venerdì 3 ottobre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 30)


 Inizio della preghiera: Padre nostro che sei nei cieli: nel libro che avete letto si afferma che queste parole significano che bisogna amare fraternamente il nostro prossimo, perché siamo tutti figli di uno stesso Padre. È giusto, sì, ma i Padri aggiungono un commento più spirituale. Dicono che, pronunciando quelle parole, bisogna elevare lo spirito verso il Padre celeste e ricordarsi l’obbligo di essere in ogni istante alla presenza di Dio. Le parole: Sia santificato il tuo nome si spiegano nel libro con la necessità di far attenzione a non invocare invano il nome di Dio; ma i commentatori mistici vi vedono la domanda della preghiera interiore del cuore, ossia, perché il nome di Dio sia santificato, bisogna che sia inciso nell’intimo del cuore e che con la preghiera perpetua santifichi e illumini tutti i sentimenti, tutte le forze dell’anima. Le parole Venga il tuo regno sono spiegate così dai Padri: vengano nel nostro cuore la pace interiore, il riposo e la gioia spirituale. Nel libro si spiega che le parole Dacci oggi il nostro pane quotidiano riguardano i bisogni della nostra vita corporale e quel che è necessario per venire in aiuto al prossimo. Ma Massimo il Confessore intende per pane quotidiano, il pane celeste che nutre l’anima, ossia la parola di Dio, e l’unione dell’anima con Dio nella contemplazione e nella preghiera perpetua nel profondo del cuore. – Ah, la preghiera interiore è un’impresa difficile, quasi impossibile a coloro che vivono nel mondo – esclamò il padrone di casa – occorre tutto l’aiuto del Signore anche per poter compiere senza pigrizia la preghiera ordinaria. – Non dite questo, piccolo padre. Se fosse un’impresa superiore alle forze umane, Dio non l’avrebbe imposte a tutti. La sua forza si compie nella debolezza (2Cor 13,9) e i Padri ci offrono mezzi che facilitano molto la via verso la preghiera interiore. – Non ho mai letto nulla di preciso su questo argomento – disse il signore. – Se volete, vi leggerò qualche passo della Filocalia. Presi la Filocalia, cercai un brano di Pietro Damasceno nella terza parte, a pagina 48, e lessi quanto segue:
Bisogna lasciarsi indurre a invocare in nome del Signore più spesso ancora del respiro, in ogni tempo, in ogni luogo e in ogni circostanza. L’Apostolo dice: Pregate senza posa; egli insegna con questo monito che bisogna ricordarsi di Dio in ogni momento, in ogni luogo e in ogni cosa. Se tu costruisci qualcosa, devi pensare al Creatore di tutto quello che esiste; se vedi la luce, ricordati di colui che te l’ha data; se guardi il cielo, la terra, il mare e tutto quello che essi contengono, ammira e glorifica colui che li ha creati, se ti copri con una veste, pensa a colui dal quale l’hai ricevuta e ringrazialo, lui che provvede alla tua esistenza. Insomma, che ogni gesto ti sia motivo di celebrare il Signore, così tu pregherai senza posa e l’anima tua sarà sempre nella gioia.
