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UN RACCONTO PER L'ESTATE |
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 31)

Venne un giorno da noi un vecchio mendicante che non
si reggeva più in piedi; aveva il passaporto di un soldato liberato ed era così
povero che andava in giro quasi nudo; parlava poco e proprio come un contadino.
Lo accogliemmo nell'asilo; dopo cinque giorni cadde malato, lo trasportammo nel
padiglione e mia moglie ed io ci occupammo esclusivamente di lui. Quando ci
rendemmo conto che stava per morire, facemmo venire il nostro prete che lo
confessò, gli diede la comunione e gli ultimi sacramenti. Il giorno prima di
morire si alzò, mi chiese un foglio di carta e una penna, e insistette perché
la porta rimanesse chiusa e nessuno entrasse mentre egli scriveva il suo
testamento, che avrei dovuto poi recapitare a suo figlio, a Pietroburgo. Rimasi
stupito, quando vidi che scriveva benissimo e le sue frasi erano veramente
corrette, eleganti e piene di affetto. Ti mostrerò domani quel testamento, ne
ho serbato una copia. Tutto questo mi meravigliò moltissimo e, spinto dalla
curiosità, gli chiesi di raccontarmi la sua origine e la sua vita. Egli mi fece
giurare che non ne avrei parlato con alcuno prima della sua morte, e per la
gloria di Dio mi fece questo racconto. – Ero un principe e ricchissimo;
conducevo la vita più dissipata, brillante e lussuosa che si possa immaginare.
Mia moglie era morta e vivevo con mio figlio, che era capitano della Guardia.
Una sera, mentre mi preparavo per andare a un ballo di gala, persi la calma
contro il mio cameriere; nella mia impazienza lo colpii alla testa e ordinai
che lo si rimandasse a casa sua. Questo avveniva la sera, e l'indomani il
domestico morì di una infiammazione al cervello. Ma non si diede molta
importanza alla cosa e, pur rimproverandomi la mia violenza, finii per
dimenticare l'accaduto. Dopo sei settimane, il cavaliere cominciò a comparire
nei miei sogni; ogni notte egli veniva a tormentarmi e a muovermi rimproveri,
ripetendo continuamente: – Uomo senza coscienza, tu mi hai ucciso! –. Poi lo
vidi anche mentre ero sveglio. L'apparizione divenne sempre più frequente, fino
a diventare l'assillo di ogni istante. A un certo momento, oltre a lui
cominciai a vedere anche altri morti, uomini che avevo offeso in modo
grossolano, donne che avevo sedotte. Tutti mi rivolgevano dei rimproveri e non
mi lasciavano più pace, tanto che non potevo più dormire né mangiare o fare
qualsiasi altra cosa; ero ormai all'estremo delle mie forze e la pelle si
attaccava alle ossa. Gli sforzi dei migliori medici non ottennero alcun
risultato. Partii allora per l'estero, ma dopo sei mesi di assidue cure, non
solo non avevo migliorato in nulla, ma le terribili apparizioni continuavano a
intensificarsi. Mi ricondussero a casa più morto che vivo; l'anima mia, prima
di venir separata dal corpo, ha conosciuto in pieno le torture dell'inferno; da
allora ho creduto all'inferno e ho saputo che cosa sia. In mezzo a quei
tormenti compresi finalmente la mia infamia, mi pentii, mi confessai, liberai
tutti i miei servi e feci voto di passare il resto della mia vita nei lavori
più duri e di nascondermi sotto le vesti di un mendicante per essere il più
umile servo della gente di infima condizione. Avevo appena preso con fermezza
questa decisione che le apparizioni cessarono di ossessionarmi. La mia
Riconciliazione con Dio mi dava una gioia tale, un tale sentimento di conforto
che non posso esprimerlo degnamente. Ho capito allora per esperienza che cosa è
il paradiso e che il regno di Dio si realizza all'interno dei nostri cuori. In
breve tempo mi rimisi completamente, misi in esecuzione il mio progetto e,
fornito del passaporto di un ex-soldato, lasciai segretamente il luogo della
mia nascita. Sono ormai quindici anni che vado errando per la Siberia. A volte
mi sono fatto assumere da contadini per dei lavori secondo le mie forze, altre
volte ho mendicato in nome di Cristo. Ah, in mezzo a tante privazioni, quale
felicità ho goduto! Quale beatitudine, quale pace della coscienza! Può
comprenderla solo colui che la misericordia divina ha tratto da un inferno di
dolore, per trasportarlo al paradiso di Dio. Con queste parole mi consegnò il
testamento, perché lo spedissi a suo figlio, e il giorno dopo morì. – Ecco, ne
ho una copia nella Bibbia che si trova nel mio sacco. Se lo volete leggere ve
lo mostrerò. Eccolo qua. Spiegai il foglio e lessi: "In nome di Dio
glorificato nella Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Carissimo figliolo, da
quindici anni tu non rivedi tuo padre, ma nella sua oscurità egli riceveva ogni
tanto notizie di te e nutriva per te un amore paterno. È questo amore che lo
spinge ora a inviarti queste ultime parole perché ti siano guida nella vita. Tu
sai quanto ho sofferto per riscattare la mia vita colpevole e leggera; ma tu
non sai la felicità che mi hanno data, durante questa vita oscura ed errante, i
frutti del pentimento. Muoio in pace presso il mio benefattore che è anche il
tuo perché i benefici fatti al padre devono raggiungere anche il figlio
affezionato. Esprimigli la mia riconoscenza con tutti i mezzi che sono in tuo
potere. Lasciandoti la mia paterna benedizione, ti esorto a ricordarti di Dio e
ad obbedire alla tua coscienza; sii buono, prudente e ragionevole; tratta con
benevolenza tutti i tuoi dipendenti, non disprezzare i mendicanti o i
pellegrini, memore che solo lo spogliamento di tutto e la vita errante hanno
permesso a tuo padre di trovare il riposo dell'anima. Pregando Dio che ti
accordi la sua grazia, chiudo gli occhi serenamente nella speranza della vita
eterna, grazie alla misericordia del Redentore degli uomini, Gesù Cristo".
È così che noi parlavamo con quel buon signore.
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