mercoledì 29 ottobre 2014

LA CHIESA DI PAPA FRANCESCO



Cari amici,
Papa Francesco, nella chiusura del Sinodo ha parlato di momenti di tensione e di tentazioni durante i lavori sinodali, ma ha sottolineato la grazia e la bellezza del confronto. Ha quindi ribadito che il compito del Successore di Pietro è quello di garantire l’unità della Chiesa, e quello dei vescovi di “nutrire il gregge” e accogliere chi è smarrito.

Ha messo in guardia dalla tentazione dell’irrigidimento ostile "... cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – tradizionalisti e anche degli intellettualisti".

Ha messo in guardia anche dalla tentazione di quello che definisce “buonismo distruttivo”, “tentazione - dice - dei buonisti, dei timorosi e anche dei cosiddetti progressisti e liberalisti”, "... che a nome di una misericordia ingannatrice fascia le ferite senza prima curarle e medicarle; che tratta i sintomi e non le cause e le radici".

Papa Francesco ha poi citato la “tentazione di trasformare la pietra in pane” “per rompere un digiuno lungo”, ma anche “di trasformare il pane in pietra” e scagliarla contro peccatori, trasformarlo in “fardelli insopportabili”. Quindi la tentazione di scendere dalla Croce: "... per accontentare la gente, e non rimanerci per compiere la volontà del Padre; di piegarsi allo spirito mondano invece di purificarlo e piegarlo allo Spirito di Dio".

Infine, la tentazione di “trascurare il depositum fidei considerandosi non custodi ma proprietari e padroni” o, dall'altra parte, “la tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa” “per dire tante cose e non dire niente!”.

“Tanti commentatori – ha aggiunto Papa Francesco - hanno immaginato di vedere una Chiesa in litigio”. “Il Sinodo - ha detto con forza - mai ha messo in discussione le verità fondamentali del Sacramento del Matrimonio: l'indissolubilità, l'unità, la fedeltà e la procreatività, ossia l'apertura alla vita”. “La Chiesa – ha aggiunto - non ha paura di rimboccarsi le maniche per versare l’olio e il vino sulle ferite degli uomini”, una Chiesa “che non guarda l’umanità da un castello di vetro per giudicare o classificare le persone".

"Questa è la Chiesa Una, Santa, Cattolica, Apostolica e composta da peccatori, bisognosi della Sua misericordia. Questa è la Chiesa, la vera sposa di Cristo, che cerca di essere fedele al suo Sposo e alla sua dottrina. È la Chiesa che non ha paura di mangiare e di bere con le prostitute e i pubblicani (cf. Lc 15). La Chiesa che ha le porte spalancate per ricevere i bisognosi, i pentiti e non solo i giusti o coloro che credono di essere perfetti!". “Una Chiesa – ha proseguito - che non si vergogna del fratello caduto e non fa finta di non vederlo": "... anzi, si sente coinvolta e quasi obbligata a rialzarlo e a incoraggiarlo a riprendere il cammino e lo accompagna verso l'incontro definitivo, con il suo Sposo, nella Gerusalemme Celeste".

Francesco guarda ai lavori sinodali, ricorda che si svolgono “cum Petro et sub Petro”, evidenzia i compiti del Papa: quello di garantire l’unità della Chiesa e quello di curare i Pastori. "Il Papa, in questo contesto, non è il signore supremo ma piuttosto il supremo servitore - il servus servorum Dei; il garante dell'ubbidienza, della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale, pur essendo - per volontà di Cristo stesso – il Pastore e Dottore supremo di tutti i fedeli (Can. 749) e pur godendo della potestà ordinaria che è suprema, piena, immediata e universale nella Chiesa".
Preghiamo per la Chiesa, per il Santo Padre e per la buona riuscita del Sinodo che si concluderà fra un anno. Lo sguardo di fede sulla Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, protetta dalla Vergine Maria e sostenuta dal carisma di Pietro ci deve rendere fiduciosi e pieni di speranza.
Padre Livio



conclusione

LA CHIESA E' NEL MONDO,
 E' PER IL MONDO, 
VA PER IL MONDO,

MA NON DEVE MAI ESSERE DEL MONDO,
NON DEVE MAI TRADIRE LA SUA APPARTENENZA,  
IL SUO COMPITO,
LA SUA IDENTITA';

APRIRSI AL MONDO NON SIGNIFICA CONFORMARSI AD ESSO,
ALLA MENTALITA' DI QUESTO TEMPO,
MA STARE NEL MONDO 
CON LO SGUARDO DI CRISTO,
CON LE MANI DI CRISTO,
CON LE PAROLE DI CRISTO
CON IL CUORE DI CRISTO.

IL SIGNORE CI INVITA A NON ESSERE NE' RIGIDI NE' TIMOROSI
NEL PORGERE LA VERITA',
MA AD ESSERE SALDI E RADICATI NELLA FEDE,
FERMI E FEDELI ALL'ANNUNCIO,
FIDUCIOSI IN COLUI CHE HA FONDATO LA CHIESA,
SENZA MAI DIMENTICARE CHE...

E' LO SPIRITO CHE GUIDA LA CHIESA
E NON LA CHIESA CHE GUIDA SE STESSA!

martedì 28 ottobre 2014


AGENDA  PARROCCHIALE 
SETTIMANALE

NEL MONDO MA NON DEL MONDO


26 OTTOBRE 2014
ORE 11,00 S. Messa

ORE 17,00  catechesi adulti - Monastero
ORE 18,00 S. Messa - Monastero

27 OTTOBRE 2014
ORE 8,00 S. Messa 

ORE 9,00 - 11,00  - Monastero
Adorazione Eucaristica

28 OTTOBRE 2014
ORE 9,00 - 11,00  - Monastero
Adorazione Eucaristica

ORE 17,00 S. Messa
(Chiesa S. Rocco)

29 OTTOBRE 2014
ORE 9,00 - 11,00  - Monastero
Adorazione Eucaristica

ORE 17,00 S. Messa

30 OTTOBRE 2014
ORE 9,00 - 11,00  - Monastero
Adorazione Eucaristica

ORE 17,00 S. Messa


31 OTTOBRE 2014
ORE 17,00 S. Messa - Monastero

Notte di Holyween
ORE 21,00  Esposizione del SS. Sacramento
Adorazione comunitaria 
22,30 - 24,00 Adorazione personale

1 NOVEMBRE 2014
TUTTI I SANTI
ORE 8,00 S. Messa (MONASTERO)
ORE 11,00 S. MESSA
ORE 14,30 PROCESSIONE AL CIMITERO
 E BENEDIZIONE DEFUNTI

2 NOVEMBRE 2014
ORE 11,00 S. Messa

ORE 15,30 S. Messa (CIMITERO)

