ALL'INSEGNA DELLA SOBRIETA'
Il nostro protettore è San Mauro
Abate, un monaco benedettino cresciuto sotto la diretta guida e sapienza di San
Benedetto e che ha fatto della sua vita ‘’
una risposta d’amore a Gesù presente negli infermi, negli afflitti, nei
bisognosi… vivendo la carità… e riconoscendo il Signore in ogni fratello
bisognoso’’ così come recita la
novena a lui dedicata.
Ecco, la vera fortuna consiste
proprio in questo: nell’imitare san Mauro e nel gareggiare con lui in carità.
Certo, gareggiare con lui è un po’
più difficile, perché lui è un gigante della carità, ma certamente è possibile
imitarlo in piccoli gesti di carità, così come la realtà immediata ce lo
consente.
Dico questo perché l’appena
conclusa festa patronale ci ha fatto fare esperienza concreta di tutto ciò e
cioè ci ha permesso di imitare san Mauro nel suo amore per Dio e per il prossimo.
Generalmente le feste patronali si
consumano fra ‘’tarallucci e vino o meglio dire… tra canti, balli e frizzi…
barzellette e varietà di ogni genere…’’; l’attenzione è quella di cercare il
cantante più famoso ma a meno prezzo, il comico più in voga ma accessibile per
contenuti, lo spettacolo più divertente… e il più possibilmente ‘’decente’’,
cioè limitato, per quanto possibile, nell’uso di parolacce e volgarità di ogni
genere.
Questo perché si tratta pur sempre
di una iniziativa religiosa, che non ha come unico obiettivo il divertimento
fine a se stesso, ma un divertimento adatto a tutti, che abbia, possibilmente,
qualche messaggio educativo o per lo meno che non ci siano messaggi
diseducativi e che non incentivi la volgarità.
Di questi tempi è un po’ difficile
trovare chi resta in determinati parametri: magari vanno bene le canzoni, ma
poi c’è sempre il barzellettiere di turno che scatena gli applausi degli
spettatori con quattro parolacce e un sacco di battute a doppio senso.
Sì, direi che è una bella impresa
organizzare una festa in cui ci sia l’utile e il dilettevole, ma ancora più
dura come impresa è il fare in modo che vada bene per tutti e cioè
che non ci siano contestazioni, dirette o indirette, sulle scelte fatte…
perché, come è ormai d’uopo, direi quasi d’obbligo, ogni festa patronale porta
con sé il suo bel bagaglio di commenti del tipo: ‘’ sarebbe
stato meglio fare così… sarebbe stato meglio non farla proprio… sarebbe stato
meglio…’’.
Assodata l’incontentabilità del
popolo ed assodata la difficoltà nel trovare professionisti bravi, a buon prezzo
e contenuti nel linguaggio… e messe in conto tutte le difficoltà… occorre
decidere, cercando di accontentare possibilmente tutti o almeno di limitare i
dissensi.
Trattandosi di una festa religiosa
dovrebbe essere quasi tacito il consenso verso iniziative che abbiamo una
qualche attinenza con la motivazione della festa: celebrare, cioè, il Signore
insieme al santo di turno, così che la festa sia occasione per conoscere meglio
il santo in questione e nel limite del possibile, imparare ad imitarlo… perché
in fondo… una festa patronale altro non è se non il fare dell’ esperienza cristiana del santo una via da seguire per incontrare Dio.
Si dà il caso, però, che questa
motivazione sia troppo, ma proprio troppo di sottofondo nelle feste patronali,
talmente implicita che pure quando viene palesemente esplicitata incontra tanti
di quei dissensi da scoraggiare anche il più perseverante e testardo organizzatore.
Perché se è festa ci deve essere il
divertimento e non è divertimento se non ci sono parolacce, battute oscene e
argomenti diciamo poco adatti ai minori di 18 anni!
Bel dilemma, dunque, e bel problema
per chi deve affrontare la spinosa questione della festa patronale.
Meno male che con l’aiuto del buon
Dio e l’intercessione del santo patrono, in un modo o nell’altro la questione
si risolve… per buona pace dei lamentatori di turno.
Vediamo nel dettaglio come è stata
affrontata nel nostro paese… se le motivazioni sono state quelle esposte, le
conseguenze sono tutte da valutare… anzi potremmo dire che il coro comune è
stato in perfetta sintonia con quanto si voleva dimostrare che non c’è festa
senza parolacce: mancando quelle la festa è un flop!
Il flop si ha quando la parola
chiave non è il ‘’divertimento a prescindere’’, ma la ‘’sobrietà che
s’impone’’, e non potrebbe essere altrimenti trattandosi di una festa a
carattere religioso, che nasce per dare gloria a Dio attraverso i santi; non è
pensabile scindere totalmente l’aspetto religioso da quello civile, anche la
scelta del professionista di turno non può non essere in sintonia con la natura
della festa.
