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UN RACCONTO PER L'ESTATE |
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 30)

Inizio della
preghiera: Padre nostro che sei nei cieli:
nel libro che avete letto si afferma che queste parole significano che bisogna
amare fraternamente il nostro prossimo, perché siamo tutti figli di uno stesso
Padre. È giusto, sì, ma i Padri aggiungono un commento più spirituale. Dicono
che, pronunciando quelle parole, bisogna elevare lo spirito verso il Padre
celeste e ricordarsi l’obbligo di essere in ogni istante alla presenza di Dio.
Le parole: Sia santificato il tuo nome
si spiegano nel libro con la necessità di far attenzione a non invocare invano
il nome di Dio; ma i commentatori mistici vi vedono la domanda della preghiera
interiore del cuore, ossia, perché il nome di Dio sia santificato, bisogna che
sia inciso nell’intimo del cuore e che con la preghiera perpetua santifichi e
illumini tutti i sentimenti, tutte le forze dell’anima. Le parole Venga il tuo regno sono spiegate così
dai Padri: vengano nel nostro cuore la pace interiore, il riposo e la gioia
spirituale. Nel libro si spiega che le parole Dacci oggi il nostro pane quotidiano riguardano i bisogni della
nostra vita corporale e quel che è necessario per venire in aiuto al prossimo.
Ma Massimo il Confessore intende per pane quotidiano, il pane celeste che nutre
l’anima, ossia la parola di Dio, e l’unione dell’anima con Dio nella
contemplazione e nella preghiera perpetua nel profondo del cuore. – Ah, la
preghiera interiore è un’impresa difficile, quasi impossibile a coloro che
vivono nel mondo – esclamò il padrone di casa – occorre tutto l’aiuto del
Signore anche per poter compiere senza pigrizia la preghiera ordinaria. – Non
dite questo, piccolo padre. Se fosse un’impresa superiore alle forze umane, Dio
non l’avrebbe imposte a tutti. La sua forza si compie nella debolezza (2Cor
13,9) e i Padri ci offrono mezzi che facilitano molto la via verso la preghiera
interiore. – Non ho mai letto nulla di preciso su questo argomento – disse il
signore. – Se volete, vi leggerò qualche passo della Filocalia. Presi la
Filocalia, cercai un brano di Pietro Damasceno nella terza parte, a pagina 48,
e lessi quanto segue:
Bisogna
lasciarsi indurre a invocare in nome del Signore più spesso ancora del respiro,
in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni circostanza. L’Apostolo dice: Pregate
senza posa; egli insegna con questo monito che bisogna ricordarsi di Dio in
ogni momento, in ogni luogo e in ogni cosa. Se tu costruisci qualcosa, devi
pensare al Creatore di tutto quello che esiste; se vedi la luce, ricordati di
colui che te l’ha data; se guardi il cielo, la terra, il mare e tutto quello
che essi contengono, ammira e glorifica colui che li ha creati, se ti copri con
una veste, pensa a colui dal quale l’hai ricevuta e ringrazialo, lui che
provvede alla tua esistenza. Insomma, che ogni gesto ti sia motivo di celebrare
il Signore, così tu pregherai senza posa e l’anima tua sarà sempre nella gioia.