ORE 17,30 CATECHESI  ADULTI - MONASTERO
''CREDO NELLA VITA ETERNA''
alla scuola dell Parola di Dio

domenica 26 ottobre 2014



MARIA REGINA DELLA PACE

MEDJUGORJE

Messaggio del 25 Ottobre 2014 

"Cari figli! Pregate in questo tempo di grazia e chiedete l’intercessione di Tutti i Santi che sono già nella luce. Loro vi siano d’esempio e d’esortazione di giorno in giorno, sul cammino della vostra conversione. Figlioli, siate coscienti che la vostra vita è breve e passeggera. Perciò anelate all’eternità e preparate i vostri cuori nella preghiera. Io sono con voi e intercedo presso il mio Figlio per ciascuno di voi, soprattutto per coloro che si sono consacrati a Me ed a mio Figlio. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”

giovedì 23 ottobre 2014


''IO NON VI LASCIO SOLI, 
VI MANDERO'  IL PARACLITO... 
EGLI MI GLORIFICHERA', PERCHE' PRENDERA' DA CIO' CHE E' MIO 
E VE LO ANNUNCERA' '' Gv 16,1-15 


mercoledì 22 ottobre 2014

Anche nel Kurdistan iracheno la Parola di Dio ridà coraggio

Terrasanta.net | 16 settembre 2014
(c.g.) - Molti cristiani dell’Iraq, derubati, perseguitati e umiliati, resistono alla tentazione di vendicarsi o di fuggire davanti all'avanzata islamista solo grazie alla preghiera e all’ascolto della Parola di Dio. Da Zakho, cittadina nel Kurdistan iracheno, dove sono sfollate numerose famiglie, arriva una testimonianza che volentieri riportiamo.
«Le Chiese, le istituzioni internazionali e il governatorato curdo si stanno prodigando per far fronte all’emergenza e la situazione sta migliorando – racconta Filippo Di Mario, un membro del Cammino Neocatecumenale originario di Rimini e da diversi anni in Iraq –; qui intere città e villaggi si sono riversati su altre città e villaggi come greggi in fuga dai lupi. Troviamo famiglie sfollate sparse dovunque: nelle case dei parenti, nei saloni delle chiese, nelle scuole, nelle case in costruzione, sotto gli alberi, nei giardini, sui cigli delle strade, lungo i ruscelli o nel deserto... All’apparenza, le loro condizioni non sono di particolare povertà o disperazione, è gente abituata a “traslocare”. Ma se si va un po’ a fondo, emerge un’infinità di angosce e paure. Qualcuno maledice i musulmani, altri questo o quel Paese straniero… In molti cristiani riscontriamo però anche una forza particolare, dovuta da una parte al sostegno che Dio dà ad ogni profugo, dall’altra nel vedere che il loro sogno, coltivato da sempre, sta per diventare realtà: “In queste condizioni è impossibile vivere in Iraq. Ora potremo finalmente emigrare!”ci dicono».
Proprio il dissanguamento a causa dell’emigrazione è oggi il rischio più grave che corre la Chiesa irachena: solo pochi giorni fa il patriarca caldeo mons. Louis Raphael I Sako, parlando nella parrocchia di San Giuseppe a Baghdad, diceva: «Se abbandoniamo l'Iraq, saremo tagliati fuori per sempre dalle nostre origini e dalla nostra storia: il nostro futuro è qui, non certo nelle nazioni della diaspora». Come fermare l’esodo? Per dare coraggio a questi cristiani perseguitati ad agosto Papa Francesco ha inviato il cardinal Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, a Baghdad e nel Kurdistan iracheno.
«Un vescovo locale, dopo il passaggio del cardinal Filoni, ci ha chiamato d’urgenza – racconta Filippo – perché organizzassimo incontri con l’annuncio del kerigma (la proclamazione del nucleo essenziale della fede in Cristo Signore - ndr) ai profughi cristiani, per dire che Dio li amava anche in questa situazione. “Questa gente non ha la minima idea del perché le sia successo tutto questo – ci ha detto il vescovo –. È arrabbiata anche con Dio. Perfino le centinaia di famiglie riparate entro i cortili della chiesa, non entrano in chiesa a pregare. Tutti parlano di quando arriverà il visto per l’espatrio o di quando potranno prendere le armi e difendersi…”».
«Grazie a Dio – prosegue Di Mario – tra i profughi abbiamo trovato alcuni preti che erano stati costretti a fuggire dalle loro parrocchie. Con loro abbiamo messo in cantiere una prima riunione in cui annunciare la buona notizia che Gesù Cristo ha già compiuto in noi e proporre il sacramento della confessione, per chiedere perdono dei peccati commessi in questo tempo. All’inizio abbiamo trovato una certa derisione, ma pian piano abbiamo fatto presente che tutta la Scrittura afferma che “il Signore come buon pastore ristora le mie forze e mi porta per il cammino dell’amore”. Insomma, abbiamo finito questo primo incontro a notte inoltrata, perché la gente aveva un bisogno enorme di scaricare i propri fardelli».
Il racconto del riminese continua: «Dopo questa prima esperienza, altri vescovi vicini ci hanno chiesto che venisse fatto un annuncio di speranza anche ai profughi cristiani ospitati nel loro territorio: così dei fratelli iracheni sono andati ad Ankawa (presso la chiesa caldea e presso la chiesa sira). Poi anche a Soleimania, Zakho, Berseve. Con queste missioni Dio sta passando per i campi degli sfollati cercando quei poveri che sanno approfittare della situazione per accogliere Gesù, il Dio con noi. Da coloro che lo accolgono ogni giorno ci arrivano notizie stupende. La gente ringrazia questi nostri fratelli iracheni e benedice Dio per la forte testimonianza che sanno portare in questo momento. Che altrimenti rischierebbe di trasformarsi in un altro tempo di alienazione o di inferno».
«C’è una notizia in particolare che mi piacerebbe arrivasse al cardinal Filoni e, da lui, al Papa – conclude Filippo –: Rolina, Hailina e Angela sono tre giovani irachene di una comunità neocatecumenale, sorelle tra loro. Abitano con i genitori e i fratelli in un villaggio iracheno vicino al confine turco. Quando, a fine luglio, giravano incontrollabili voci che i terroristi dello Stato Islamico avrebbero attraversavano il fiume Tigri piombando sul villaggio, il padre pensò che le tre sorelle dovevano mettersi in salvo passando il confine con la Turchia, come fanno tantissimi cristiani. Lì avrebbero ottenuto lo status di rifugiate e avrebbero poi raggiunto qualche Paese occidentale dove sposarsi e costruire un futuro sicuro. “Se tu senti di andare vai pure, noi rimaniamo quì!”, hanno risposto le tre ragazze al padre. “Ma lo faccio per voi!”, ha replicato lui. “Noi rimaniamo”, hanno ribadito. “Ecco: il cammino neocatecumenale mi ha rovinato le figlie, il figlio e forse anche la moglie visto che non dice niente... ma dove vado senza di voi?”, ha concluso il padre. Così sono rimasti tutti. Vincendo la volontà paterna, condizionata dalla pressione del momento e diffusa come un virus che spinge tutti ad emigrare a testa bassa come pecore senza pastore, hanno potuto rimanere unite alla loro comunità e alla missione che Dio ha loro affidato e affiderà in favore di questo Paese e di questi popoli che hanno tanto bisogno di essere salvati “dal dissolvimento”, come dice il patriarca Sako, amandoli e abbracciandoli concretamente così come sono. Ora il padre di queste tre giovani, che ha una buona attività, è contento di essere rimasto e l’altro ieri ci ha invitati a pranzo, mentre le figlie, con altri fratelli, preparavano le catechesi da portare ogni giorno agli sfollati»
(http://www.terrasanta.net/tsx/articolo.jsp?wi_number=6837&wi_codseq=%20%20%20%20%20%20&language=it )

venerdì 17 ottobre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 39)



