venerdì 31 gennaio 2014

CAMMINIAMO SULLA STRADA
CHE HAN PERCORSO I SANTI TUOI...

SAN GIOVANNI BOSCO
Oggi, la Chiesa festeggia San Giovanni Bosco e questo ci dà l’occasione per continuare a parlare della santità dei bambini.

È un santo conosciuto da tutti per le sue opere di carità e la sua attenzione verso i poveri, i diseredati, i giovani della strada, del carcere, giovani orfani, analfabeti…, ma oggi, più che ripercorrere le sue virtù e i suoi meriti, cercheremo di rispondere ad una domanda precisa:

                                                   quand’è cominciata la sua santità?
La santità di ognuno comincia al momento della nostra nascita, ma perché essa si compia occorrono due fattori fondamentali:
-          una guida sicura
      -          il nostro ‘’sì’’ alla volontà di Dio.

San Giovanni Bosco, cresciuto senza il padre, morto quando lui aveva due anni, è stato avviato alla conoscenza di Dio dalla madre Margherita.

A nove anni il piccolo Giovanni Bosco ebbe un sogno che egli stesso definì "profetico" e che più volte raccontò ai ragazzi del suo Oratorio:
''A 9 anni ho fatto un sogno. Mi pareva di essere vicino a casa, in un cortile molto vasto, dove si divertiva una gran quantità di ragazzi. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi bestemmiavano. Al sentire le bestemmie, mi slanciai in mezzo a loro. Cercai di farli tacere usando pugni e parole.
In quel momento apparve un uomo maestoso, vestito nobilmente. Un manto bianco gli copriva tutta la persona. La sua faccia era così luminosa che non riuscivo a fissarla. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di mettermi a capo di quei ragazzi. Aggiunse: «Dovrai farteli amici non con le percosse ma con la mansuetudine e la carità. Su, parla, spiegagli che il peccato è una cosa cattiva e che l'amicizia con il Signore è un bene prezioso». Confuso e spaventato risposi che io ero un ragazzo povero e ignorante, che non ero capace di parlare di religione a quei monelli.
In quel momento i ragazzi cessarono le risse, gli schiamazzi e le bestemmie, e si raccolsero tutti intorno a colui che parlava. Quasi senza sapere cosa facessi gli domandai: «Chi siete voi, che mi comandate cose impossibili?» «Proprio perché queste cose ti sembrano impossibili – rispose - dovrai renderle possibili con l'obbedienza e acquistando la scienza». «Come potrò acquistare la scienza?». «Io ti darò la maestra. Sotto la sua guida si diventa sapienti, ma senza di lei anche chi è sapiente diventa un povero ignorante». «Ma chi siete voi?». «Io sono il figlio di colei che tua madre ti insegnò a salutare tre volte al giorno». «La mamma mi dice sempre di non stare con quelli che non conosco, senza il suo permesso. Perciò ditemi il vostro nome.» «Il mio nome domandalo a mia madre.»
In quel momento ho visto vicino a lui una donna maestosa, vestita di un manto che risplendeva da tutte le parti, come se in ogni punto ci fosse una stella luminosissima. Vedendomi sempre più confuso, mi fece cenno di andarle vicino, mi prese con bontà per mano e mi disse: «Guarda» Guardai e mi accorsi che quei ragazzi erano tutti scomparsi. Al loro posto c'era una moltitudine di capretti, cani, gatti, orsi e parecchi altri animali. La donna maestosa mi disse: «Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Cresci umile, forte e robusto, e ciò che adesso vedrai succedere a questi animali, tu lo dovrai fare per i miei figli.» Guardai ancora, ed ecco che al posto di animali feroci comparvero altrettanti agnelli mansueti, che saltellavano, correvano, belavano, facevano festa attorno a quell'uomo e a quella signora. A quel punto nel sogno mi misi a piangere. Dissi a quella signora che non capivo tutte quelle cose. Allora mi pose una mano sul capo e mi disse: «A suo tempo, tutto comprenderai.»
Aveva appena detto queste parole che un rumore mi svegliò. Ogni cosa era scomparsa. Io rimasi sbalordito. Mi sembrava di avere le mani che facevano male per i pugni che avevo dato, che la faccia mi bruciasse per gli schiaffi ricevuti. Al mattino ho subito raccontato il sogno, prima ai fratelli che si misero a ridere, poi alla mamma e alla nonna. Ognuno diede la sua interpretazione. Giuseppe disse: «Diventerai un pecoraio». Mia madre: «Chissà che non abbia a diventare prete.» Antonio malignò: «Sarai un capo di briganti». L'ultima parola la disse la nonna, che non sapeva né leggere né scrivere: «Non bisogna credere ai sogni». Io ero del parere della nonna. Tuttavia quel sogno non riuscii più a togliermelo dalla mente''.
In seguito a quel sogno, il giovane Bosco decise di seguire la strada del sacerdozio.

