domenica 5 ottobre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 31)


 Venne un giorno da noi un vecchio mendicante che non si reggeva più in piedi; aveva il passaporto di un soldato liberato ed era così povero che andava in giro quasi nudo; parlava poco e proprio come un contadino. Lo accogliemmo nell'asilo; dopo cinque giorni cadde malato, lo trasportammo nel padiglione e mia moglie ed io ci occupammo esclusivamente di lui. Quando ci rendemmo conto che stava per morire, facemmo venire il nostro prete che lo confessò, gli diede la comunione e gli ultimi sacramenti. Il giorno prima di morire si alzò, mi chiese un foglio di carta e una penna, e insistette perché la porta rimanesse chiusa e nessuno entrasse mentre egli scriveva il suo testamento, che avrei dovuto poi recapitare a suo figlio, a Pietroburgo. Rimasi stupito, quando vidi che scriveva benissimo e le sue frasi erano veramente corrette, eleganti e piene di affetto. Ti mostrerò domani quel testamento, ne ho serbato una copia. Tutto questo mi meravigliò moltissimo e, spinto dalla curiosità, gli chiesi di raccontarmi la sua origine e la sua vita. Egli mi fece giurare che non ne avrei parlato con alcuno prima della sua morte, e per la gloria di Dio mi fece questo racconto. – Ero un principe e ricchissimo; conducevo la vita più dissipata, brillante e lussuosa che si possa immaginare. Mia moglie era morta e vivevo con mio figlio, che era capitano della Guardia. Una sera, mentre mi preparavo per andare a un ballo di gala, persi la calma contro il mio cameriere; nella mia impazienza lo colpii alla testa e ordinai che lo si rimandasse a casa sua. Questo avveniva la sera, e l'indomani il domestico morì di una infiammazione al cervello. Ma non si diede molta importanza alla cosa e, pur rimproverandomi la mia violenza, finii per dimenticare l'accaduto. Dopo sei settimane, il cavaliere cominciò a comparire nei miei sogni; ogni notte egli veniva a tormentarmi e a muovermi rimproveri, ripetendo continuamente: – Uomo senza coscienza, tu mi hai ucciso! –. Poi lo vidi anche mentre ero sveglio. L'apparizione divenne sempre più frequente, fino a diventare l'assillo di ogni istante. A un certo momento, oltre a lui cominciai a vedere anche altri morti, uomini che avevo offeso in modo grossolano, donne che avevo sedotte. Tutti mi rivolgevano dei rimproveri e non mi lasciavano più pace, tanto che non potevo più dormire né mangiare o fare qualsiasi altra cosa; ero ormai all'estremo delle mie forze e la pelle si attaccava alle ossa. Gli sforzi dei migliori medici non ottennero alcun risultato. Partii allora per l'estero, ma dopo sei mesi di assidue cure, non solo non avevo migliorato in nulla, ma le terribili apparizioni continuavano a intensificarsi. Mi ricondussero a casa più morto che vivo; l'anima mia, prima di venir separata dal corpo, ha conosciuto in pieno le torture dell'inferno; da allora ho creduto all'inferno e ho saputo che cosa sia. In mezzo a quei tormenti compresi finalmente la mia infamia, mi pentii, mi confessai, liberai tutti i miei servi e feci voto di passare il resto della mia vita nei lavori più duri e di nascondermi sotto le vesti di un mendicante per essere il più umile servo della gente di infima condizione. Avevo appena preso con fermezza questa decisione che le apparizioni cessarono di ossessionarmi. La mia Riconciliazione con Dio mi dava una gioia tale, un tale sentimento di conforto che non posso esprimerlo degnamente. Ho capito allora per esperienza che cosa è il paradiso e che il regno di Dio si realizza all'interno dei nostri cuori. In breve tempo mi rimisi completamente, misi in esecuzione il mio progetto e, fornito del passaporto di un ex-soldato, lasciai segretamente il luogo della mia nascita. Sono ormai quindici anni che vado errando per la Siberia. A volte mi sono fatto assumere da contadini per dei lavori secondo le mie forze, altre volte ho mendicato in nome di Cristo. Ah, in mezzo a tante privazioni, quale felicità ho goduto! Quale beatitudine, quale pace della coscienza! Può comprenderla solo colui che la misericordia divina ha tratto da un inferno di dolore, per trasportarlo al paradiso di Dio. Con queste parole mi consegnò il testamento, perché lo spedissi a suo figlio, e il giorno dopo morì. – Ecco, ne ho una copia nella Bibbia che si trova nel mio sacco. Se lo volete leggere ve lo mostrerò. Eccolo qua. Spiegai il foglio e lessi: "In nome di Dio glorificato nella Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. Carissimo figliolo, da quindici anni tu non rivedi tuo padre, ma nella sua oscurità egli riceveva ogni tanto notizie di te e nutriva per te un amore paterno. È questo amore che lo spinge ora a inviarti queste ultime parole perché ti siano guida nella vita. Tu sai quanto ho sofferto per riscattare la mia vita colpevole e leggera; ma tu non sai la felicità che mi hanno data, durante questa vita oscura ed errante, i frutti del pentimento. Muoio in pace presso il mio benefattore che è anche il tuo perché i benefici fatti al padre devono raggiungere anche il figlio affezionato. Esprimigli la mia riconoscenza con tutti i mezzi che sono in tuo potere. Lasciandoti la mia paterna benedizione, ti esorto a ricordarti di Dio e ad obbedire alla tua coscienza; sii buono, prudente e ragionevole; tratta con benevolenza tutti i tuoi dipendenti, non disprezzare i mendicanti o i pellegrini, memore che solo lo spogliamento di tutto e la vita errante hanno permesso a tuo padre di trovare il riposo dell'anima. Pregando Dio che ti accordi la sua grazia, chiudo gli occhi serenamente nella speranza della vita eterna, grazie alla misericordia del Redentore degli uomini, Gesù Cristo". È così che noi parlavamo con quel buon signore.

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