Dopo un po’ di tempo, mi avvidi che le verghe non erano più necessarie; il ragazzo eseguiva il mio ordine con maggiore piacere e maggiore zelo; a poco a poco il suo carattere mutò completamente; divenne dolce e silenzioso e si mise a compiere con maggior impegno i lavori di casa. Ne provai gran gioia e gli lasciai maggiore libertà. E il risultato? Bene, il ragazzo si abituò tanto alla preghiera che la ripeteva senza posa e senza che io lo forzassi. Quando gliene parlai, mi rispose che aveva un desiderio immenso di recitare la preghiera. – E che cosa provi? – Niente di speciale, ma mi sento bene mentre recito la preghiera. – Ma come, bene? – Non lo so spiegare. – Ti senti allegro? – Sì, mi sento allegro. Aveva dodici anni quando scoppiò la guerra in Crimea. Io partii per Kazan e lo portai con me da mia figlia. Lo sistemammo in cucina con gli altri domestici, ma lui era sconsolato, perché essi passavano il tempo a divertirsi e a giocare tra loro, prendendo in giro il ragazzo e cercando di distrarlo dalla sua preghiera. Erano passati tre mesi quando venne da me e mi disse: – Torno a casa; non posso sopportare la vita qui, con tanto rumore. Gli dissi: – Come, vuoi andar così lontano da solo e in pieno inverno? Aspetta che io riparta e tu verrai con me. Il giorno dopo il ragazzetto era scomparso. Lo si mandò a cercare dappertutto, ma fu impossibile trovarlo. Un bel giorno finalmente ricevetti una lettera dalla Crimea; i custodi della mia vecchia casa mi annunciavano che, il 4 aprile, il giorno dopo Pasqua, era stato trovato nella casa deserta il corpo inanimato del ragazzo. Giaceva sul pavimento della mia camera, le mani incrociate sul petto, il berretto sotto il capo e con quell’abitino da nulla che portava sempre e con cui era fuggito da Kazan. Lo sotterrarono nel mio giardino. Mi meravigliò molto, quando ricevetti la notizia, la rapidità con cui il ragazzo era arrivato fin là. Era partito il 26 febbraio e fu trovato il 4 aprile. Tremila verste in un mese si possono percorrere sì e no con un cavallo. Significa fare cento verste al giorno. E per di più con abiti leggeri, senza passaporto e senza un centesimo. Ammesso pure che egli abbia trovato una carrozza per fare la strada, anche questo non poteva avvenire senza un intervento divino. Così il mio piccolo domestico ha gustato il frutto della preghiera – disse il signore, terminando – e io alla fine della mia vita non sono arrivato in alto come lui. Allora io dissi a quel signore: – Questo ottimo libro di san Gregorio Palamas che voi avete letto, lo conosco anch’io. Ma vi si esamina soprattutto la preghiera orale; voi dovreste leggere questo libro che si chiama Filocalia. Vi troverete l’insegnamento completo della preghiera di Gesù nello spirito e nel cuore. E gli mostrai la Filocalia. Egli accolse il mio consiglio con visibile piacere e dichiarò che si sarebbe procurato il libro immediatamente. – Mio Dio – dicevo a me stesso – quali meravigliosi effetti della potenza divina si rivelano con questa preghiera! Come è edificante e profondo il racconto di quest’uomo; le verghe hanno insegnato la preghiera a quel ragazzo, gli hanno dato la felicità vera! Le disgrazie e i mali che incontriamo sulla via della preghiera non sono le verghe di Dio? E allora perché temere quando la mano del nostro Padre celeste ce la addita? Egli è pieno di infinito amore per noi e queste verghe ci insegnano a pregare più attivamente, esse ci portano a indicibili gioie. I miei racconti erano terminati, e dissi al mio padre spirituale: – Perdonatemi, in nome di Dio, ho chiacchierato molto e i Padri dichiarano che una conversazione sia pure spirituale non è che vanità se dura troppo tempo. È tempo ormai che io vada a ritrovare quello che mi deve accompagnare a Gerusalemme. Pregate per me, povero peccatore, che il Signore nella sua misericordia volga in bene la mia strada. – Te lo auguro con tutta l’anima, fratello caro nel Signore, rispose lui. Che la grazia sovrabbondante di Dio illumini i tuoi passi e compia la strada con te, come l’angelo Raffaele con Tobia.
FINE

giovedì 16 ottobre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 38)



Mi recai in cucina. Non c’era altri che una vecchia cuoca seduta in un angolo, tutta curva, che tossiva. Mi sedetti sotto una lucerna, presi dal sacco la Filocalia e mi misi a leggere per me, a bassa voce; dopo un certo tempo mi resi conto che la vecchia seduta nell'angolo recitava senza posa la preghiera di Gesù. Fui felice di sentire invocare in tal modo il nome santo del Signore e le dissi: – È proprio bello, madre mia, recitare così la preghiera! È l’opera migliore e più cristiana! – Sì, piccolo padre – rispose lei – al tramonto della mia vita questa è la mia gioia, che il Signore mi perdoni! – Da molto tempo preghi così? – Dalla mia giovinezza, piccolo padre; senza questo, io non potrei vivere, perché la preghiera di Gesù mi ha salvata dalla sventura e dalla morte. – Come? Ti prego, raccontamelo per la gloria di Dio e in onore della potente preghiera di Gesù. Rimisi la Filocalia nel suo sacco, mi sedetti accanto a lei ed essa cominciò il suo racconto: – Ero una bella ragazza; i miei genitori mi fidanzarono; alla vigilia del matrimonio il fidanzato stava per entrare in casa nostra quando all’improvviso (e gli mancavano pochi passi) vacillò, e lo vedemmo cadere come colpito dal fulmine! La cosa mi lasciò un’impressione così forte che decisi di rimanere vergine e di andare a visitare i santi luoghi pregando Dio. Avevo però paura di andarmene da sola in un viaggio tanto lungo, perché, attirati dalla mia giovinezza, i malintenzionati avrebbero potuto darmi noia. Una vecchia signora, che da tempo conduceva una vita errante, mi insegnò che si doveva recitare senza posa la preghiera di Gesù e mi garantì che la preghiera mi avrebbe preservata da –ogni pericolo lungo la strada. Credetti alle sue parole, e infatti non mi è mai successo niente, anche nelle regioni più lontane; i miei genitori mi provvedevano il denaro per poter viaggiare. Invecchiando, sono diventata inferma, e per fortuna il prete di qua mi fornisce il cibo e mi aiuta per bontà. Ascoltai con gioia il suo racconto e non sapevo come ringraziare Dio per questa giornata che mi aveva rivelato esempi così edificanti. Un po’ più tardi chiesi a quel buon prete di benedirmi e ripresi la mia strada, pieno di gioia.   Sulla via di Kazan Sentite: non molto tempo fa, quando attraversai il governatorato di Kazan per venire fin qui, potei un’altra volta conoscere gli effetti della preghiera di Gesù; anche per coloro che la praticano inconsciamente, essa è veramente il mezzo più sicuro e più rapido per ottenere i beni spirituali. Una sera mi dovetti fermare in un villaggio tartaro. Addentrandomi nella via principale, scorsi davanti a una casa una carrozza e un cocchiere russo; i cavalli erano staccati e pascolavano lì presso. Tutto lieto, decisi di chiedere un letto in quella casa dove avrei trovato per lo meno dei cristiani. Mi avvicinai e chiesi al cocchiere che era la persona che egli conduceva in carrozza. Rispose che il suo padrone andava da Kazan in Crimea. Mentre noi due parlavamo insieme, il padrone scostò la tenda di cuoio della portiera, mi gettò un’occhiata e disse: – Vorrei passare la notte qui, ma non entro nella casa dei Tartari perché sono molto sporchi, e così dormirò nella carrozza. Dopo qualche tempo, il signore uscì per fare quattro passi. Era una bella serata, e ci mettemmo a parlare. Ci rivolgemmo reciprocamente parecchie domande; infine egli mi raccontò questa storia: – Fino a sessantacinque anni ho prestato servizio nella flotta come capitano di marina. Invecchiando mi son preso la gotta e così mi sono ritirato in Crimea nella proprietà di mia moglie; ero quasi sempre malato. Mia moglie era lieta di poter dare ricevimenti e le piaceva molto giocare a carte. Finì per non poterne più di quella vita con un malato e se ne andò a Kazan dalla nostra figliola che ha sposato un funzionario; portò con sé ogni cosa, anche i domestici e mi lasciò come servo un ragazzetto di otto anni, mio figlioccio. Così rimasi tutto solo per tre anni. Il mio ragazzetto era svelto, riassettava la stanza, accendeva il fuoco, cuoceva la mia zuppa di semolino e mi preparava il tè. Ma era anche un vero discolo, correva, gridava, giocava, urtava dappertutto e mi disturbava parecchio; sia perché ero malato, sia perché mi annoiavo, leggevo molto volentieri gli autori spirituali. Avevo un ottimo libro di Gregorio Palamas sulla preghiera di Gesù. Leggevo quasi senza interruzione e recitavo a tratti la preghiera. Il rumore del ragazzo mi riusciva sgradevole; né i rimproveri, né i castighi servivano a trattenerlo dal far delle sciocchezze. Finii per escogitare un mezzo: lo costrinsi a sedere nella mia stanza su un panchettino e a ripetere senza posa la preghiera di Gesù. All’inizio mi pareva poco persuaso, tanto che, per sottrarsi, stava zitto. Ma per costringerlo a eseguire il mio ordine, presi le verghe e me le posi accanto. Quando il ragazzo diceva la preghiera, io leggevo tranquillamente e stavo a sentire quello che diceva lui; ma appena stava zitto, gli mostravo le verghe e il ragazzo, intimorito, si rimetteva a pregare; il sistema stava producendo già i suoi benefici: in una casa cominciava a regnare la calma.

