sabato 31 gennaio 2015




CANTO A TE, SIGNORE!

Cristo, mia dolce rovina, gioia e tormento insieme tu sei.
Impossibile amarti impunemente.
Dolce rovina, Cristo, che rovini in me tutto ciò che non è  amore,
impossibile amarti senza pagarne il prezzo in moneta di vita!
Impossibile amarti e non cambiare vita
e non gettare dalle braccia il vuoto
e non accrescere gli orizzonti che respiriamo
Padre  David Maria Turoldo

venerdì 30 gennaio 2015

DIARIO DELLA 
DIVINA MISERICORDIA 
DI SANTA FAUSTINA KOWALSKA


RIASSUNTO DEL CATECHISMO DEI VOTI RELIGIOSI.
D. Che cos'è il voto?
R. È una promessa volontaria fatta a Dio di eseguire un'azione più perfetta
D. E da ritenere obbligatorio un voto in materia già prescritta da un comandamento?
R. Sì. L'esecuzione di un'azione in cose prescritte da un comandamento
ha doppio valore e merito, ma la sua omissione è una doppia trasgressione
e cattiveria, poiché se s'infrange il voto, al peccato contro il comandamento
si aggiunge il peccato di sacrilegio.
D. Perché i voti religiosi hanno un valore così grande?
R.Perché costituiscono il fondamento della vita religiosa, approvata dalla
Chiesa, in cui i membri, uniti in una comunità religiosa, s'impegnano a
tendere incessantemente alla perfezione, per mezzo dei tre voti religiosi
di povertà, castità e obbedienza, emessi secondo le regole.
D. Che cosa significa tendere alla perfezione?
R. Tendere alla perfezione significa che lo stato religioso in sé non solo
esige che venga raggiunta la perfezione, ma obbliga sotto pena di peccato
ad un impegno quotidiano per la sua conquista.
E pertanto il religioso che non intende giungere alla perfezione trascura
il principale dovere del proprio stato.
D. Che cosa sono i voti religiosi solenni?
R. I voti religiosi solenni sono così vincolanti
che, in casi eccezionali, solo il Santo Padre può dispensare da essi.
D. Che cosa sono i voti semplici?
R. Sono voti meno vincolanti; dai perpetui e dagli annuali dispensa la Santa Sede.
D. Qual è la differenza fra il voto e la virtù?
R. il voto comprende soltanto ciò che è prescritto sotto pena di
peccato; la virtù invece tende più verso l'alto e facilita l'osservanza del
voto, e al contrario, infrangendo il voto, si vien meno anche alla virtù e la
si ferisce.
D. Che obblighi impongono i voti religiosi?
R. I voti religiosi impongono l'obbligo di impegnarsi per il conseguimento delle virtù e
della totale sottomissione ai Superiori ed alle Regole, in base alla quale si
consegna la propria persona a vantaggio dell'ordine, rinunciando a tutti i
diritti su di essa e sulle sue attività, che dedica al servizio di Dio.
IL VOTO DI POVERTA’. Il voto di povertà è una rinuncia volontaria al
diritto di proprietà od al suo uso, per amore del Signore.
D. Quali oggetti riguarda il voto di povertà?
R. Tutti i beni ed oggetti che appartengono alla Congregazione.
Su ciò che abbiamo consegnato, cose o denaro, dopo la loro accettazione,
non si ha più alcun diritto. Tutte le regalie od i doni
che talvolta si possono ricevere a titolo di riconoscenza od altro, per
diritto appartengono alla Congregazione. Ogni entrata per lavoro od
anche le rendite, non possono essere usate senza violare il voto.
D. Quando s'infrange o si viola il voto in ciò che riguarda il settimo
comandamento?
R. S'infrange quando, senza permesso, si prende per sé
o per qualcun altro una cosa che appartiene alla casa. Quando senza
permesso si trattiene presso di sé qualche cosa al fine di
impossessarsene. Quando senza autorizzazione si vende o si cambia
qualche cosa di proprietà della Congregazione. Quando una data cosa la
si usa per uno scopo diverso da quello al quale l'aveva destinata il
superiore. Quando in genere si dà qualche cosa o la si prende senza
permesso. Quando per negligenza si rovina o si guasta qualche cosa.
Quando trasferendosi da una casa ad un'altra si porta via qualche cosa
senza permesso. Nei casi in cui s'infranga il voto di povertà, il religioso è
tenuto egualmente alla restituzione nei confronti della Congregazione.
LA VIRTÙ DELLA POVERTÀ. È la virtù evangelica che impegna il
cuore a distaccarsi dall'affetto per i beni temporali, cosa alla quale il
religioso è strettamente tenuto in virtù della professione.