Per avvicinare alla preghiera e all'ascolto della messa i ragazzini del paese, Giovannino Bosco decise di imparare i giochi di prestigio e le acrobazie dei saltimbanchi, attirando così i coetanei e i contadini del luogo grazie a salti e trucchetti di magia, invitandoli però prima a recitare il Rosario e ad ascoltare una lettura tratta dal Vangelo.

Nel febbraio del 1826 Giovanni Bosco perse anche la nonna paterna che viveva con loro. Poiché ella riusciva a tenere a freno i tre ragazzi della famiglia, Margherita, spaventata dal fatto che il figlio potesse perdere la via giusta, chiese al parroco, Don Sismondo, di concedergli la Comunione, benché l'età media dei ragazzi per accedere al sacramento fosse di dodici anni, mentre Giovannino Bosco aveva soltanto undici anni. Don Sismondo accondiscese e così il 26 marzo 1826, il ragazzo fece la sua Prima Comunione.

Ecco, dunque, i due fattori che si combinano fra loro: la madre si è fatta strumento di Dio e Giovannino ha detto il suo sì a Dio.

Nasce da qui la sua santità.

Una santità decisa a 9 anni.

A 9 anni aveva già capito quello che tanti altri, molti altri non capiranno mai, nemmeno a 99 anni.

Da lui, dal suo operato c’è da imparare tanto, ma soprattutto sono i genitori che hanno da imparare dalla madre di Giovannino: vivevano in tempi di miseria, di carestia, di epidemia, si moriva di fame lungo le strade… eppure mamma Margherita si è premurata soprattutto che suo figlio non perdesse la strada giusta e che ricevesse il ‘’Pane disceso dal Cielo’’ prima ancora di avere pane da mettere sotto i denti. Una madre esemplare, nella sua semplicità e umiltà, ha desiderato per suo figlio il meglio, il massimo, l’essenziale: i Sacramenti e quindi la Presenza di Cristo nel suo cuore.

Quante mamme oggi si preoccupano di questo?

Quando ci sono gli incontri con i genitori per parlare dei Sacramenti dei figli, il nucleo centrale diventa la data, per prenotare il ristorante, le spese per il vestito, le necessità logistiche e poi ci si raccomanda che i figli non siano troppo stressati da molti incontri… perché devono frequentare il corso di ballo, la piscina, il karate…

Certo che la differenza tra le preoccupazioni di mamma Margherita e quelle delle mamme di oggi è davvero spaventosa e preoccupante!

San Giovanni Bosco, insieme a sua madre, sono stati due strumenti dell’Amore di Dio, capaci di ascoltare Dio e di dire il loro sì.

Mamma Margherita, nella sua ignoranza, ha saputo parlare a Giovannino di Dio, senza usare molte parole ha semplicemente offerto il suo esempio, la sua fede vissuta: è questo il modo migliore per parlare ai bambini di Dio.

I bambini sanno leggere molto bene i gesti; andare a messa con i propri genitori è un messaggio chiaro, il bambino lo percepisce facilmente e si associa spontaneamente.

Basterebbe così poco ed è così facile avviare i bambini alla conoscenza di Dio… ed invece l’attenzione dei genitori va da tutt’altra parte, non si rendono conto che nessun cibo, nessun corso, nessun regalo, per quanto bellissimi… potranno mai sostituire il Dono per eccellenza che è la Presenza di Cristo nella vita dei loro figli!

Mamma Margherita lo aveva capito ed ha guidato suo figlio sulla strada della santità.

Giovannino è diventato un santo straordinario, strumento di amore e di conversione per tanti, tanti altri…

Tutte le mamme vorrebbero un figlio santo, ma nessuna mamma si adopera mai perché questo si realizzi!

Mamma Margherita l’ha desiderato ed ha agito di conseguenza; le mamme di oggi lo desiderano ma agiscono esattamente in senso contrario.

Mi pare che qualche riflessione in merito sia proprio necessaria...

mercoledì 29 gennaio 2014


I BAMBINI FANNO ‘’OH!’’… I GRANDI  FANNO ‘’HO’’.