domenica 12 ottobre 2014

PANE SPEZZATO

''Venite e gustate quant'è buono il Signore''
DAL LIBRO DELLA SAPIENZA
PARTE SECONDA
Capitolo 6
II. SALOMONE E LA RICERCA DELLA SAPIENZA
I re devono ricercare la sapienza
La sapienza si lascia trovare


PER RIFLETTERE INSIEME…
Leggendo il titolo, il sottotitolo e il capoverso di questo sesto capitolo, l’attenzione è stata subito catturata da alcune parole, incontrate già tante volte, ma che, chissà perché,  oggi, in modo particolare, sembrano quasi volersi schiudere e dar vita a delle riflessioni che mi sembrano interessanti ed importanti per un cristiano; spezzando il PANE DELLA PAROLA ci si rende conto che ogni parola porta con sé una marea di concetti sui quali è bene soffermarsi un po’ di più rispetto alla quotidiana superficialità con la quale un po’ tutti, compresi i cristiani, si avvicinano agli argomenti di fede, perché hanno la forza di portarci in profondità e migliorarci, smuovendo, in noi, antiche incrostazioni o aprendo porte chiuse da tempo se non da sempre.
Cominciamo, dunque, dal titolo dal quale prendiamo in prestito due termini e riflettiamo su ciò che vogliono dirci, inserendoli prima in un contesto di spiritualità cristiana e poi trasportandoli in un contesto di ‘’cultura mondana’’ per vedere e verificare ciò che essi diventano nel passaggio da un livello all’altro, da un contesto all’altro.
Dal titolo ‘’Salomone e la ricerca della Sapienza’’ estrapoliamo i termini ‘’ricerca’’ e ‘’Sapienza’’ e cerchiamo di capire cosa si intende dire con essi e cosa oggi ci dicono realmente.
In termini spirituali, possiamo dire che la ricerca è il filo conduttore della nostra fede: ’cercate prima il Regno di Dio… cercate e troverete… il buon Pastore cercò la pecorella smarrita… la donna cercò la dramma perduta… la folla cercava Gesù e gli andava dietro, lo seguiva… Gesù cercò tra la folla chi gli avesse toccato il mantello…’’.
Sono solo alcuni esempi, ma si potrebbe proseguire a lungo, bastano però anche queste poche testimonianze per aiutarci a capire due importanti verità sulla nostra fede: se ben guardiamo in fondo a queste situazioni che i Vangeli ci propongono, noteremo immediatamente che la ricerca è bifrontale: da una parte l’uomo che deve cercare Dio, dall’altra parte Dio che va alla ricerca dell’uomo.  
Prendendo in considerazione due delle parabole più note, quella del buon pastore e quella della dramma perduta (sopra citate), possiamo dire che i gesti quotidiani di una donna che cerca la moneta perduta, pur possedendone altre nove, la gioia del pastore che, tutto contento, si mette la pecora ritrovata sulle spalle e la porta a casa, il loro rallegrarsi con gli amici e le amiche… diventano espressione dell'accurata e paziente ricerca di Dio e la sua gioia per il ritrovamento e quindi per la salvezza anche di un solo peccatore; sia la donna che il pastore rappresentano, infatti, Dio e ci fanno capire che è Lui a prendere l’iniziativa, a fare il primo passo incontro a noi, anzi a non fermarsi se prima non ci ha ritrovati, a cercarci dovunque, anche tra i rovi, anche negli angoli più bui, come la donna che spazza la casa accuratamente per ritrovare ciò che ha perso e che per lei è molto prezioso.
Da queste parabole emerge anche un’altra verità: la pecorella apparteneva all’ovile del pastore, come la moneta apparteneva alla donna, quando sono state smarrite la donna e il pastore non si sono dati pace fino a quando non sono ritornate nelle loro mani; questo ci dice che la moneta e la pecorella, che rappresentano le creature umane, appartengono a Dio, vengono da Lui, per questo non può darsi pace fino a quando tutte le sue creature non siano ritornate nelle Sue Mani.
Dio, dunque, va alla ricerca delle sue creature perché Gli appartengono, sono sue e come qualsiasi padre della Terra non può smettere di cercare i suoi figli smarriti sulle strade impetuose del mondo, non può non essere preoccupato per loro, per i pericoli che corrono, per gli agguati tesi dai lupi sempre pronti ad azzannarli.
Dio cerca l’uomo per amore, perché chi ama non può sopportare la lontananza o il pensiero che la persona amata possa essere in pericolo e non fare niente per proteggerla o per salvarla dai pericoli del mondo.
Dal canto suo, anche l’uomo DEVE fare altrettanto: ‘’cercare Dio’’, su espresso invito di Dio: ‘’cercate prima le cose di lassù’’, ma l’uomo pare essere sordo a quest’invito, non sempre lo prende in considerazione, potremmo anche dire (non senza tristezza!) che nella maggior parte dei casi non lo fa e, se dovesse farlo, lo fa in maniera sbagliata, in luoghi sbagliati, per motivi sbagliati, ne abbiamo un esempio nel Vangelo di Matteo 22, 1-14, in cui Gesù presenta il regno dei cieli e dice che esso è ‘’simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio.
Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire.
Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.
Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari;
altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.
Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni;
andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.
Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali.
Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale,
gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì.
Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.
Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti’’.
Questo brano non potrebbe descrivere meglio la condizione e il comportamento dei cristiani di oggi nei confronti della chiamata di Dio, del Suo invito a Nozze!
Pensate: Dio non ci sta invitando al Calvario,  al martirio, alla sofferenza: ci sta invitando a nozze!!!
Quale situazione più piacevole, felice ed invitante di un banchetto di nozze?
Chi mai direbbe no ad un pranzo nuziale… a casa di un re addirittura?
Quale onore sarebbe mai questo? Chi oserebbe rifiutare l’invito di un re? Chi?
È il sogno proibito di tanta gente!
Eppure, qui si dice che quell’invito fu disertato, ignorato, contestato, rifiutato!
Ma come? Chi può avere il coraggio di dire no ad un banchetto regale?
Noi! Proprio noi, cristiani adulti e convinti della solidità della nostra fede!
Noi, che aspiriamo ad alti onori, rifiutiamo l’onore più grande: un invito a nozze da parte di un Re!
È paradossale, ma è la nostra realtà, sono le nostre scelte: rifiutare l’invito di Dio, al Suo banchetto, alla Sua sequela, a metterci in cerca di Lui.
Non solo rifiutiamo di cercarlo, volontariamente decidiamo di ignorarne la Presenza, ma anche quando è Dio che ci cerca… noi preferiamo ignorarLo, non ci interessa l’essere cercati dal Re:
non vogliamo cercarLo e non vogliamo essere cercati da Lui!