D. Quando si pecca contro la virtù della povertà?
R. Quando si desiderano cose contrarie a tale virtù.
Quando ci si attacca a qualche oggetto, quando si fa
uso di cose superflue.
D. Quanti e quali sono i gradi della povertà?
R. In pratica nella professione religiosa i gradi della povertà sono quattro. Non
disporre di nulla senza dipendere dai superiori (stretta materia del voto).
Evitare il superfluo, accontentarsi delle cose necessarie (costituisce
virtù). Propendere volentieri per le cose più vili e ciò con soddisfazione
interiore - come la cella, l'abbigliamento, il vitto, ecc. Gioire
dell'indigenza.
IL VOTO DI CASTITÀ.
D. A che cosa obbliga questo voto?
R. A rinunciare al matrimonio e ad evitare tutto ciò che è proibito dal sesto e
dal nono comandamento.
D. La mancanza contro la virtù è una violazione del voto?
R. Ogni mancanza contro la virtù è contemporaneamente una violazione del voto,
perché qui non c'è differenza fra il voto e la virtù, come invece per la povertà e l'obbedienza.
D. Ogni pensiero cattivo è peccato?
R. Non ogni pensiero cattivo è peccato, ma lo diviene quando alla riflessione
dell'intelletto si unisce il compiacimento della volontà ed il consenso.
D. Oltre ai peccati contrari alla castità, c'è qualche cosa, che arreca danno alla virtù?
R. Arrecano danno alla virtù la libertà dei sensi, la libertà della fantasia e la libertà dei
sentimenti, la familiarità e le amicizie troppo tenere.
D. Quali sono i sistemi per conservare la virtù?
R. Vincere le tentazioni interiori con la presenza di Dio ed inoltre lottando senza paura. Le tentazioni esterne invece, col fuggire le occasioni. In genere sono sette i metodi principali. Il
primo è la custodia dei sensi, poi la fuga delle occasioni, evitare l'ozio,
allontanare sollecitamente le tentazioni, evitare qualsiasi amicizia
specialmente quelle particolari, coltivare lo spirito di mortificazione,
rivelare le tentazioni al confessore. Ci sono inoltre cinque mezzi per
conservare la virtù: l'umiltà, lo spirito di preghiera, l'osservanza della
modestia, la fedeltà alla regola, una sincera devozione alla SS.ma Vergine
Maria.
IL VOTO DELL'OBBEDIENZA.
Il voto dell'obbedienza è superiore ai primi due, dato che esso in realtà costituisce un'offerta totale, un olocausto, ed è il più necessario perché forma e mantiene in vita tutta la
struttura religiosa.
D. A che cosa obbliga il voto di obbedienza?
R. Il religioso col voto di obbedienza s'impegna davanti a Dio ad ubbidire al
legittimi superiori, in tutto ciò che gli comanderanno in forza della
regola. Il voto di obbedienza rende il religioso soggetto al superiore in
virtù della regola per tutta la vita e in tutte le questioni. Il religioso
commette peccato grave contro il voto, ogni volta che non ubbidisce ad
un ordine dato in virtù dell'obbedienza o della regola.
LA VIRTU’ DELL'OBBEDIENZA.
La virtù dell'obbedienza arriva più in alto del voto, comprende la regola,
le disposizioni e anche i consigli dei superiori.
D. La virtù dell'obbedienza è necessaria al religioso?
R. La virtù dell'obbedienza è così necessaria al religioso che, anche se agisse
positivamente andando contro l'obbedienza, le sue azioni diverrebbero
cattive o senza merito.
D. Si può peccare gravemente contro la virtù dell'obbedienza?
R. Si pecca gravemente quando si disprezza l'autorità o
l'ordine del superiore. Quando dalla disobbedienza deriva un danno
spirituale o materiale alla Congregazione.
D. Quali mancanze mettono in pericolo il voto?
R. I preconcetti e l'antipatia verso il superiore, la mormorazione e le critiche;
l'infingardaggine e la trascuratezza.
I GRADI DELL'OBBEDIENZA.
Esecuzione sollecita e totale.
Obbedienza della volontà, quando la volontà induce l'intelletto a
sottomettersi all'opinione del superiore.
Sant'Ignazio dà tre metodi che facilitano l'obbedienza:
Vedere sempre Iddio nel superiore, chiunque egli sia.
Giustificare dentro di sé l'ordine o l'opinione del superiore.
Accettare ogni ordine come se venisse dal Signore, senza discutere e senza pensarci
su. Il mezzo generale poi è l'umiltà. Niente è difficile per l'umile.
Signore mio, infiamma il mio amore per Te, affinché fra le tempeste, le sofferenze
e le prove, il mio spirito non venga meno. Vedi quanto sono debole.

