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UN RACCONTO PER L'ESTATE |
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 37)

Sei anni dopo questo fatto, passando davanti a un
convento di monache, entrai in chiesa per pregare. La priora mi accolse
affabilmente in parlatorio dopo l’ufficio e mi fece portare del tè. A un tratto
furono annunciati ospiti di passaggio; essa andò loro incontro a mi lasciò con
le monachine che la servivano. Vedendo una di loro versare timidamente il tè,
mi venne la curiosità di chiederle: – Siete qui da molto tempo, sorella? –
Cinque anni – rispose –; quando mi hanno portato qui non avevo più la testa a
posto, ma Dio ha avuto pietà di me. La madre superiora mi ha presa con sé nella
sua cella e mi ha fatto pronunciare i voti. – E come avete perso la ragione? –
chiesi ancora. – Per lo spavento. Lavoravo in una stazione di posta. Una notte,
mentre dormivo, un tiro di cavalli irruppe dalla finestra demolendo tutto, e io
per lo spavento diventai pazza. Per un anno intero i miei genitori mi hanno
condotta in pellegrinaggio nei luoghi santi. Bene, solo qui ho potuto guarire.
A queste parole mi rallegrai in cuor mio e glorificai Dio, la cui sapienza fa
rivolgere a nostro bene tutte le cose. –
Ho avuto molte altre avventure – dissi rivolgendomi al mio padre spirituale –.
Se volessi raccontarle tutte, non basterebbero tre giorni. Se volete, vene
racconterò ancora una. In una limpida giornata d’estate vidi a qualche distanza
dal sentiero un cimitero, o meglio doveva trattarsi di una comunità
parrocchiale con la chiesa, le case dei servi del culto e il cimitero. Le
campane suonavano per l’ufficio; mi affrettai verso la chiesa. Anche le persone
di là vi si stavano dirigendo; ma molti sedevano sull’erba prima di entrare in
chiesa e, vedendo che io mi affrettavo, mi dicevano: – Cosa vuoi correre? Hai
tempo, hai tempo; il servizio è lentissimo, il prete è malato e poi è un
posapiano di quelli… In realtà la liturgia non si svolgeva molto in fretta; il
prete, giovane ma pallido e secco, celebrava lentamente, con pietà e
sentimento; alla fine della Messa pronunciò un’ottima predica sui mezzi per
acquistare l’amore di Dio. Il prete mi invitò a mangiare con lui. Durante il
pasto gli dissi: – Voi dite l’ufficio con grande pietà, padre mio, ma anche
tanto adagio! – Sì – rispose lui – questo non va troppo a genio ai miei
parrocchiani, e quelli brontolano, ma non c’è niente da fare; perché a me piace
meditare e pesare ogni parola prima di cantarla; le parole, se manca questo
sentimento interiore, non hanno più valore né per me, né per gli altri. Tutto
consiste nella vita interiore e nella preghiera attenta! Ah – aggiunse – quanto
poco ci si occupa dell’attività interiore! Non la si vuole, e allora non si ha
cura dell’illuminazione spirituale interiore. Gli chiesi ancora: – Ma come si
può fare per arrivarci? È una cosa molto difficile! – Affatto; per ricevere
l’illuminazione spirituale e diventare un uomo interiore, si deve prendere un
testo qualsiasi della Sacra Scrittura e concentrarvi il più a lungo possibile
tutta l’attenzione. Con questo sistema si scopre la luce dell’intelligenza. Per
pregare bisogna agire nello stesso modo; se vuoi che la tua preghiera sia
dritta, pura ed efficace, devi scegliere una preghiera breve, e ripeterla a
lungo e spesso: si prende gusto alla preghiera. L’insegnamento del prete mi
piacque, perché era pratico e semplice e insieme profondo e saggio. Ringraziai
Dio in spirito per avermi fatto conoscere un vero pastore della sua Chiesa.
Alla fine del pasto il prete mi disse: – Va’ a riposarti un poco, devo leggere
la parola di Dio e preparare la mia predica per domani.
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