Papa Francesco, nell’omelia della SANTA MESSA IN OCCASIONE DELL’APERTURA DELLA III ASSEMBLEA GENERALE STRAORDINARIA DEL SINODO DEI VESCOVI del 5 ottobre scorso, così afferma: ‘’Il sogno di Dio si scontra sempre con l’ipocrisia di alcuni suoi servitori. Noi possiamo "frustrare" il sogno di Dio se non ci lasciamo guidare dallo Spirito Santo. Lo Spirito ci dona la saggezza che va oltre la scienza, per lavorare generosamente con vera libertà e umile creatività.’’
Il Sogno di Dio è che l’uomo ricambi liberamente il Suo Amore, che ritorni nelle Sue  Mani, che desideri prender parte al Suo Banchetto di nozze!
Sta all’uomo realizzare il Sogno di Dio che ha al centro la Vita Eterna della Sua creatura.
È difficile, molto difficile pensare che all’uomo tutto questo non interessi, è molto strano che all’uomo non stia a cuore la sua stessa salvezza, un’ Eternità immersa nell’Amore di Dio! C’è qualcosa di più desiderabile di questo?
Certo che no! Eppure sembra che all’uomo importi davvero poco tutto questo!
Il suo rinunciare all’invito del Re, ora come allora, conferma la sua indifferenza per i Beni promessi ed offerti gratuitamente da Dio.
Nonostante la risposta negativa e anche violenta dei primi invitati al banchetto, Dio, però, manda ancora i suoi servi a cercare altri invitati, buoni e cattivi, tutti quelli che si incontrano ai crocicchi delle strade: tutti!
Solo l’amore infinito di un Padre può essere così perseverante, testardo si potrebbe dire, da non arrendersi, nonostante la grande mortificazione ricevuta per il rifiuto dei suoi ospiti prediletti
Nonostante l’indifferenza e il dolore che l’uomo Gli procura, nonostante i suoi tradimenti, le delusioni, le offese, le violenze, l’uccisione addirittura del Suo Figlio unigenito, Dio continua a cercare l’uomo e lo fa perché è Lui che VUOLE FARLO, è Lui che decide liberamente di mettersi in cerca della sua creatura: della pecorella smarrita, della donna che Gli va dietro per chiedere aiuto per le sue infermità… Dio si mette alla ricerca dell’uomo, di qualunque uomo e non basta: non solo lo fa Lui stesso di Persona, ma chiama, prepara e manda anche i suoi operai, i suoi servi, i suoi profeti, i suoi ministri, i suoi pastori, perchè si mettano con Lui in cerca della creatura che non comprende l’importanza, la necessità, l’urgenza della ricerca e la bellezza della Sua Presenza nella sua vita, la preziosità dei Suoi Doni.
In questa ricerca spirituale, abbiamo detto, dunque, che c’è un duplice movimento: quello dell’uomo verso Dio e quello di Dio verso l’uomo, l’uno e l’Altro si cercano, si desiderano, si attendono, hanno bisogno l’uno dell’Altro… ma se Dio resta fedele alla sua ricerca, se non molla mai, neanche di fronte ai casi più disperati e irrecuperabili, l’uomo, invece, stenta a mettersi in cammino e se lo fa cammina lentamente, arrancando, fermandosi spesso, ritornando altrettanto spesso sui suoi passi, cambiando strada, dimenticando il punto di arrivo, scoraggiandosi per la fatica, dubitando della sua necessità… la ricerca è dunque un cammino, arduo, faticoso, lungo, pieno di pericoli e di agguati, un cammino in cui ci si trova ad attraversare luoghi loschi e tenebrosi, pantani scivolosi, strade tortuose, deserti inariditi, oceani profondissimi, luoghi insidiosi… un cammino che non garantisce l’arrivo certo alla meta, dunque, per le tante difficoltà e le tante occasioni di smarrimento.
Un cammino che non invita certo alla sua percorrenza, considerato tutto ciò che richiede e che mette in conto sin dall’inizio… ma nonostante questo… resta un cammino da fare, che dobbiamo fare, che dobbiamo VOLER FARE; ed è in questa VOLONTA’ il segreto della sua buona riuscita: per dare inizio alla ricerca bisogna volerlo, volerlo fortemente, parafrasando Alfieri potremmo dire con lui: ‘’volli, sempre volli, fortissimamente volli’’; con questa sua famosissima espressione, contenuta nella Lettera responsiva a Ranieri de’ Casalbigi, scritta da Siena il 6 sett. 1783, il poeta esprime il fermo impegno che aveva assunto con sé stesso, dopo l’applaudita rappresentazione della sua prima tragedia, la Cleopatra, di compiere ogni sforzo per diventare autore tragico.
Ecco il segreto ‘’compiere ogni sforzo’’: compiere vuol dire ‘’fare concretamente, non virtualmente, non idealmente, non ideologicamente, ma operativamente’’, quel ‘’compiere’’ ci indica che c’è qualcosa che va fatto e va fatto con un impegno costante, continuo, perseverante, comprensivo di ogni sforzo, di ogni fatica, di ogni difficoltà, di volontà di superare ogni ostacolo che potrebbe impedire o almeno rallentare la ricerca stessa.
Come possiamo ben capire, dunque, la ricerca non è una passeggiata, non è un impegno per il weekend, non è un optional fra i tanti impegni quotidiani, considerati sempre impellenti, necessari e urgenti… no, non è affatto limitato a determinate fasce d’età o a determinati individui che scelgono una strada e non un’altra, non è limitata a determinati periodi storici o a particolare luoghi di culto…: la ricerca appartiene ad ogni uomo, perché’ siamo ‘’cercatori’’ per natura, e questo  senso di appartenenza non è ‘’un mantello’’ o un costume che si può indossare o meno a piacimento o all’occorrenza, è un’appartenenza inscindibile dalla natura stessa dell’uomo, un ’’abito interiore’’ potremmo dire, qualcosa di così intimo a se stesso dal quale non può, neanche volendolo, separarsene mai, perché gli appartiene, gli è congenito, gli è naturale, connaturale alla sua stessa identità di creatura.
La ricerca dunque non è separabile dall’uomo, non è da lui distinguibile, ragion per cui se l’uomo non dà avvio a questa ‘’ricerca’’ snatura se stesso, rinuncia ad una parte fondamentale di se stesso, perché per sua conformazione spirituale non può non mettersi in ricerca!
E allora perché tanti non lo fanno?
Semplicemente perché è più facile vivere senza mettersi alla ricerca di un Qualcosa o meglio di un Qualcuno che potrebbe interferire con la beatitudine del dormiveglia quotidiano, che è l’unica beatitudine che l’uomo, moderno e non, conosce, desidera e fa di tutto perché non gli venga tolta!
Ecco, a proposito di beatitudini, possiamo dire con sicurezza che sono proprio esse la strada privilegiata per la ricerca, esse non solo ce ne indicano il percorso, ma si pongono come gradini perfetti per condurre alla meta, al Luogo per il quale ci mettiamo in cammino.
Ma le beatitudini sono dure, virtuose sì, ma impegnative, faticosissime, ci obbligano a mettere in gioco tutto noi stessi, anche quelle parti che sonnecchiano da sempre, anche quelle parti scomode di noi che ci fanno andare in crisi, che ci creano dubbi, ci ingombrano la mente e il cuore con domande alle quali non sappiamo rispondere o abbiamo paura di rispondere.
La ricerca in se stessa è un cammino arduo, tuttavia non occorre essere eroi per percorrerlo, non occorre avere superpoteri per farcela, non occorre essere dei nababbi per poter comprare soluzioni o traguardi altrimenti inarrivabili… il paradosso inspiegabile sta proprio in questo: cammino difficile… ma non impossibile, faticoso … ma pur percorribile da tutti!