Sappiamo bene, però, che la storia
ha preso altre strade e ha fatto altre scelte per decenni e decenni, per cui
ora tentare o sperare di farcela nell’invertire la rotta è quanto mai
complicato e faticoso.
Resta, tuttavia, il fatto, che c’è
una realtà che parla da sé, che non può essere ignorata: è una festa a sfondo
religioso, il divertimento ci sta bene… ma con sobrietà e coerenza, altrimenti
si confermerebbe semplicemente il vecchio detto del ‘’predicare bene e
razzolare male’’, non si può sperperare denaro in tempo di crisi e di sacrifici
e non si possono proporre spettacoli dove la volgarità ha la meglio sulla buona
educazione e sui buoni principi.
Ora, tornando alla festa appena
trascorsa, c’è da dire che l’esito dei festeggiamenti è strettamente legato
alla logica che ognuno segue: c’è il tradizionalista conservatore per il quale è un’offesa al passato proporre
cambiamenti; c’è il riformista cauto che cambia parere a secondo del consesso
in cui si trova ad esprimere il proprio parere; c’è l’indifferente ad ogni
iniziativa che si intraprende; c’è l’incoerente per natura e, per fortuna, c’è
anche chi comprende l’importanza del cambiamento ed ha il coraggio di esprimersi
sapendo di andare controcorrente.
AFFRESCO DI SAN MAURO NELL'IPOGEO DELLA CHIESA MADRE |
A conclusione di tutto questo si
può dire che : san Mauro Abate è un mirabile esempio di carità fraterna e di
contemplazione mistica, lo sguardo rivolto a Dio e la mano tesa ai fratelli, il
suo insegnamento è chiaro ed è a noi che consegna la sua testimonianza, è a noi
che affida la prosecuzione del suo esempio, siamo noi che dobbiamo traghettare il
suo amore per Dio e i fratelli verso i decenni a venire, istruendo le nuove
generazioni, ma se noi non siamo convinti di ciò che dobbiamo trasmettere non renderemo
sicuramente un buon servizio alla nostra società: l’attenzione non deve essere
rivolta allo spettacolo di varietà e a quello pirotecnico, ma al messaggio che
il santo continua a trasmetterci dopo secoli, invariato nella sua bellezza e
profondità.
Ma se noi non sappiamo più chi e
che cosa festeggiamo come possiamo pensare di trasmetterlo ai posteri? Se non
abbiamo compreso la vastità della portata della fede del nostro protettore… che
cosa potremo dire ai nostri figli, ai nostri nipoti per motivare una simile
festa?
Una festa religiosa non ha niente a
che fare con l’ apparenza della tradizione, non è un obbligo storico il
perpetrare una tale ricorrenza, che non nasce certamente come bisogno di
festeggiamenti popolari ma come desiderio di omaggiare figure-chiave nel
cammino del cristianesimo, testimoni di fede, esempi di Carità; se partiamo da
questa considerazione allora il problema si risolve da solo, altrimenti
s’innesca un meccanismo di rivalsa, un contenzioso infinito che vede schierati
riformisti e conservatori come in uno scontro personale per delineare il
percorso da seguire.
Ma come sono andate veramente le
cose?
Le serate sono state sicuramente
insolite ma non casuali: il senso è stato quello di dare spazio a Dio, al
locale e al sobrio divertimento.
La prima serata ha visto la
presenza di un gruppo carismatico del Rinnovamento proveniente da Montemurro,
un’esperienza sicuramente forte oltre che nuova per la nostra parrocchia nonchè
particolarmente suggestiva, così com’è tipico di questo movimento religioso.
Una discreta partecipazione che si
è lasciata pienamente coinvolgere e che ha espresso pareri molto positivi
sull’iniziativa.
La seconda sera si è dato spazio al
locale e non certamente per una sorta di campanilismo, ma perché siamo tentati
di cercare sempre molto lontano i talenti, quando nella stessa popolazione ci
sono esperienze valide sicuramente da
valorizzare che niente hanno da invidiare agli altri.
Un gruppo di bambini che si sono preparati
in questi mesi scorsi hanno proposto uno spettacolo all’insegna della
semplicità ma anche dell’impegno personale e di una discreta professionalità.
Applaudire ai propri bambini è
forse il segno più bello per esprimere la gioia della festa.
I bambini hanno un posto speciale
nel cuore di ciascuno, sono loro che portano con sé le nostre speranze e le
nostre aspettative, vanno seguiti, amati e resi protagonisti della storia del
proprio paese, affinchè si costruisca e si consolidi quel senso di appartenenza
che lega fra loro i cittadini di ogni singola realtà urbana.
Nella terza serata uno spettacolo
di varietà all’insegna della spensieratezza ha preceduto i fuochi pirotecnici che
hanno concluso i festeggiamenti per l’anno in corso.
