre responsabilità, ad accettare le conseguenze dei nostri comportamenti, non sempre corretti.
È difficile fare i conti con se stessi, si è più spesso perdenti con se stessi che con gli altri, perché il giudice più severo è la propria coscienza.
Si usa dire ‘’Dio perdona, io no’’, per dire che il Signore è grande anche perché ci perdona cose grandi, mentre noi siamo piccoli proprio perché non riusciamo a perdonarci nemmeno le cose più piccole.
Piccole cose che spesso ingigantiamo, grandi cose che troppo facilmente riduciamo o ignoriamo.
Nell’uno o nell’altro caso, la conseguenza è sempre quel sottile malessere che ti toglie la gioia di vivere, ti fa perdere di vista l’essenziale, l’importanza e la necessità dell’essenziale: la verità!
La verità rende liberi, si legge nel Vangelo, ma la verità ha sempre un costo molto alto, perché la verità è un bene prezioso e ciò che è prezioso ha un valore inestimabile.
La Quaresima è proprio questo: tempo di sincerità, tempo di verità, tempo di umiltà… ed è forse proprio quest’ultima la cosa più difficile: essere umili significa piegarsi, non spezzarsi, farsi flessibile, docile, assumere un atteggiamento di sottomissione a se stessi, alla propria volontà, così difficile da piegare, spesso tanto inflessibile da vanificare ogni sforzo.
Umiltà non è umiliazione.
Umiltà è riconoscere la propria condizione di creatura davanti al Creatore, ciò richiede la sottomissione del proprio orgoglio, della propria superbia che fanno credere di essere superiori a tutti, anche a Dio, l’orgoglio è un demone invincibile, radicatissimo, inestirpabile, sin dai primi anni di vita … l’orgoglio di sé si vince solo con un atto di umiltà.
Un atto di umiltà non è proprio la cosa più facile, perché l’orgoglio è scaltro, porta a giustificare, sottovalutare, sviare, ridurre, sminuire, semplificare, nascondere, ingannare se stessi… l’umiltà fatica a farsi strada e spesso si perde per strada come tutti i buoni propositi, come tutte le buone intenzioni.
La forza dell’umiltà perde vigore, sfiancata dalla prepotenza dell’orgoglio, così piano piano s’arrende, si lascia atterrare da una forza superiore che fa di tutto per non cedere alla Verità.
Sì, bella prova di coraggio è quella di inginocchiarsi davanti ad un confessore, davanti a Dio e dire: Padre ho peccato contro di Te e contro il cielo…
Padre ho peccato!
La frase più difficile in assoluto, perché l’imbarazzo, la vergogna, la difficoltà con se stessi, il dover piegare se stessi come un giunco e considerarsi capaci di peccare, ammettere con se stessi di aver compiuto qualcosa di non degno, di non buono, di non giusto… è una fatica che supera le nostre forze.
In questi casi, ci vengono incontro altre pratiche, direi ascetiche, ma forse solo semplicemente ‘’umane’’, cioè alla nostra portata, di uso quotidiano, pratiche a misura di tutti, perché semplici da realizzare, tipo il digiuno, la rinuncia, la preghiera.
Si sottovalutano molto, nei nostri tempi, queste pratiche, spesso sembra ridicolo il praticarle oggi, nell’era del benessere, nei tempi del ‘’tutto è possibile’’; quando si pensa ad esse la mente automaticamente torna indietro, al Medioevo, ai tempi in cui la rinuncia veniva spontanea perché il cibo mancava, il rigore morale portava a flagellare il proprio corpo per l’intemperanza dello spirito, a portare su di sé il segno dell’orgoglio ferito e sottomesso.
L’umiltà, però, lo sappiamo, non ha Tempo, non è né di oggi né di ieri, l’umiltà è dell’uomo che vuole essere se stesso! Sempre !