Come può accadere tutto questo?
Se c’è da mettere in conto mille difficoltà, mille ostacoli, pericoli, fatica, una gran dose di sofferenza, di ingiustizie da subìre… come è possibile farcela senza mezzi e senza denari!
La risposta ce la dà Maria nell’ultimo messaggio di Medjugorje, quello del 2 ottobre scorso: ‘’Mio Figlio rianimerà la vostra fede e purificherà i vostri cuori, perché mio Figlio ama con cuore puro ed i cuori puri amano mio Figlio. Solo i cuori puri sono umili e hanno una fede salda. Io vi chiedo cuori del genere, figli miei!’’
I cuori puri amano Mio Figlio e Mio Figlio ama i cuori puri: ecco, un cuore puro è tutto quello che occorre per iniziare la ricerca, portarla avanti e avere la certezza di raggiungere la meta, altissima Meta!
Un cuore puro è il segreto per raggiungere la meta, ce lo rammenta oggi Maria, con materno affetto e premura, ma già nelle beatitudini Gesù ci aveva indicato la strada: beati i puri di cuore, beati i poveri in spirito, beati gli afflitti, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, beati i misericordiosi, beati gli operatori di pace, beati i perseguitati per causa della giustizia: beati voi perché vostro è il regno dei Cieli, vostra è la Meta finale della ricerca; così come ci ricorda anche san Paolo quando ci dice di aver impegnato tutta la sua vita per giungere a quella meta tanto ambìta: la salvezza della sua anima!
Volendo far sintesi di tutto quanto fin qui detto, potremmo così concludere ‘’IL REGNO DEI CIELI E’ UN REGALO CHE VA, PERÒ, RICERCATO E CONQUISTATO’’.
E va conquistato con fatica, perché più alta è la Meta, più alto deve essere l’impegno per raggiungerla, come tutte le cose importanti, per questo necessita dell’aiuto di un compagno di viaggio ‘’speciale’’: lo Spirito Santo, la Guida di Dio, il Suo Braccio  che guida, accompagna, ammaestra, invita, protegge, soccorre, raddrizza, corregge, istruisce, purifica, riempie, insegna, guarisce, perdona e rianima, protegge e va alla ricerca di chi si è perduto.
Per quanto riguarda il nostro impegno personale, esso ha a che fare, in questo caso, con la nostra volontà di iniziare il cammino e di mettere  in pratica le beatitudini: distaccare il cuore dalle ricchezze; soffrire rassegnati le tribolazioni, affliggersi per i peccati commessi, per i mali e per gli scandali che si vedono nel mondo, per la lontananza dal paradiso e per il pericolo di perderlo, trattare il prossimo con dolcezza, soffrire con pazienza i difetti e i torti che da essi si ricevono, senza lamentele, risentimenti o vendette, desiderare ardentemente crescere sempre più nella divina grazia e nell'esercizio delle opere buone e virtuose, amare Dio e per amor di Dio il prossimo, aver compassione delle miserie altrui sia spirituali che corporali, cercare di sollevarli secondo le proprie forze e il proprio stato, non aver alcun affetto al peccato e cercare di starne lontani, schivare ogni sorta di impurità, conservare la pace col prossimo e con se stessi, cercano di mettere pace tra quelli che sono in discordia, sopportare con pazienza le derisioni, i rimproveri e le persecuzioni per causa della fede e della legge di Gesù Cristo.
A coloro che riescono a vivere secondo queste modalità, Dio promette diversi premi: il regno dei cieli, la consolazione, la terra in eredità, la misericordia di Dio, il vedere Dio, l’essere chiamati figli di Dio… premi che potremmo sintetizzare in un unico grande e definitivo premio: la gloria eterna del cielo, la salvezza!
Ricapitolando: siamo partiti dalla necessità  connaturata nell’uomo di cercare Dio, dalla Volontà di Dio di cercare l’uomo; abbiamo visto quale percorso deve fare colui che decide di mettersi in cammino alla ricerca della Verità. Abbiamo visto i pericoli e le fatiche, ma anche la grandezza del Premio finale.
Potremmo dire ancora che la ricerca di Dio da parte dell’uomo e la ricerca  dell’uomo da parte di Dio hanno il loro termine in un abbraccio meraviglioso che si compendia in una trasfigurazione di straordinaria bellezza: non son più io che vivo, ma Cristo che vive in me!
Una ricerca che porta ad identificarsi con Cristo: un solo pensiero, un solo cuore, una sola volontà!
Una ricerca che mette in movimento ogni fibra del proprio essere, corporeo e spirituale; una ricerca che impegna una vita intera, che spinge a stare all’erta, vigili, consapevoli; una ricerca che non prevede soste, fermate, inversioni di marcia, dubbi; una ricerca che non permette sedentarietà, indifferenza, dormiveglie, sonnolenze, appiattimenti, compiacimenti, scoraggiamenti, disperazioni.
Una ricerca che ha come termine una Meta alta, molto alta, alla quale l’anima anela e lo spirito tende sin dal primo istante della sua esistenza terrena!
Ecco, se noi pensiamo al significato di ‘’ricerca’’ in campo spirituale, la ricerca implica tutto questo e molto altro ancora: una vita in gioco dal primo all’ultimo istante, in continuo cammino, in continua crescita, in continua sfida con se stessi, tesa, anelante all’incontro con il Suo Creatore.
Il pericolo vero, come sempre, viene dall’interno del nostro cuore: la convinzione di aver trovato Dio una volte e per tutte e di non doverlo più cercare!
Siamo cercatori (quando lo siamo)  che si arrendono al primo incontro, convinti di essere ormai al sicuro, di non aver più bisogno di cercarlo, di raggiungerlo, di incontrarlo: fatto una parte del cammino, ci si convince di averlo fatto tutto.
No. Non è così.
Chi può conoscere Dio al primo incontro? Chi può sondare le sue abissali profondità?
Chi può conoscere Dio ad un semplice sguardo? Chi può dire di possederlo per averlo incontrato una sola volta?
La ricerca vera è fatta di continui incontri, di ripetuti e sempre più approfonditi incontri, di un bisogno e un desiderio che si rinnovano ad ogni incontro.
Di un anelito che non si spegne mai, che non si sazia mai, che non ha mai fine… se prima non si è al sicuro nelle Sue Mani.
La ricerca è per sempre!
La ricerca è continua!
La ricerca non va mai fermata!
La ricerca termina solo quando si è giunti alla meta finale: quando ci si può sedere al Suo Banchetto di nozze, perché solo allora si potrà avere la certezza che nessuno potrà mai più ostacolare quell’incontro, quell’abbraccio, quella Gioia!
Solo quando potremo nutrirci alla Sua Mensa liberamente e continuativamente.
Il nostro vero problema è quello di essere convinti che ci basti uno sguardo appena per aver già conquistato ogni cosa: illusione, utopia, inganno il nostro!
Dio è una conquista continua. Uno scoprirLo e un perderLo  continuamente.
Un continuo conoscerLo e poi  smarrirsi. Un continuo cercarLo e  smettere di cercarLo .
Un continuo trovarLo e perdere ciò che si è trovato .
Un continuo comprenderLo e dubitare di Lui .
È una ricerca che avrà termine solo quando potremo vederlo faccia a faccia, solo allora potremo dire di averLo incontrato per sempre!

