sabato 11 ottobre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 36)



Per due giorni il tempo rimase alla pioggia, e la strada era così fangosa che non si poteva uscire dal pantano. Passai per la steppa e per quindici verste non trovai un luogo abitato; infine, verso sera, scorsi una locanda sul ciglio della strada e mi rallegrai tutto al pensiero che avrei potuto riposare in un letto e trascorrere la notte al riparo. E l’indomani, a Dio piacendo, il tempo sarebbe stato forse un po’ migliore. La stazione di posta. Avvicinandomi, scorsi un vecchio, vestito con un cappotto militare; era seduto sulla scarpata davanti alla locanda e aveva l’aria di essere ubriaco. Lo salutai e dissi: – Posso chiedere a qualcuno il permesso di dormire qui, stanotte? – E chi altri se non io può farti entrare? – esclamò il vecchio – Il padrone, qui, sono io! Sono mastro di posta e qui è la posta dei cavalli.– Bene, lasciatemi passare la notte da voi, padre mio. – Ma… hai un passaporto? Fammi vedere i tuoi documenti!– Gli mostrai il mio passaporto, e mentre lo teneva in mano, il vecchio gridava: – Dov’è il tuo passaporto? – Lo avete in mano – gli risposi. – Bene, entriamo in casa. Il maestro di posta inforcò gli occhiali, guardò il passaporto e disse: – Ma ha l’aria di essere in regola; puoi rimanere qua; vedi, sono un galantuomo; prendi, ti porterò un bicchierino. – Non bevo – gli risposi. – Non fa nulla! Beh, almeno cena con noi. Sedette a tavola con la cuoca, una giovane donna che aveva bevuto anche lei la sua parte, e mi sedetti accanto a loro. Per tutta la cena essi continuarono a discutere e a muoversi aspri rimproveri, e infine ne nacque un vero e proprio litigio. Il mastro se ne andò a dormire nella dispensa e la cuoca rimase a lavare tazze e cucchiai, imprecando contro il vecchio. Io stavo seduto e, vedendo che non accennava a calmarsi, le dissi: – Dove potrei coricarmi, io, piccola madre. Sono stanco morto per tutta la strada che ho fatto. Ti preparo subito un letto, piccolo padre. Collocò una panca accanto a quella che era fissa sotto la finestra dirimpetto e vi stese una coperta di lana e un guanciale. Io mi distesi, chiusi gli occhi e feci finta di dormire. Per un bel po’ la cuoca continuò ad agitarsi per la stanza; infine, terminato il suo lavoro, spense la luce e si avvicinò a me. In quell’istante la finestra d’angolo che dava sulla strada crollò con un fracasso assordante; intelaiatura, vetri e imposte volarono in pezzi; contemporaneamente si intesero dalla strada gemiti, urla e rumore di lotta. La donna, atterrita, balzò in mezzo alla stanza e cadde a terra. Io saltai giù dal pancone, credendo che la terra si aprisse sotto i miei piedi. A un tratto vidi due postiglioni che portavano nell’izba un uomo insanguinato, tanto che non si distingueva più nemmeno la faccia. Questa scena accrebbe la mia angoscia. Era un corriere dello zar che doveva cambiare i cavalli a quella stazione. Il postiglione aveva preso male la curva per entrare e il timone aveva centrato in pieno la finestra; ma, poiché davanti all’izba c’era un fosso, la carrozza si era ribaltata e il corriere si era ferito il capo su un palo aguzzo che puntellava la scarpata. Il corriere chiese acqua e alcool per lavare la ferita. La disinfettò con acquavite, ne tracannò un bicchiere e gridò: – I cavalli, svelti! Mi avvicinai a lui e gli dissi: – Come fate a viaggiare con una ferita simile, padre mio?– Un corriere non ha tempo di essere ammalato – rispose e scomparve. I postiglioni trascinarono la donna in un canto presso il focolare e la coprirono con una stuoia dicendo:– È stato lo spavento che ha preso. Il mastro di posta, dal canto suo, si versò un bicchierino e tornò a dormire. Io rimasi solo. Poco dopo, la donna si alzò e si mise a camminare per la stanza come una sonnambula; infine uscì di casa. Feci una preghiera e, sentendomi debolissimo, mi addormentai poco prima dell’alba. 
Il mattino dissi addio al mastro di posta e, camminando per la strada, innalzai la mia preghiera con fede, speranza e riconoscenza al Padre di misericordia e di ogni consolazione, che aveva allontanato da me un’imminente disgrazia. 

Nessun commento:

Posta un commento