Certo che i bambini sono proprio meravigliosi e sconcertanti allo steso tempo!

La loro ingenuità spesso ci disarma in maniera… allarmante!

Allarmante perché, nella semplicità del loro dire, ci mettono davanti alla nuda realtà e noi, adulti e vaccinati, come si suol dire, scopriamo di non essere poi così tanto adulti nè così tanto vaccinati, come crediamo di essere, perché un conto è ‘’credere di esserlo’’ un conto è ‘’esserlo davvero’’.

La differenza non è da poco!

Di fronte alla spontaneità dei bambini, a volte, ci scopriamo impreparati, ma soprattutto ci sentiamo sconcertati perché non siamo abituati alla fluidità del pensiero, così come avviene nei bambini; i nostri pensieri s’inceppano nelle nostre ansie, s’imbrigliano in mille reti ideologiche, incontrano mille ostacoli culturali, mille deviazioni mentali, non scorrono più nella loro spontaneità, ma subiscono le influenze ideologiche del secolarismo, del razionalismo, del relativismo assoluto, di tutti quegli ‘’…ismi’’ che invece di allargare i nostri orizzonti, finiscono spesso con il deformarli e noi non riusciamo più a capire da che parte andiamo, su che strada siamo, dove stiamo andando, perché e come.

Gesù diceva: ’’ Se non sarete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli’’.

Essere come bambini: ma in che senso?

Sicuramente non nel senso infantilistico con i quali noi consideriamo i bambini!

Noi, infatti, abbiamo un’idea non sempre corretta dei bambini e ci muoviamo fra due eccessi: o li riteniamo incapaci di intendere e di volere, cioè troppo piccoli per capire le cose dei grandi oppure li riteniamo troppo grandi per comportarsi come dei piccoli.

Cioè: o siamo convinti che in loro non c’è la capacità di cogliere il senso del mistero, la Presenza di un Dio Creatore e paterno, perché, secondo noi, a questo Dio si arriva solo con l’uso della Ragione e quindi nell’età della giovinezza; oppure li adultizziamo prima del tempo e facciamo loro discorsi da adulti che non solo non comprenderanno mai, ma daranno loro anche un’idea sbagliata della bellezza e della spontaneità della fede.

Errori pedagogici e culturali che si pagheranno da grandi, perché l’approccio alla fede, cioè l’imprinting religioso sarà fondamentale per le scelte da adulti; un approccio sbagliato allontanerà il ragazzo dalla fede, irrimediabilmente; le convinzioni creatosi da bambino, se non verranno riviste alla luce di un percorso più maturo, resteranno le sole a guidare la sua vita, su di esse si baseranno le scelte, i modi di pensare, il senso di appartenenza o meno alla grande Famiglia di Dio e della Chiesa.

Molti genitori pensano che sia complicato o prematuro parlare di Dio ad un bambino di 2 - 3 -5  anni, non sanno come affrontare il concetto della morte, della presenza di Dio nella nostra vita quotidiana, come spiegare il mistero eucaristico…, ciò che preoccupa è che questi ed altri  interrogativi simili sono oggetto o di eccesiva preoccupazione o di totale trascuratezza.

Come rimediare a tutta questa confusione sul dirlo o non dirlo, parlarne o non parlane, quando parlarne, come, perché, che cosa dire, cosa non dire…?

Certo c’è il periodo delle catechesi in preparazione ai Sacramenti e questo potrebbe risolvere il problema, ma bisogna anche dire che la partecipazione agli incontri non è totale: non tutti partecipano, non tutti sono costanti, non tutti ascoltano attentamente, non tutti si sentono veramente coinvolti, non tutti mostrano lo stesso interesse…  per cui la catechesi ai bambini va considerata e colta come un’opportunità di cui, purtroppo, non tutti ne comprendono il valore e l’importanza.

Ragion per cui, c’è una fascia, non tanto ristretta, purtroppo, di bambini ai quali viene a mancare il primo annuncio, il Kerigma, il primo incontro con Gesù, la conoscenza minima di base per avviare un dialogo personale ed intimo che permetta di approfondirne la conoscenza.