Se invece pensiamo al significato di ‘’ricerca’’ in campo mondano, ecco che il significato cambia totalmente, così come cambiano le modalità e le mete: la ricerca è legata ad un miglioramento delle condizioni di vita o di salute di un uomo; un miglioramento che non è mai definitivo ma sempre provvisorio, anche nelle migliori delle esperienze.
La ricerca implica un impegno di spesa non indifferente, un impegno di risorse, di energie, di tempo; ogni ricerca, inoltre, viene sempre superata da un’altra ricerca, da un altro esperimento, che può confermare o meno quello precedente.
Si parla di ricerca scientifica, ricerca tecnologica, ricerca medico-sanitaria, ricerca culturale… ci sono tanti tipi di ricerca, ma il fine è sempre lo stesso: migliorare le condizioni di vita terrena. Condizioni di vita provvisori, limitati nel tempo.
Ecco dove sta la differenza: la ricerca spirituale porta alla conquista dell’eternità, quella mondana porta ad un miglioramento temporaneo, legato a bisogni umani, mai definitivo, mai interamente o veramente sicuro.
Un ricercare che porta a conclusioni diverse, di epoca in epoca, ma la differenza drammatica vera è un’altra: se da una parte si tiene in grande considerazione e si riconosce la necessità della ricerca nei campi dello scibile umano, se si apprezzano e si stimano molto coloro che fanno questo tipo di ricerca, dall’altra si sminuisce e a volte si disprezza coloro che avviano un cammino di ricerca spirituale.
Sì, uno dei grandi limiti e ostacoli che incontra chi si appresta a mettersi in cammino spiritualmente è la non considerazione del mondo della necessità di tale cammino, l’indifferenza o l’inutilità verso tale cammino.
Abbiamo già detto che la ricerca assume significati e necessità diverse a secondo dell’ ambito in cui essa viene fatta: tutto ciò che riguarda la corporeità, la fisicità e il vivere terreno è accettabile e necessario, tutto ciò che riguarda la ricerca spirituale è inutile, tempo perso, insignificante… e se qualcuno volesse comunque  accingersi ad intraprendere questo cammino diviene subito oggetto di derisione, in primis nella propria famiglia o nel proprio ambiente di vita, lavorativo o sociale, oppure, non essendoci molti padri spirituali a disposizione,  si lascia guidare dalle suggestioni, dalle provocazioni, o direi dalle storpiature pseudoculturali che girano sui massi media, al primo posto su Internet.
Perché?
Perché siamo abituati a leggere ogni cosa in termini materiali, si parla di ricerca soltanto in riferimento alla scienza o alla tecnologia, il campo dello spirito viene considerato un campo morto, o almeno moribondo, statico, senza spessore e senza altezze.
Ovviamente questa è la considerazione che il mondo ne ha, che non è certo la verità.
Ecco: si è in ricerca in ogni campo, per essa si organizzano campagne pubblicitarie e raccolti di fondi… ma la ricerca finisce quando finiscono i bisogni materiali o i fondi: giunti alle soglie dello spirito la ricerca fa inversione di marcia e prende strade diverse.
Così facendo ci perdiamo la parte migliore della nostra vita, quella più piena ed interessante, quella veramente urgente e necessaria da migliorare e far crescere!
Il mondo ha dettato le sue regole e noi le abbiamo accettate, dimenticando quelle che Dio stesso ha scritto nel nostro cuore: amerai il tuo Dio con tutta l’anima e con tutte le tue forze.
Al primo posto: Dio!
La ricerca spirituale porta a mettere in pratica questo comandamento, spinge ad amare sempre più il proprio Creatore, ma il mondo ci mette davanti mete diverse, che sembrano sempre più necessarie e più urgenti… ma cosa ci può essere di più necessario o di più urgente … se non la conquista della vita eterna?
Pare proprio che al mondo questo tipo di ricerca interessi davvero poco?
E a te cristiano? A te che dici di voler seguire Gesù?
A te che ti vanti delle  tue conquiste, dei tuoi  progressi materiali o culturali?
Sei davvero disposto a metterti in gioco fino in fondo?
Sei o siamo davvero disposti a metterci in ricerca della Verità?
Della Verità della tua/nostra esistenza?
Il tuo/nostro pensiero è legato soltanto alle ricerche della scienza umana?
La Sapienza che brami/bramiamo è quella del mondo o quella del Cielo?
E qui introduciamo l’altro concetto che il mondo ha fatto proprio e lo propone soltanto in sensi e significati mondani a volte anche pseudoscientifici: la Sapienza.
Chi è il sapiente per il mondo e chi è il sapiente per la Chiesa?