Vedete com’è facile il sistema e accessibile a tutti coloro che abbiano anche un barlume di sentimento umano. Quel brano piacque molto ai due sposi. Il marito mi abbracciò con entusiasmo, mi ringraziò, sfogliò la Filocalia e disse: – Bisogna proprio che comperi questo libro; lo ordinerò a Pietroburgo; ma per ricordarmene meglio, voglio copiare subito il passo che hai detto. Dettamelo, ti prego. Lo trascrisse subito in bella scrittura, poi esclamò: – Mio Dio! Ho appunto un’icona di Damasceno! (era probabilmente san Giovanni Damasceno). Aprì l’immagine e fissò sotto l’icona il foglio che aveva appena trascritto dicendo: – La parola viva di un servo di Dio, messa sotto la sua immagine, mi stimolerà spesso a mettere in pratica questo consiglio salutare. Poi andammo a cena. Tutti erano di nuovo a tavola insieme con noi, uomini e donne. Quale silenzio raccolto e quale calma durante la cena! Dopo aver finito, tutti dicemmo la preghiera, compresi i bambini, e mi pregarono di leggere l’inno a Gesù dolcissimo. I servi andarono a dormire e noi rimanemmo, tutti e tre, nella stanza. La signora allora mi portò una camicia bianca e delle calze. Mi inchinai profondamente e dissi: – Piccola madre, non posso prendere le calze, non ne ho portate mai, noi portiamo sempre delle fasce. Tornò dopo un poco con una vecchia casacca di panno che tagliò a strisce larghe. E il padrone di casa, dopo aver dichiarato che le mie scarpe non servivano più a nulla, me ne portò un paio di nuove che egli calzava al di sopra degli stivali. – Va’ in quella camera – mi disse – Non c’è nessuno, potrai cambiarti di biancheria. Andai a cambiarmi e tornai verso di loro. Mi fecero sedere su una sedia e si misero a calzarmi, il marito arrotolava le fasce, la moglie mi calzava le scarpe. Dal principio non volevo lasciarli fare, ma essi mi fecero sedere dicendo: – Siedi e taci, Cristo ha lavato i piedi ai suoi discepoli. Non riuscii a resistere e mi misi a piangere; e anch’essi piangevano con me. Allora la signora si diresse verso la camera dei suoi figli per la notte, mente il signore e io andammo in giardino per intrattenerci un poco nel padiglione. Rimanemmo a lungo, sdraiati per terra e si conversava. A un tratto egli mi si avvicinò e mi disse: – Rispondimi in coscienza e in verità. Chi sei? Devi essere di famiglia nobile e fingi di essere un semplice. Leggi e scrivi benissimo, pensi e parli con correttezza; certo non hai ricevuto l’educazione di un contadino. – Ho parlato con cuore aperto tanto a voi che a vostra moglie; ho raccontato le mie origini con tutta sincerità e non ho mai pensato di mentire o di ingannarvi. E a quale scopo? Quello che dico non viene da me, ma dal mio saggio starets defunto, o dai Padri che ho letto; e la preghiera interiore, che più di tutto illumina la mia ignoranza, non l’ho acquistata da me; è nata nel mio cuore per misericordia divina e grazie all’insegnamento dello starets. Ognuno può altrettanto; basta immergersi più silenziosamente nel proprio cuore e invocare un po' di più il nome di Gesù Cristo, si scopre ben presto la luce interiore, tutto diventa chiaro, e in questa chiarità appaiono certi misteri del Regno di Dio. Ed è già un grande mistero, quando l'uomo scopre questa capacità di rientrare in sé, di conoscersi veramente e di piangere dolcemente sulla propria caduta e sulla sua volontà pervertita. Non è molto difficile pensare in modo sano e parlare con le persone, è una cosa possibile perché la mente e il cuore esistevano prima della scienza e della saggezza umana. Si può sempre coltivare la mente con la scienza o l'esperienza; ma dove non c'è intelligenza, l'educazione non giova a nulla. Quello che c'è è che noi siamo lontani da noi stessi e che non desideriamo ravvicinarci, anzi fuggiamo sempre per non trovarci faccia a faccia con noi stessi, preferiamo cose da poco conto alla verità, e pensiamo: mi piacerebbe avere una vita spirituale, occuparmi della preghiera, ma non ne ho il tempo, gli affari e le preoccupazioni mi impediscono di dedicarmi veramente. Ma che cosa è più importante e più necessario: la vita terrena dell'anima santificata o la vita passeggera del corpo per il quale noi ci diamo tanta pena? Così la gente arriva o alla saggezza o alla stupidità. –Scusa, fratello caro, non ho parlato per semplice curiosità, ma per benevolenza e per sentimento cristiano, perché due anni fa ho incontrato un caso che era proprio curioso.


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