lunedì 1 settembre 2014


UN RACCONTO PER L'ESTATE
RACCONTI DI UN PELLEGRINO RUSSO
(pag. 22)


Molto tempo dopo ebbi un’altra avventura; e se volete, ve la racconterò. Un giorno, il 24 marzo, sentii il bisogno veramente invincibile di comunicarmi ai santi misteri di Cristo nel giorno consacrato alla Madre di Dio, in ricordo della sua annunciazione divina. Chiesi se da quelle parti ci fosse una chiesa; mi fu detto che ve ne era una a trenta verste da lì. Camminai tutto quel giorno e la notte successiva per arrivare all’ora di mattutino. Era un tempo da lupi, pioggia, neve, vento e gelo. La strada attraversava un ruscello e non avevo fatto che pochi passi quando il ghiaccio scricchiolò e cedette sotto il mio piede, così caddi in acqua fino alla cintola. Arrivai al mattutino tutto inzuppato, ma riuscii almeno ad ascoltare le preghiere e la messa, durante la quale il Signore mi permise di ricevere la comunione. Per passare quel giorno in pace, senza che nulla venisse a turbare la gioia dello spirito, chiesi a un custode di lasciarmi fino all’indomani nella celletta di guardia. Passai tutta quella notte in una gioia indicibile e nella pace del cuore; ero steso su una panca in quella capannetta non riscaldata, come se riposassi sul seno d’Abramo: la preghiera agiva con forza. L’amore per Gesù Cristo e per la Madre di Dio attraversava il mio cuore con onde benefiche e immergeva l’anima mia in un’estasi consolatrice. Stava scendendo la notte, quando avvertii nelle gambe un improvviso dolore, acutissimo, e mi ricordai allora che erano bagnate. Ma ricacciando il pensiero, mi immersi di nuovo nella preghiera e non avvertii più alcun dolore. Quando al mattino mi volli alzare, non riuscivo più a muovere le mie povere gambe. Erano inerti e molli come uno stoppino; il guardiano mi tirò giù dalla panca e rimasi così due giorni senza muovere un dito. Il terzo giorno il guardiano mi cacciò via dalla baracca dicendo: – Se morrai qui, bisognerà poi correre in giro e darsi da fare per te –. Riuscii a trascinarmi sulle mani fino alla scalinata della chiesa e vi rimasi disteso. Trascorsi così due giorni circa; le persone che passavano non prestavano alcuna attenzione né a me né alle mie domande. Finalmente un contadino mi si avvicinò e si mise a chiacchierare. Dopo un po’, mi disse: – Cosa mi dai? Ti voglio guarire. Anch’io ho avuto questo stesso male e conosco un buon rimedio. – Non ho nulla da darti – gli risposi. – Cosa hai nel tuo sacco? – Null’altro che del pane raffermo e dei libri. – Bene, tu lavorerai da me per un’estate se ti guarisco. – Non posso nemmeno lavorare, vedi che ho un braccio che non serve.– Cosa sai fare, insomma? – Niente, salvo leggere e scrivere. – Scrivere? Benissimo. Insegnerai a scrivere a mio figlio, che sa già leggere un pochino e voglio che impari anche a scrivere. Ma i maestri chiedono troppo, venti rubli per insegnare tutto l’alfabeto. Mi misi d’accordo con lui e, con l’aiuto del custode, fui trasportato in casa del contadino, dove venni sistemato in un vecchio bagno in fondo al suo podere. Cominciò allora a curarmi. 

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