giovedì 4 settembre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 24)


Un giorno mi trattennero a pranzo. La moglie del castaldo, una simpatica vecchia signora, stava con noi e, mentre mangiava del pesce ai ferri, inghiottì una lisca. Malgrado tutti i nostri sforzi, non riuscimmo a liberarla; ed essa accusava un forte male alla gola e dopo un paio d’ore dovette mettersi a letto. Si mandò a cercare un medico a trenta verste da lì, e io tornai nella mia stanza piuttosto rattristato. Durante la notte io, che avevo il sonno molto leggero, sentii la voce del mio starets, ma non vidi alcuno. La voce mi diceva: – Il tuo padrone ti ha guarito e tu non puoi far nulla per il castaldo? Dio ci ha ordinato di andare incontro al nostro prossimo che soffre. – Lo aiuterei più che volentieri, ma in che modo? Non so proprio alcun rimedio. – Ecco che cosa bisogna fare: essa ha sempre avuto una ripugnanza fortissima per l’olio di ricino; basta l’odore per provocarle la nausea; se tu le dai un cucchiaio di olio di ricino, lei vomiterà, uscirà la lisca e l’olio lenirà la ferità della gola; così quella povera signora guarirà. – E come potrò farglielo bere, se lei ha una ripugnanza così forte? – Prega il castaldo di tenerle ferma la testa e versale il liquido in bocca con mano ferma. – Mi scossi dal sonno e corsi dal castaldo, al quale narrai ogni cosa nei più minimi particolari. Egli mi disse: – Che vuoi che possa fare il tuo olio? Mia moglie ha già la febbre e sta delirando, il suo collo è tutto gonfio. In ogni modo si può tentare; se l’olio non le farà bene, non le potrà fare nemmeno male. Versò l’olio di ricino in un bicchierino e riuscimmo a farglielo ingoiare. Ella ebbe subito un conato di vomito e sputò la lisca con un po’ di sangue. Si sentì meglio e si addormentò profondamente. Il giorno dopo andai per sentire sue notizie e la trovai mentre col marito stava sorbendo il suo tè. Erano molto stupiti della sua guarigione, e soprattutto di quello che mi era stato detto in sogno sulla sua ripugnanza invincibile per l’olio di ricino, perché non ne avevano mai parlato con nessuno. In quel momento arrivò il medico: la signora gli raccontò come era stata guarita e io come il contadino mi aveva curato le gambe. Il medico dichiarò: – Non sono due casi straordinari. È una forza di natura che ha agito tutte e due le volte, ma me lo voglio segnare per ricordarmelo. Trasse una matita dalla tasca e scrisse alcuni appunti su un suo notes. Si diffuse rapidamente la voce che io ero un indovino, un guaritore e un mago; venivano a vedermi da ogni paese, per chiedermi consigli, per portarmi dei regali, e cominciavano a venerarmi come un santo. Allora, dopo una settimana di queste cose, io riflettei ben bene ed ebbi timore di cadere nella vanità e nella dissipazione. La notte dopo lasciai di nascosto io villaggio. Così ripresi ancora una volta la mia via solitaria, leggero come se una montagna mi fosse caduta dalle spalle. La preghiera mi consolava sempre di più; a volte il mio cuore traboccava di un amore infinito per Gesù Cristo, e da quella meravigliosa pienezza si spandevano in tutto il mio essere onde benefiche. L’immagine di Gesù Cristo era così impressa nella mia anima che, pensando agli avvenimenti del Vangelo, potevo dire di vederli proprio davanti ai miei occhi. Ero commosso e piangevo di gioia, e talvolta sentivo nel mio cuore una tale felicità che non la saprei descrivere. A volte restavo ben tre giorni lontano da ogni abitato umano e con estasi mi sentivo sulla terra solo, miserabile peccatore davanti a Dio misericordioso e amico degli uomini. Questa solitudine faceva la mia felicità e la dolcezza della preghiera era molto più sensibile che non il contatto con gli uomini. Infine arrivai ad Irkutsk. Dopo essermi inginocchiato davanti alle reliquie di sant’Innocente, mi chiesi dove potevo ormai andare. Non avevo voglia di rimanere a lungo nella città, perché era molto popolata. Camminavo per le vie e riflettevo tra me. A un tratto incontrai un mercante del paese che mi fermò e disse: – Sei un pellegrino? Perché non vieni a casa mia? Arrivammo nella sua magnifica casa. Mi domandò chi ero e gli raccontai del mio viaggio. A queste parole mi disse: – Dovresti andare fino all’antica Gerusalemme. Laggiù c’è una santità che non è pari a nessun’altra! – Vi andrei volentieri – gli risposi – ma non ho di che pagare la traversata, perché il denaro che ci vuole è molto. – Se vuoi, ti posso indicare un mezzo – disse il mercante –. L’anno scorso ho mandato laggiù un vecchio che era nostro amico. Caddi ai suoi piedi, ed egli soggiunse: – Stammi a sentire. Io ti darò una lettera per mio figlio che sta a Odessa e commercia con Costantinopoli; egli ha delle navi, ti farà imbarcare fino a Costantinopoli e di là le sue agenzie ti pagheranno il viaggio fino a Gerusalemme. Non è poi tanto caro. Ringraziai calorosamente, colmo di gioia, il benefattore e tanto più ringraziai Dio che manifestava il suo amore paterno per me, peccatore indurito, che non faceva alcun bene né a sé né agli altri e che mangiava inutilmente il pane altrui. Sono rimasto tre giorni con quel generoso mercante. Egli mi ha dato una lettera per suo figlio e ora sto andando a Odessa nella speranza di raggiungere la città santa di Gerusalemme. Ma non so se il Signore mi concederà di inginocchiarmi davanti al suo sepolcro di vita.


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