Dell’uomo che si riconosce tale e che vuole ristabilire in sé un equilibrio che lo porta a vivere la sua esistenza così come è stata concepita, il suo rapporto con se stesso, con gli altri e con Dio così come dovrebbe essere: di servizio.
L’umiltà è un servizio che si rende a se stessi.
Che si rende al prossimo.
Che si rende a Dio.
A se stessi perché è la prova che ci si vuol bene: non è l’ergermi a padrone assoluto della mia vita che mi fa forte o importante, ma il riconoscere la Verità, quella di essere ‘’polvere’’, quella di essere bisognoso di una Mano e di un Soffio che dia vita a questo ‘’pugno di fango’’, a questa ‘’cenere’’ di cui siamo fatti.
Al prossimo perché ristabilendo l’equilibrio dentro di me, sono portato a vivere i rapporti interpersonali con maggiore giustizia, rispetto, semplicità, genuinità, in poche parole… più umanamente.
A Dio perché si riconosce la sua Regalità, la Sua Misericordia, la Sua Giustizia e ci si rimette alla Sua Bontà, ci si sottomette alla Sua Carità.
Tutto viene riequilibrato, riportato alla giusta misura, all’essenziale, a ciò che deve essere.
Per capire la difficoltà di tutto questo ed anche l’inganno di cui si potrebbe essere vittime nel praticare le forme di penitenza, quali il digiuno, la rinuncia… riporto due frammenti degli scritti di san Girolamo sull’umiltà e sul digiuno, che sono molto esplicative, parole incisive da incidere sul proprio cuore e tenerle sempre vive con lo sforzo quotidiano della propria vita…
L`umiltà, custode di tutte le virtù
Nessun`altra cosa devi ritenere che sia più pregevole e più amabile dell`umiltà, in quanto questa virtù è quella che ti preserva e che ti fa custode - per così dire - di tutte le altre virtù. Non c`è altro che ci rende così accetti agli uomini e a Dio del ritenerci all`ultimo posto per umiltà, anche se siamo in vista, grazie ai meriti della nostra vita. Tant`è vero che la Scrittura dice: Quanto più sei grande, tanto più ti devi umiliare, e allora troverai grazia davanti a Dio (Sir 3,18); e Dio fa dire al profeta: Su chi altro mi poserò, se non su chi è umile, in pace, e timoroso delle mie parole? (Is 66,2). L`umiltà a cui devi tendere, però, non è quella che si mette in vista e che viene simulata dal portamento esteriore o dalle parole sussurrate a metà, ma quella che lascia trasparire un genuino sentimento interiore. Una cosa, infatti, è avere una virtù, e altra cosa lo scimmiottarla; una cosa è andare dietro a un`ombra di realtà, e altra cosa è seguire la verità.
Quella superbia che si nasconde sotto certi accorgimenti di umiltà è molto più mostruosa.
Non so perché, ma i vizi che si mascherano con apparenze virtuose sono molto più ripugnanti
(Girolamo, Le Lettere, IV, 148,20 - a Celanzia)
Digiuno incompleto
Se digiuni due giorni, non ti credere per questo migliore di chi non ha digiunato. Tu digiuni e magari t`arrabbi; un altro mangia, ma forse pratica la dolcezza; tu sfoghi la tensione dello spirito e la fame dello stomaco altercando; lui, al contrario, si nutre con moderazione e rende grazie a Dio. Perciò Isaia esclama ogni giorno: Non è questo il digiuno che io ho scelto, dice il Signore (Is 58,5), e ancora: Nei giorni di digiuno si scoprono le vostre pretese, voi tormentate i dipendenti, digiunate fra processi e litigi, e prendete a pugni il debole: che vi serve digiunare in mio onore? (Is 58,3-4). Che razza di digiuno vuoi che sia quello che lascia persistere immutata l`ira, non dico un`intera notte, ma un intero ciclo lunare e di più? Quando rifletti su te stessa non fondare la tua gloria sulla
caduta altrui, ma sul valore stesso della tua azione.