In sintesi, la situazione è questa, ci sono:

  • Bambini ritenuti troppo piccoli per capire
  • Bambini ritenuti già grandi e quindi ci si rivolge a loro come se fossero degli adulti
  • Bambini  che ignorano completamente la presenza di Dio nella loro vita.
  • Bambini che hanno un’infarinatura a tappe su quella che è la vita e la Parola di Gesù (sono quelli che frequentano a salti, come le cavallette: un incontro sì, due incontri no)
  • Bambini per i quali Gesù è Uno che toglie tempo per giocare ovvero  uffa il catechismo! Proprio ora che stavo per raggiungere il sesto livello al mio gioco preferito …  

Bambini che… e lasciamo sospeso questo ‘’che’’ perché di situazioni strane e diversificate ce ne sono ancora tante altre… lasciamo sospese tutte queste altre categorie di bambini tranne una: quella dei BAMBINI!

Sì, PROPRIO QUELLA DEI BAMBINI!

Un bambino è un bambino: tutto qua!

Noi adulti tendiamo a categorizzare i bambini per interesse, motivazioni, capacità di riflettere, di ragionare, di stare attenti, di imparare… di raggiungere competenze… ma il mondo meraviglioso dei bambini è semplicemente meraviglioso e, per quanto se ne dica, resta ancora in gran parte inesplorato.

Proprio per questo, loro ci sorprendono sempre, ci stupiscono, ci disarmano, come dicevo all’inizio, perché sono imprevedibili: LA LIBERTÀ DELLA LORO ETÀ LI RENDE SPECIALI, MERAVIGLIOSI, INIMITABILI!

Entrare nel  mondo dei bambini non è come entrare in un mondo surreale, come quello delle favole, ma in un mondo dove tutto è meravigliosamente vero, dove tutto è scoperta, dove vige ‘’l’oh!’’, cioè lo stupore di fronte alla bellezza che li circonda  e che solo il bambino sa cogliere ancora; noi facciamo fatica a liberarci dalle nostre stratificazioni millenarie sotto le quali abbiamo sepolto la capacità del nostro cuore di stupirsi, la libertà del nostro cuore di volare in alto, di volare facendosi trasportare soltanto dal soffio leggero dell’Amore di Dio.

I bambini hanno un rapporto privilegiato con Dio, non siamo noi che dobbiamo parlare a loro di Dio, ma sono loro che ne parlano a noi, perché loro hanno una vicinanza speciale al Cuore di Dio, sentono ancora su di loro il calore delle Sue  Mani che li ha appena finiti di plasmare, sentono ancora il Suo respiro caldo sulla loro pelle e nel loro cuore, la dolcezza del Suo Sguardo e la Bellezza del Suo Regno nei loro occhi, i canti angelici nei loro orecchi.

Sono loro che portano a noi la Presenza di Dio, perché ne sono espressione diretta e concreta: loro stessi, con il loro vivere sono la prima prova della Presenza di Dio.

Diceva Madre Teresa di Calcutta che ‘’Fino a quando nascerà un bambino sulla terra è segno che Dio non si è stancato di noi’’.

Un bambino è il primo segno della Presenza di Dio e del suo Amore per gli uomini, nonostante i nostri rifiuti e le nostre miserie.

Tornando a ‘’come parlare di Dio ai bambini?’’, la risposta sta nel ribaltamento della domanda

 ‘’ Come i bambini parlano a noi di Dio?’’.

Ce ne parlano… parlandogli!

L’uomo è capace di Dio, indipendentemente dall’età, dalle capacità intellettive, dalla sua cultura, dalle sue origini. Ogni bambino ha in sé l’Impronta di Dio, è naturale per lui cogliere il mistero di Dio, perché ancora lo respira nei suoi piccoli polmoni, ne porta ancora addosso il profumo!

imageC’è una porta aperta dentro di lui che gli permette di raggiungere Dio; non riuscirà più a farlo solo quando, crescendo, deciderà di chiudere quella porta, di tagliare fuori Dio dalla sua vita.

Quando il mondo insinuerà nei suoi pensieri che Dio non esiste, che Dio è lontano, che Dio limita la sua libertà, ecco che quella porta verrà chiusa e… quel bambino che parlava con Dio… non ascolterà più la Sua Voce.

Restare bambini vuol dire, dunque, mantenere quella porta aperta, mantenere quel contatto vivo, acceso, quel dialogo costante, fiducioso, affettuoso.

Queste non sono solo belle parole, ma sono la realtà, la meravigliosa realtà dei bambini che hanno parlato con Dio, che lo hanno abbracciato con la dolcezza delle loro parole, che lo hanno accarezzato con la purezza del loro cuore.

