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UN RACCONTO PER L'ESTATE |
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 24)

Un giorno mi trattennero a pranzo. La moglie del
castaldo, una simpatica vecchia signora, stava con noi e, mentre mangiava del
pesce ai ferri, inghiottì una lisca. Malgrado tutti i nostri sforzi, non
riuscimmo a liberarla; ed essa accusava un forte male alla gola e dopo un paio
d’ore dovette mettersi a letto. Si mandò a cercare un medico a trenta verste da
lì, e io tornai nella mia stanza piuttosto rattristato. Durante la notte io,
che avevo il sonno molto leggero, sentii la voce del mio starets, ma non vidi
alcuno. La voce mi diceva: – Il tuo padrone ti ha guarito e tu non puoi far
nulla per il castaldo? Dio ci ha ordinato di andare incontro al nostro prossimo
che soffre. – Lo aiuterei più che volentieri, ma in che modo? Non so proprio
alcun rimedio. – Ecco che cosa bisogna fare: essa ha sempre avuto una
ripugnanza fortissima per l’olio di ricino; basta l’odore per provocarle la
nausea; se tu le dai un cucchiaio di olio di ricino, lei vomiterà, uscirà la
lisca e l’olio lenirà la ferità della gola; così quella povera signora guarirà.
– E come potrò farglielo bere, se lei ha una ripugnanza così forte? – Prega il
castaldo di tenerle ferma la testa e versale il liquido in bocca con mano
ferma. – Mi scossi dal sonno e corsi dal castaldo, al quale narrai ogni cosa
nei più minimi particolari. Egli mi disse: – Che vuoi che possa fare il tuo
olio? Mia moglie ha già la febbre e sta delirando, il suo collo è tutto gonfio.
In ogni modo si può tentare; se l’olio non le farà bene, non le potrà fare
nemmeno male. Versò l’olio di ricino in un bicchierino e riuscimmo a farglielo
ingoiare. Ella ebbe subito un conato di vomito e sputò la lisca con un po’ di
sangue. Si sentì meglio e si addormentò profondamente. Il giorno dopo andai per
sentire sue notizie e la trovai mentre col marito stava sorbendo il suo tè.
Erano molto stupiti della sua guarigione, e soprattutto di quello che mi era
stato detto in sogno sulla sua ripugnanza invincibile per l’olio di ricino,
perché non ne avevano mai parlato con nessuno. In quel momento arrivò il
medico: la signora gli raccontò come era stata guarita e io come il contadino
mi aveva curato le gambe. Il medico dichiarò: – Non sono due casi straordinari.
È una forza di natura che ha agito tutte e due le volte, ma me lo voglio
segnare per ricordarmelo. Trasse una matita dalla tasca e scrisse alcuni
appunti su un suo notes. Si diffuse rapidamente la voce che io ero un indovino,
un guaritore e un mago; venivano a vedermi da ogni paese, per chiedermi
consigli, per portarmi dei regali, e cominciavano a venerarmi come un santo.
Allora, dopo una settimana di queste cose, io riflettei ben bene ed ebbi timore
di cadere nella vanità e nella dissipazione. La notte dopo lasciai di nascosto
io villaggio. Così ripresi ancora una volta la mia via solitaria, leggero come
se una montagna mi fosse caduta dalle spalle. La preghiera mi consolava sempre
di più; a volte il mio cuore traboccava di un amore infinito per Gesù Cristo, e
da quella meravigliosa pienezza si spandevano in tutto il mio essere onde
benefiche. L’immagine di Gesù Cristo era così impressa nella mia anima che,
pensando agli avvenimenti del Vangelo, potevo dire di vederli proprio davanti
ai miei occhi. Ero commosso e piangevo di gioia, e talvolta sentivo nel mio
cuore una tale felicità che non la saprei descrivere. A volte restavo ben tre
giorni lontano da ogni abitato umano e con estasi mi sentivo sulla terra solo,
miserabile peccatore davanti a Dio misericordioso e amico degli uomini. Questa
solitudine faceva la mia felicità e la dolcezza della preghiera era molto più
sensibile che non il contatto con gli uomini. Infine arrivai ad Irkutsk. Dopo
essermi inginocchiato davanti alle reliquie di sant’Innocente, mi chiesi dove
potevo ormai andare. Non avevo voglia di rimanere a lungo nella città, perché
era molto popolata. Camminavo per le vie e riflettevo tra me. A un tratto
incontrai un mercante del paese che mi fermò e disse: – Sei un pellegrino?
Perché non vieni a casa mia? Arrivammo nella sua magnifica casa. Mi domandò chi
ero e gli raccontai del mio viaggio. A queste parole mi disse: – Dovresti
andare fino all’antica Gerusalemme. Laggiù c’è una santità che non è pari a
nessun’altra! – Vi andrei volentieri – gli risposi – ma non ho di che pagare la
traversata, perché il denaro che ci vuole è molto. – Se vuoi, ti posso indicare
un mezzo – disse il mercante –. L’anno scorso ho mandato laggiù un vecchio che
era nostro amico. Caddi ai suoi piedi, ed egli soggiunse: – Stammi a sentire. Io
ti darò una lettera per mio figlio che sta a Odessa e commercia con
Costantinopoli; egli ha delle navi, ti farà imbarcare fino a Costantinopoli e
di là le sue agenzie ti pagheranno il viaggio fino a Gerusalemme. Non è poi
tanto caro. Ringraziai calorosamente, colmo di gioia, il benefattore e tanto
più ringraziai Dio che manifestava il suo amore paterno per me, peccatore
indurito, che non faceva alcun bene né a sé né agli altri e che mangiava
inutilmente il pane altrui. Sono rimasto tre giorni con quel generoso mercante.
Egli mi ha dato una lettera per suo figlio e ora sto andando a Odessa nella
speranza di raggiungere la città santa di Gerusalemme. Ma non so se il Signore
mi concederà di inginocchiarmi davanti al suo sepolcro di vita.
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