Vedete com’è facile il sistema e accessibile a tutti
coloro che abbiano anche un barlume di sentimento umano. Quel brano piacque
molto ai due sposi. Il marito mi abbracciò con entusiasmo, mi ringraziò,
sfogliò la Filocalia e disse: – Bisogna proprio che comperi questo libro; lo
ordinerò a Pietroburgo; ma per ricordarmene meglio, voglio copiare subito il
passo che hai detto. Dettamelo, ti prego. Lo trascrisse subito in bella
scrittura, poi esclamò: – Mio Dio! Ho appunto un’icona di Damasceno! (era
probabilmente san Giovanni Damasceno). Aprì l’immagine e fissò sotto l’icona il
foglio che aveva appena trascritto dicendo: – La parola viva di un servo di
Dio, messa sotto la sua immagine, mi stimolerà spesso a mettere in pratica
questo consiglio salutare. Poi andammo a cena. Tutti erano di nuovo a tavola
insieme con noi, uomini e donne. Quale silenzio raccolto e quale calma durante
la cena! Dopo aver finito, tutti dicemmo la preghiera, compresi i bambini, e mi
pregarono di leggere l’inno a Gesù dolcissimo. I servi andarono a dormire e noi
rimanemmo, tutti e tre, nella stanza. La signora allora mi portò una camicia
bianca e delle calze. Mi inchinai profondamente e dissi: – Piccola madre, non
posso prendere le calze, non ne ho portate mai, noi portiamo sempre delle
fasce. Tornò dopo un poco con una vecchia casacca di panno che tagliò a strisce
larghe. E il padrone di casa, dopo aver dichiarato che le mie scarpe non
servivano più a nulla, me ne portò un paio di nuove che egli calzava al di
sopra degli stivali. – Va’ in quella camera – mi disse – Non c’è nessuno,
potrai cambiarti di biancheria. Andai a cambiarmi e tornai verso di loro. Mi
fecero sedere su una sedia e si misero a calzarmi, il marito arrotolava le
fasce, la moglie mi calzava le scarpe. Dal principio non volevo lasciarli fare,
ma essi mi fecero sedere dicendo: – Siedi e taci, Cristo ha lavato i piedi ai
suoi discepoli. Non riuscii a resistere e mi misi a piangere; e anch’essi
piangevano con me. Allora la signora si diresse verso la camera dei suoi figli
per la notte, mente il signore e io andammo in giardino per intrattenerci un poco
nel padiglione. Rimanemmo a lungo, sdraiati per terra e si conversava. A un
tratto egli mi si avvicinò e mi disse: – Rispondimi in coscienza e in verità.
Chi sei? Devi essere di famiglia nobile e fingi di essere un semplice. Leggi e
scrivi benissimo, pensi e parli con correttezza; certo non hai ricevuto
l’educazione di un contadino. – Ho parlato con cuore aperto tanto a voi che a
vostra moglie; ho raccontato le mie origini con tutta sincerità e non ho mai
pensato di mentire o di ingannarvi. E a quale scopo? Quello che dico non viene
da me, ma dal mio saggio starets defunto, o dai Padri che ho letto; e la
preghiera interiore, che più di tutto illumina la mia ignoranza, non l’ho
acquistata da me; è nata nel mio cuore per misericordia divina e grazie all’insegnamento
dello starets. Ognuno può altrettanto; basta immergersi più silenziosamente nel
proprio cuore e invocare un po' di più il nome di Gesù Cristo, si scopre ben
presto la luce interiore, tutto diventa chiaro, e in questa chiarità appaiono
certi misteri del Regno di Dio. Ed è già un grande mistero, quando l'uomo
scopre questa capacità di rientrare in sé, di conoscersi veramente e di
piangere dolcemente sulla propria caduta e sulla sua volontà pervertita. Non è
molto difficile pensare in modo sano e parlare con le persone, è una cosa
possibile perché la mente e il cuore esistevano prima della scienza e della
saggezza umana. Si può sempre coltivare la mente con la scienza o l'esperienza;
ma dove non c'è intelligenza, l'educazione non giova a nulla. Quello che c'è è
che noi siamo lontani da noi stessi e che non desideriamo ravvicinarci, anzi
fuggiamo sempre per non trovarci faccia a faccia con noi stessi, preferiamo
cose da poco conto alla verità, e pensiamo: mi piacerebbe avere una vita
spirituale, occuparmi della preghiera, ma non ne ho il tempo, gli affari e le
preoccupazioni mi impediscono di dedicarmi veramente. Ma che cosa è più
importante e più necessario: la vita terrena dell'anima santificata o la vita
passeggera del corpo per il quale noi ci diamo tanta pena? Così la gente arriva
o alla saggezza o alla stupidità. –Scusa, fratello caro, non ho parlato per
semplice curiosità, ma per benevolenza e per sentimento cristiano, perché due
anni fa ho incontrato un caso che era proprio curioso.
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