Di esempi ce ne sono tanti, proprio tanti,  la storia della Chiesa ne è piena sin dall’inizio, bambini che hanno vissuto il mistero di Dio nelle loro piccole vite, in ogni tempo e in ogni luogo, testimonianze splendide che danno conferma al fatto che i bambini non solo sono capaci di Dio, ma ne comprendono il mistero, la Sua Grandezza, la Sua Onnipotenza e non ne restano smarriti, ma ne godono pienamente, come gli angeli in cielo.

I bambini sono più vicini a Dio di quanto potessimo immaginare, siamo noi che ci complichiamo le cose con i nostri razionalismi, con le nostre chiusure.

Non i dubbi, ma le paure ci allontanano da Dio.

Il dubbio ci spinge alla ricerca; le paure ci portano ad abbandonare la ricerca.

‘’Se non saprete farvi come bambini, nella novità del cuore e della vita, non entrerete nel Regno dei Cieli’’ così recita il salmista.

L’essere bambini non significa essere ingenui e creduloni, ma significa riuscire ancora a cogliere la novità del cuore, lasciarsi ancora stupire dalla bellezza della vita, lasciarsi ancora cullare dalle Braccia di un Padre che ci ha creati per amore e continua ad amarci nonostante noi non siamo più capaci di amarlo con cuore puro, come quando si era bambini.

Ciò che caratterizza il bambino è dunque il suo essere aperto alla novità, la sua capacità di meravigliarsi, la sua spontaneità nell’amare, il suo bisogno di essere amato… tutti elementi, questi, che noi adulti forse dovremmo recuperare se vogliamo sentire forte la Mano potente di Dio che stringe la nostra e ci guida fra le insidie del mondo.

I pensieri dei bambini non sono corrotti, il loro cuore è puro, la loro fede non è astratta, ma incarnata nei fatti stessi della loro vita.

Sono tante le testimonianze in tal senso, dicevo, tutte splendidamente stupende, grandi insegnamenti da piccoli testimoni dell’amore di Dio… sono loro che insegnano a noi a rapportarci con il Signore, loro ci testimoniano la Presenza di Dio, loro ci confermano che Dio ancora ci parla, che nonostante la nostra sordità Lui non si è stancato di parlare al nostro cuore…

Se Israele mi ascoltasse… shemà Israel… è l’esclamazione ricorrente che dall’Antico Testamento giunge fino a noi, senza mai perdere la forza profetica del suo monito: schemà Israelascolta IsraeleIsraele è l’ uomo di ogni tempo, io, tu, noi … tutti.

E’ l’ascolto che ci apre al sentire; per sentire, però, occorrerebbe tacere; per tacere bisognerebbe trovare un motivo valido… il motivo potrebbe essere quello del bisogno di ritrovare  l’intimità con Dio, riscoprire la gioia di parlare cuore a cuore con Dio, sentire il bisogno di interloquire con Qualcuno che può guidarmi saggiamente sulle vie del mondo, di Qualcuno di cui posso fidarmi totalmente.

Prima di ascoltare Dio, bisognerebbe dunque sentire il bisogno di ascolto che urla dentro di sé.

L’ascolto di Dio viene dopo l’ascolto di se stessi: devo prima scoprire di aver bisogno di ascoltare e poi potrò mettermi all’ascolto.

Per scoprire tale bisogno, occorrerebbe far tacere i bisogni del mondo, i bisogni del corpo che precedono quelli dell’anima, occorre scoprire di avere un luogo interiore dove si può parlare senza parlare, cioè senza pronunciare suoni, pur facendo uso di parole.

Nei bambini questo rapporto è nella sua massima espressione, perché la Natura è completamente libera di manifestarsi  e realizzarsi nel suo modo più bello, più alto e più completo.

Alla domanda di un bambino che chiedeva, qualche giorno fa ‘’ Perché Dio non ci parla più?’’, io risponderei con un’altra domanda ‘’Perché l’uomo non ascolta più?’’.

Non è Dio che non parla, ma è l’uomo che non ascolta.

Un bambino di 7 anni se l’è chiesto… e noi, uomini e donne adulte e mature, ce lo siamo mai chiesto? Ce lo siamo mai posto il problema? Ci siamo mai preoccupati di capire se Dio parla o non parla, come, quando, cosa ci dice, cosa ci chiede?

Io credo che di risposte affermative ce ne siano poche, molto poche… perché?

La risposta è semplice: perché all’uomo sta bene il silenzio di Dio!

Il bambino sente la nostalgìa di Dio, l’uomo adulto non più.

L’uomo preferisce di gran lunga il silenzio di Dio, perché il silenzio di Dio è garanzia della massima libertà dell’uomo! O almeno… di questo l’uomo è convinto!

