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UN RACCONTO PER L'ESTATE |
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 36)

Per due giorni il tempo rimase alla pioggia, e la
strada era così fangosa che non si poteva uscire dal pantano. Passai per la
steppa e per quindici verste non trovai un luogo abitato; infine, verso sera,
scorsi una locanda sul ciglio della strada e mi rallegrai tutto al pensiero che
avrei potuto riposare in un letto e trascorrere la notte al riparo. E
l’indomani, a Dio piacendo, il tempo sarebbe stato forse un po’ migliore. La
stazione di posta. Avvicinandomi, scorsi un vecchio, vestito con un cappotto
militare; era seduto sulla scarpata davanti alla locanda e aveva l’aria di
essere ubriaco. Lo salutai e dissi: – Posso chiedere a qualcuno il permesso di
dormire qui, stanotte? – E chi altri se non io può farti entrare? – esclamò il
vecchio – Il padrone, qui, sono io! Sono mastro di posta e qui è la posta dei
cavalli.– Bene, lasciatemi passare la notte da voi, padre mio. – Ma… hai un
passaporto? Fammi vedere i tuoi documenti!– Gli mostrai il mio passaporto, e
mentre lo teneva in mano, il vecchio gridava: – Dov’è il tuo passaporto? – Lo
avete in mano – gli risposi. – Bene, entriamo in casa. Il maestro di posta
inforcò gli occhiali, guardò il passaporto e disse: – Ma ha l’aria di essere in
regola; puoi rimanere qua; vedi, sono un galantuomo; prendi, ti porterò un
bicchierino. – Non bevo – gli risposi. – Non fa nulla! Beh, almeno cena con
noi. Sedette a tavola con la cuoca, una giovane donna che aveva bevuto anche lei
la sua parte, e mi sedetti accanto a loro. Per tutta la cena essi continuarono
a discutere e a muoversi aspri rimproveri, e infine ne nacque un vero e proprio
litigio. Il mastro se ne andò a dormire nella dispensa e la cuoca rimase a
lavare tazze e cucchiai, imprecando contro il vecchio. Io stavo seduto e,
vedendo che non accennava a calmarsi, le dissi: – Dove potrei coricarmi, io,
piccola madre. Sono stanco morto per tutta la strada che ho fatto. Ti preparo
subito un letto, piccolo padre. Collocò una panca accanto a quella che era
fissa sotto la finestra dirimpetto e vi stese una coperta di lana e un
guanciale. Io mi distesi, chiusi gli occhi e feci finta di dormire. Per un bel
po’ la cuoca continuò ad agitarsi per la stanza; infine, terminato il suo lavoro,
spense la luce e si avvicinò a me. In quell’istante la finestra d’angolo che
dava sulla strada crollò con un fracasso assordante; intelaiatura, vetri e
imposte volarono in pezzi; contemporaneamente si intesero dalla strada gemiti,
urla e rumore di lotta. La donna, atterrita, balzò in mezzo alla stanza e cadde
a terra. Io saltai giù dal pancone, credendo che la terra si aprisse sotto i
miei piedi. A un tratto vidi due postiglioni che portavano nell’izba un uomo
insanguinato, tanto che non si distingueva più nemmeno la faccia. Questa scena
accrebbe la mia angoscia. Era un corriere dello zar che doveva cambiare i
cavalli a quella stazione. Il postiglione aveva preso male la curva per entrare
e il timone aveva centrato in pieno la finestra; ma, poiché davanti all’izba
c’era un fosso, la carrozza si era ribaltata e il corriere si era ferito il
capo su un palo aguzzo che puntellava la scarpata. Il corriere chiese acqua e
alcool per lavare la ferita. La disinfettò con acquavite, ne tracannò un
bicchiere e gridò: – I cavalli, svelti! Mi avvicinai a lui e gli dissi: – Come
fate a viaggiare con una ferita simile, padre mio?– Un corriere non ha tempo di
essere ammalato – rispose e scomparve. I postiglioni trascinarono la donna in
un canto presso il focolare e la coprirono con una stuoia dicendo:– È stato lo
spavento che ha preso. Il mastro di posta, dal canto suo, si versò un
bicchierino e tornò a dormire. Io rimasi solo. Poco dopo, la donna si alzò e si
mise a camminare per la stanza come una sonnambula; infine uscì di casa. Feci
una preghiera e, sentendomi debolissimo, mi addormentai poco prima dell’alba.
Il mattino dissi addio al mastro di posta e, camminando per la strada, innalzai la mia preghiera con fede, speranza e riconoscenza al Padre di misericordia e di ogni consolazione, che aveva allontanato da me un’imminente disgrazia.
Il mattino dissi addio al mastro di posta e, camminando per la strada, innalzai la mia preghiera con fede, speranza e riconoscenza al Padre di misericordia e di ogni consolazione, che aveva allontanato da me un’imminente disgrazia.
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