La risposta… nella seconda parte!

UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 37)



Sei anni dopo questo fatto, passando davanti a un convento di monache, entrai in chiesa per pregare. La priora mi accolse affabilmente in parlatorio dopo l’ufficio e mi fece portare del tè. A un tratto furono annunciati ospiti di passaggio; essa andò loro incontro a mi lasciò con le monachine che la servivano. Vedendo una di loro versare timidamente il tè, mi venne la curiosità di chiederle: – Siete qui da molto tempo, sorella? – Cinque anni – rispose –; quando mi hanno portato qui non avevo più la testa a posto, ma Dio ha avuto pietà di me. La madre superiora mi ha presa con sé nella sua cella e mi ha fatto pronunciare i voti. – E come avete perso la ragione? – chiesi ancora. – Per lo spavento. Lavoravo in una stazione di posta. Una notte, mentre dormivo, un tiro di cavalli irruppe dalla finestra demolendo tutto, e io per lo spavento diventai pazza. Per un anno intero i miei genitori mi hanno condotta in pellegrinaggio nei luoghi santi. Bene, solo qui ho potuto guarire. A queste parole mi rallegrai in cuor mio e glorificai Dio, la cui sapienza fa rivolgere a nostro bene tutte le cose.  – Ho avuto molte altre avventure – dissi rivolgendomi al mio padre spirituale –. Se volessi raccontarle tutte, non basterebbero tre giorni. Se volete, vene racconterò ancora una. In una limpida giornata d’estate vidi a qualche distanza dal sentiero un cimitero, o meglio doveva trattarsi di una comunità parrocchiale con la chiesa, le case dei servi del culto e il cimitero. Le campane suonavano per l’ufficio; mi affrettai verso la chiesa. Anche le persone di là vi si stavano dirigendo; ma molti sedevano sull’erba prima di entrare in chiesa e, vedendo che io mi affrettavo, mi dicevano: – Cosa vuoi correre? Hai tempo, hai tempo; il servizio è lentissimo, il prete è malato e poi è un posapiano di quelli… In realtà la liturgia non si svolgeva molto in fretta; il prete, giovane ma pallido e secco, celebrava lentamente, con pietà e sentimento; alla fine della Messa pronunciò un’ottima predica sui mezzi per acquistare l’amore di Dio. Il prete mi invitò a mangiare con lui. Durante il pasto gli dissi: – Voi dite l’ufficio con grande pietà, padre mio, ma anche tanto adagio! – Sì – rispose lui – questo non va troppo a genio ai miei parrocchiani, e quelli brontolano, ma non c’è niente da fare; perché a me piace meditare e pesare ogni parola prima di cantarla; le parole, se manca questo sentimento interiore, non hanno più valore né per me, né per gli altri. Tutto consiste nella vita interiore e nella preghiera attenta! Ah – aggiunse – quanto poco ci si occupa dell’attività interiore! Non la si vuole, e allora non si ha cura dell’illuminazione spirituale interiore. Gli chiesi ancora: – Ma come si può fare per arrivarci? È una cosa molto difficile! – Affatto; per ricevere l’illuminazione spirituale e diventare un uomo interiore, si deve prendere un testo qualsiasi della Sacra Scrittura e concentrarvi il più a lungo possibile tutta l’attenzione. Con questo sistema si scopre la luce dell’intelligenza. Per pregare bisogna agire nello stesso modo; se vuoi che la tua preghiera sia dritta, pura ed efficace, devi scegliere una preghiera breve, e ripeterla a lungo e spesso: si prende gusto alla preghiera. L’insegnamento del prete mi piacque, perché era pratico e semplice e insieme profondo e saggio. Ringraziai Dio in spirito per avermi fatto conoscere un vero pastore della sua Chiesa. Alla fine del pasto il prete mi disse: – Va’ a riposarti un poco, devo leggere la parola di Dio e preparare la mia predica per domani. 

sabato 11 ottobre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 36)



Per due giorni il tempo rimase alla pioggia, e la strada era così fangosa che non si poteva uscire dal pantano. Passai per la steppa e per quindici verste non trovai un luogo abitato; infine, verso sera, scorsi una locanda sul ciglio della strada e mi rallegrai tutto al pensiero che avrei potuto riposare in un letto e trascorrere la notte al riparo. E l’indomani, a Dio piacendo, il tempo sarebbe stato forse un po’ migliore. La stazione di posta. Avvicinandomi, scorsi un vecchio, vestito con un cappotto militare; era seduto sulla scarpata davanti alla locanda e aveva l’aria di essere ubriaco. Lo salutai e dissi: – Posso chiedere a qualcuno il permesso di dormire qui, stanotte? – E chi altri se non io può farti entrare? – esclamò il vecchio – Il padrone, qui, sono io! Sono mastro di posta e qui è la posta dei cavalli.– Bene, lasciatemi passare la notte da voi, padre mio. – Ma… hai un passaporto? Fammi vedere i tuoi documenti!– Gli mostrai il mio passaporto, e mentre lo teneva in mano, il vecchio gridava: – Dov’è il tuo passaporto? – Lo avete in mano – gli risposi. – Bene, entriamo in casa. Il maestro di posta inforcò gli occhiali, guardò il passaporto e disse: – Ma ha l’aria di essere in regola; puoi rimanere qua; vedi, sono un galantuomo; prendi, ti porterò un bicchierino. – Non bevo – gli risposi. – Non fa nulla! Beh, almeno cena con noi. Sedette a tavola con la cuoca, una giovane donna che aveva bevuto anche lei la sua parte, e mi sedetti accanto a loro. Per tutta la cena essi continuarono a discutere e a muoversi aspri rimproveri, e infine ne nacque un vero e proprio litigio. Il mastro se ne andò a dormire nella dispensa e la cuoca rimase a lavare tazze e cucchiai, imprecando contro il vecchio. Io stavo seduto e, vedendo che non accennava a calmarsi, le dissi: – Dove potrei coricarmi, io, piccola madre. Sono stanco morto per tutta la strada che ho fatto. Ti preparo subito un letto, piccolo padre. Collocò una panca accanto a quella che era fissa sotto la finestra dirimpetto e vi stese una coperta di lana e un guanciale. Io mi distesi, chiusi gli occhi e feci finta di dormire. Per un bel po’ la cuoca continuò ad agitarsi per la stanza; infine, terminato il suo lavoro, spense la luce e si avvicinò a me. In quell’istante la finestra d’angolo che dava sulla strada crollò con un fracasso assordante; intelaiatura, vetri e imposte volarono in pezzi; contemporaneamente si intesero dalla strada gemiti, urla e rumore di lotta. La donna, atterrita, balzò in mezzo alla stanza e cadde a terra. Io saltai giù dal pancone, credendo che la terra si aprisse sotto i miei piedi. A un tratto vidi due postiglioni che portavano nell’izba un uomo insanguinato, tanto che non si distingueva più nemmeno la faccia. Questa scena accrebbe la mia angoscia. Era un corriere dello zar che doveva cambiare i cavalli a quella stazione. Il postiglione aveva preso male la curva per entrare e il timone aveva centrato in pieno la finestra; ma, poiché davanti all’izba c’era un fosso, la carrozza si era ribaltata e il corriere si era ferito il capo su un palo aguzzo che puntellava la scarpata. Il corriere chiese acqua e alcool per lavare la ferita. La disinfettò con acquavite, ne tracannò un bicchiere e gridò: – I cavalli, svelti! Mi avvicinai a lui e gli dissi: – Come fate a viaggiare con una ferita simile, padre mio?– Un corriere non ha tempo di essere ammalato – rispose e scomparve. I postiglioni trascinarono la donna in un canto presso il focolare e la coprirono con una stuoia dicendo:– È stato lo spavento che ha preso. Il mastro di posta, dal canto suo, si versò un bicchierino e tornò a dormire. Io rimasi solo. Poco dopo, la donna si alzò e si mise a camminare per la stanza come una sonnambula; infine uscì di casa. Feci una preghiera e, sentendomi debolissimo, mi addormentai poco prima dell’alba. 
Il mattino dissi addio al mastro di posta e, camminando per la strada, innalzai la mia preghiera con fede, speranza e riconoscenza al Padre di misericordia e di ogni consolazione, che aveva allontanato da me un’imminente disgrazia.