Ecco che non solo non si pone la domanda del parlare di Dio, ma fa di tutto per impedirgli di parlare, così che non interferisca nelle sue scelte, nelle sue decisioni.

All’uomo adulto sta bene, molto bene il silenzio di Dio.

Nei bambini, invece, il silenzio di Dio è quasi una violenza, perché è un’assenza, una mancanza, un vuoto, un bisogno che non sa come soddisfare.

Il bambino avverte il disagio del silenzio di Dio.

Il fatto che l’uomo non solo non l’avverta, ma è contento di questo stato di cose, è sintomatico della malattia che ha colpito la sua anima e che nessuno intende curare, per comodità, per pigrizia, per la convinzione che senza  Dio si vive meglio.

Di quale malattia parlo?

Dell’ANORESSIA SPIRITUALE!

Del voluto digiuno spirituale per  impedire allo spirito di crescere.

Voluto per comodità, ovviamente, per non dover fare i conti con nessuno, né con se stessi né con altri, né con Dio.

I bambini ci dicono il contrario, ce lo dicono con la loro vita, con la spontaneità del loro essere, con la profondità del loro pensare, con l’immensità dell’umiltà del loro cuore.

I bambini chiedono di nutrirsi di Dio, hanno fame di Dio.

Noi ci preoccupiamo più di come parlare che di parlargli e basta, con quella stessa semplicità con la quale affrontiamo con loro ogni altro argomento di questo mondo.

Le tante testimonianze di santità infantile ci confermano che un bambino di pochi anni è in grado di comprendere anche il mistero della Trinità, di sentire e cogliere la presenza di Gesù nell’Eucarestia, di sentire forte dentro di sé il bisogno di Gesù, di comprendere anche l’enorme problema dell’ecumenismo… un bambino è in grado di cogliere il dolore di Gesù lungo il Calvario, il dolore di Maria… l’Amore di Dio.

A conferma di ciò, vi riporterò alcune testimonianze concrete, figure esemplari di bambini/e  e ragazzini/e vissuti in epoche e in luoghi diversi, alcuni sono nomi noti, altri meno noti, ma tutte sono vite vissute, formatesi sul campo… sono i santi-bambini che ci parlano dell’amore gratuito che Dio offre all’uomo e dell’ amore gratuito che l’uomo offre a Dio, in un reciproco donarsi, in un reciproco ascoltarsi, in un reciproco accogliersi, in un reciproco amarsi…

Ci parlano del mistero di Dio che opera misteriosamente.

E ci parlano anche del mistero dell’uomo che ama Dio così tanto da riuscire a comprendere l’incomprensibile, a  raggiungere l’irraggiungibile, ad amare l’impercettibile, a sentire l’inaudibile…

I bambini  sanno fare oh!

I bambini sanno ascoltare l’ OH ETERNO!

E mentre gli adulti si preoccupano di come parlare di Dio ai bambini (e intanto si dimenticano di parlare a Dio da adulti), i bambini parlando a Dio…  parlano di Dio agli adulti!

Fra le tante esperienze di fede dei bambini mi ha colpito una in particolare, poco o per niente conosciuta che è invece una testimonianza davvero eccezionale, come a dire: quando Dio parla… i bambini ascoltano, gli adulti negano e cercano spiegazioni che non possono spiegare il niente che negano; gli adulti sono pieni di contraddizioni, i bambini sono pieni di Dio e Dio è quell’OH di meraviglia che solo i bambini sanno capire con uno sguardo, una parola, un movimento improvviso del cuore.

I bambini sono felici quando fanno ‘’OH!’’, quando cioè scoprono la meraviglia dell’esistere.

Gli adulti sono felici quando possono dire ‘’HO’’, cioè possiedo tutto quello che esiste.

La differenza fra i due atteggiamenti è, a dir poco, abissale!!!
E la differenza consiste nel fatto che ... i bambini hanno un cuore infiammato d'amore divino...
gli adulti hanno un cuore spento dall'amore umano!