Tra una cosa e l’altra si sono
inserite le cerimonie religiose, i momenti di preghiera individuale,
l’adorazione eucaristica, la processione per le vie cittadine e un
incontro-conferenza con un parroco della vicina parrocchia che ha parlato della
religiosità del nostro paese nel 1500.
Una frase non casuale né tanto meno
di circostanza, ma che aveva un preciso riferimento ad un’iniziativa in corso:
da alcuni anni, infatti, il parroco raduna i venditori ambulanti che espongono
le loro bancarelle per le vie del paese ed offre loro vitto e alloggio per i
giorni di permanenza in paese, mettendo a disposizione la sua casa, la sua
tavola, con spese a proprio carico, con l’unico intento di dare dignità a chi
non possiede che la merce che riesce a portarsi addosso. Un esempio concreto di
attenzione al bisognoso, al fratello senza distinzione di razza o di credo
religioso, così come insegna san Mauro. Senza dubbio un’ iniziativa carica di responsabilità e di lavoro in più, ma sicuramente gradita al cuore stesso del
santo protettore oltre che a quello del Signore, il quale non c’invita a
banchettare con amici e conoscenti, ma con coloro che ne hanno bisogno perché
vivono nell’indigenza e nella miseria quotidiana.
Ecco, se una comunità riesce ad
imitare il suo santo protettore… è davvero festa in cielo e sulla terra!
Si fa fatica, purtroppo, a far
passare questa logica, molta fatica, perché la nostra fede è perlopiù basata su
convinzioni standard piuttosto radicate nell’inconscio collettivo ed uscire
fuori dal coro è qualcosa che si paga sulla propria pelle.
Ovviamente le critiche e le
lamentele non sono mancate, come ad ogni festa patronale che si rispetti, ma
esse, pur avendo il loro peso, e pur lasciando il loro carico di sofferenza,
non incidono sulla bontà delle iniziative quando ogni cosa viene fatta partendo
da una precisa convinzione: se la festa è per gli uomini, ogni cosa va bene, se
invece è per Dio allora occorre rifletterci un attimo e fare ciò che a Lui è
più gradito e non ciò che è gradito all’uomo, altrimenti finiremmo per
strumentalizzare Dio piegandolo ai nostri bisogni umani, offenderemmo il santo
che ci si appresta a festeggiare e si darebbe altro spazio all’io umano che
vuole che ogni cosa ruoti intorno a sé, Dio compreso!
Certo, facciamo un po’ fatica a
metterci un attimino da parte e fare a spazio a Dio anche in un momento di
festa, perché nel nostro immaginario la festa porta inevitabilmente con sé
determinati aspetti: mangiare, bere e divertirsi in quantità, lasciando ad
altri tempi lo spazio per la preghiera e per la riflessione
culturale-religiosa: è difficile scardinare retaggi storico-culturale che
guidano la vita di una comunità cittadina; è difficile sì, ma è anche doveroso
raccontarsi la verità, fare il punto della propria fede quando ci si trova a
gestire cose ad essa strettamente collegate; la fede è vita vissuta in ogni
momento, non ha spazi vuoti o momenti di pausa, la fede ce la si porta addosso
in ogni momento della propria esistenza, caratterizza tutti i giorni della
nostra vita, non è un abito esteriore da mettere e togliere a piacimento, ma un
abito interiore con il quale si fa i conti per ogni scelta, decisione o
iniziativa che si intende intraprendere, è quel senso di coerenza e di equilibrio
interiore che richiede questo e che non si può certamente ignorare o tirare
fuori solo all’occorrenza per fare bella figura, come si fa con gli abiti
firmati.
Una festa patronale si pone come
occasione di crescita umana e spirituale più che come momento ludico e di
spensieratezza, anche quello a volte serve, ma senza mai trascurare il fatto
che tutto si fa per dar gloria a Dio e non per celebrare se stessi e le proprie
voglie.
È una nuova strada quella intrapresa,
secondo una logica diversa, la logica stessa di Dio che richiama al buon senso,
all’amore fraterno, al divertimento anche… ma con sobrietà.
Nel tirare le somme, fra consensi e
dissensi, non so quali siano prevalsi… forse gli ultimi… ma questo non è segno
di fallimento… è solo la prova che il cammino verso la santità richiede tempi
lunghi, lunghissimi, forse anche plurisecolari… ma che nonostante tutto vale la
pena spendersi per questo obiettivo, che vale tutte le critiche e i dissensi,
le opposizioni e i malcontenti del momento… fanno parte del gioco…
sono in piena sintonia con la logica dei tempi: l’uomo al centro del Cosmo, Dio
relegato in periferia al servizio dell’uomo; l’inalterabilità e l’intoccabilità
della sacrosanta tradizione popolare, la prevalenza dell’antropologia sulla
teologia.
Tutto questo ci aiuti a fare
corretto discernimento sulla nostra fede e sul nostro dirci cristiani: sul
nostro essere e voler essere … cristiani di fatto… o cristiani di fatti!
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