V i riporterò, in questi giorni, alcune esperienze davvero speciali di bambini che hanno avuto un rapporto straordinario con Dio, pur nella semplicità del rapporto stesso; oggi, invece, vi racconto una storia molto particolare, che sembra quasi una favola, quasi una storia nata dalla penna di uno scrittore, invece è storia vera, straordinariamente vera e forse proprio per questo ci risulta ‘’incomprensibile’’… ma è incomprensibile solo a chi non ha mai sperimentato o non ha mai creduto nel Potente Amore di Dio…


I Nove fratelli Martiri di Kola:
Guram, Adarnase, Baqar, Vache, Bardzim, Dachi, Juansher, Ramaz, Pharsman
Commemorati il 22 febbraio
Molti secoli fa, il villaggio di Kola era situato alla sorgente del fiume Mtkvari. Cristiani e pagani ci abitavano insieme come vicini. Un giorno i bambini, cristiani e pagani, stavano giocando insieme, ma quando i bambini cristiani sentirono suonare le campane della chiesa, avendo riconosciuto la chiamata alla preghiera lasciarono cadere i loro giochi. Nove bambini pagani Guram, Adarnerse, Baqar, Vache, Bardzim, Dachi, Juansher, Ramaz e Parsman seguirono i bambini cristiani in chiesa.
Ma i cristiani regolarmente li fermarono alle porte della chiesa e li rimproverarono dicendo: “Voi siete figli di pagani. Non potete entrare nella santa casa di Dio”, e se ne andarono via dispiaciuti e tristi.
Un giorno i nove bambini pagani cercarono di entrare in chiesa con la forza, ma furono scacciati e sgridati. “Se desiderate entrare in chiesa, dovete credere nel Signore nostro Gesù Cristo ed essere battezzati nel nome del Padre e del Figlio e del Santo Spirito”, gli venne detto, “è necessario ricevere la Santa Comunione e unirsi alla comunità dei credenti cristiani”.
Con grande gioia i giovani promisero ai cristiani che avrebbero ricevuto il santo battesimo. Quando i cristiani di Kola riferirono al loro sacerdote la buona notizia del desiderio dei ragazzi pagani, egli ricordò le parole dell’Evangelo: «Colui che ama il padre o la madre più di me non è degno di me: e colui che ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me. E colui che non prende la sua croce, e non mi segue, non è degno di me (Matteo 10: 37-38).
Egli non aveva paura della rabbia che sarebbe seguita da parte della comunità pagana, ma prese i ragazzi in una notte fredda d’inverno e li battezzò nel fiume gelato. Mentre il Santo Sacramento veniva celebrato accadde un miracolo: l’acqua divenne calda e una moltitudine di angeli apparve ai giovani. Grandemente incoraggiati nella loro fede, i bambini decisero di rimanere nella comunità cristiana, piuttosto che ritornare dai loro genitori.
Quando i loro genitori vennero a sapere che erano stati battezzati nella fede cristiana, trascinarono i loro bambini lontano dalla chiesa, picchiandoli e battendoli per costringerli tutti sulla strada di casa. Lì i bambini eroicamente subirono oltraggi e, sebbene fossero affamati e assetati da sette giorni, ripeterono ancora e più volte: “Noi siamo cristiani e non mangeremo o berremo qualcosa che è stato preparato per gli idoli!”.
Né lusinghe gentili, né abiti ricchi, né promesse di buone cose a venire poterono tentare i giovani timorati di Dio. Piuttosto, dissero: “Siamo cristiani e non vogliamo avere nulla da voi, solo che ci lasciate e ci permettiate di unirci alla comunità cristiana!”.
 I genitori infuriati andarono dal principe e gli riferirono tutto ciò che era accaduto. Ma il principe non fu loro di alcun aiuto, ma semplicemente disse loro: “Sono i vostri figli, fate con loro come volete”. I pagani ostinati gli chiesero l’autorizzazione a lapidare i bambini. Così scavarono una grande fossa nei pressi del luogo in cui i giovani erano stati battezzati, ed i bambini vi furono gettati dentro.
“Siamo cristiani, e moriremo per Colui nel quale siamo stati battezzati!”, proclamarono i santi martiri, i nove bambini di Kola, prima di offrire le loro anime a Dio.
I loro atei genitori presero le pietre, e gliele scagliarono, finché la buca fu interamente riempita. Poi andarono e picchiarono a morte il sacerdote, derubandolo, e dividendo il bottino tra loro.
La lotta dei Nove martiri bambini Giusti di Kola avvenne nel VI secolo, nella regione storica di Tao nel sud della Georgia.



CANTO A TE, SIGNORE!

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lunedì 27 gennaio 2014


CANTO A TE, SIGNORE!

La poesia è il volo dell’anima, è il canto dello spirito, è la libertà del pensiero.

La poesia religiosa, in particolare, è l’espressione di una fede che viene dal profondo, che non si accontenta dello spazio mentale che gli viene messo a disposizione, ma ha bisogno di orizzonti più ampi, di spazi inesplorati per poter vivere pienamente quella spinta interiore che  porta l’anima a far festa, a cantare la gioia, a cogliere ciò che le parole stesse non riescono a cogliere e ad esprimere.

Chi scrive poesie ha un rapporto speciale con se stesso e con Dio, perché molto spesso la poesia è un dialogo fra l’anima e Dio, un dialogo diretto, personale, intimo ed universale allo stesso tempo.

Quando l’anima parla, non parla mai sola per sé, ma diventa espressione di un sentire collettivo in cui ogni uomo si ritrova e si rispecchia, è il soggettivo che diventa oggettivo, è l’individuale che diventa universale; la poesia annulla i confini delle parole ed apre ad un mondo fatto di mille colori, mille emozioni, mille movimenti, come un bimbo nel grembo materno, che si gira e si rigira, così è la poesia: un pensiero in gestazione che riesce finalmente a vedere la luce e a mostrare la bellezza di Dio ai ciechi e la Parola di Dio ai sordi, sì, perché la poesia parla al cuore e non ci sono né porte né portoni che non si aprano davanti al respiro profondo che è la parola poetica.

La poesia è l’esito di un parto: il pensiero che,  generato, si incarna nelle nostre emozioni e dà vita ad un canto splendido che sale in alto, per essere cantato dagli angeli, e scendere verso il basso per cogliere dell’uomo tutto il suo dolore,  ma anche tutta la sua capacità di ascoltare il canto degli angeli e sentirne il vibrare delle ali.

Se la poesia è tutto questo, non possiamo non approfittare dell’esperienza religiosa di tanti autori che hanno saputo cogliere il divino pur nella finitezza umana e ce ne hanno lasciato traccia, così da poter percorrere le stesse vie e fare gli stessi loro incontri.

Apriamo, dunque, un nuovo spazio: CANTO A TE, SIGNORE!, uno spazio per chiunque vorrà inviarci i suoi pensieri, poetici e non, per chiunque voglia rivolgere lo sguardo in alto verso il cielo e in basso nelle profondità dell’anima e coglierne le ferite, le gioie, le sorprese, le sofferenze ed innalzare verso il Signore, il Primo e il più grande dei Poeti, il suo grido di aiuto o soltanto il suo canto di gioia.

Aspettiamo fiduciosi le vostre poesie, anche in altre lingue, considerato che sono tantissimi quelli che ci seguono dall’estero, e che saluto affettuosamente.

In attesa delle vostre liriche, ve ne propongo una di BASILIO il GRANDE, che vuole essere un invito a tutti coloro che temono di aprire il proprio cuore a lasciarne fluire il suo canto… scriveteci… leggervi ci farà sentire più vicini… più uguali… più fratelli… più figli dello stesso Dio…

SCRIVIMI

Se mi ami, scrivimi,

ti prego; se sei imbronciato con me

scrivimi lo stesso,

a dispetto del tuo broncio.

Sarà sempre per me una grande gioia

ricevere una lettera da un amico,

anche se un po’ irritato.

Dunque, deciditi…

esci dalla tua indolenza!

E non dire

che non hai nulla da scrivere.

Se non hai nulla da scrivermi, scrivimi

che non hai nulla da scrivermi;

per me sarà già qualcosa

di importante e di bello!

(Basilio il Grande)
Riceviamo e pubblichiamo volentieri una poesia di Lucia  che ringraziamo per aver accolto il nostro invito e per aver voluto condividere con noi la sua fede e i suoi pensieri...
 
A Gesù Salvatore

Da  quando  sei  nato
tutto  è  cambiato,
una  nuova  era  è  cominciata,
una  luce  nuova
al  mondo  hai  portato.
Dio  Padre  sulla  terra
Ti  ha  mandato
e
Tu  obbediente fino  alla  Croce  sei  stato.
Il  Tuo  sacrificio
ha  cancellato  i  peccati
e
nel  Tuo  amore
ci  siamo  salvati.

(Lucia Difato)



MARIA REGINA DELLA PACE

MEDJUGORJE

Messaggio del 25 Gennaio 2014   

   

"Cari figli!

Pregate, pregate, pregate perché il riflesso della vostra

 preghiera influisca su tutti coloro che incontrate.

Mettete la Sacra Scrittura in un posto visibile

nelle vostre famiglie e leggetela

perché le parole di pace scorrano nei vostri cuori.

Prego con voi e per voi, figlioli,

perché di giorno in giorno siate sempre più aperti

alla volontà di Dio.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”