L'amore può tutto.

mercoledì 28 gennaio 2015



MARIA REGINA DELLA PACE

MEDJUGORJE

Messaggio del 25 Gennaio 2015 

"Cari figli! Anche oggi vi invito:  vivete nella preghiera la vostra vocazione. Adesso, come mai prima, Satana desidera soffocare con il suo vento contagioso dell’odio e dell’inquietudine l’uomo e la sua anima. In tanti cuori non c’è gioia perché non c’è Dio né la preghiera. L’odio e la guerra crescono di giorno in giorno. Vi invito, figlioli, iniziate di nuovo con entusiasmo il cammino della santità e dell’amore perché io sono venuta in mezzo a voi per questo. Siamo insieme amore e perdono per tutti coloro che sanno e vogliono amare soltanto con l’amore umano e non con quell’immenso amore di Dio al quale Dio vi invita. Figlioli, la speranza in un domani migliore sia sempre nel vostro cuore. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

martedì 20 gennaio 2015

DIARIO DELLA 
DIVINA MISERICORDIA 
DI SANTA FAUSTINA KOWALSKA

Wilno, 2.VIII.1934. Venerdì, dopo la S. Comunione, venni trasportata
in ispirito davanti al trono di Dio. Davanti al trono di Dio vidi le Potenze
celesti, che adorano Dio incessantemente. Al di là del trono vidi uno
splendore inaccessibile alle creature; vi entra soltanto il Verbo Incarnato,
come Mediatore. Quando Gesù penetrò in quello splendore, sentii queste
parole: “Scrivi subito quello che ascolti: sono il Signore nella
Mia Essenza e non conosco imposizioni né bisogni. Se chiamo
delle creature alla vita, questo è per l'abisso della Mia
Misericordia”. In quello stesso momento mi vidi nella nostra cappella
come prima, nel mio inginocchiatoio; la S. Messa era terminata; queste
parole le trovai già scritte. Allorché vidi quanto il mio confessore doveva
soffrire a causa di quest'opera, che Iddio suo tramite sta mandando
avanti, mi spaventai per un momento e dissi al Signore: Gesù, dopotutto
quest'impresa è Tua e perché ti comporti così con lui, sembra quasi che
gliela ostacoli, mentre esigi che la attui? “Scrivi che giorno e notte il
Mio sguardo riposa su di lui e che permetto queste contrarietà
per aumentare i suoi meriti. Io do la ricompensa non per il
risultato positivo, ma per la pazienza e la fatica sopportata per
Me ».
Wilno, 26.X.1934. Venerdì, mentre dall'orto andavo a cena con le
educande, erano le sei meno dieci, vidi Gesù sulla nostra cappella, con lo
stesso aspetto di quando L'avevo visto la prima volta: così come è dipinto
in questa immagine. I due raggi, che uscivano dal Cuore di Gesù,
coprirono la nostra cappella e l'infermeria e poi tutta la città e si estesero
sul mondo intero. Ciò durò forse circa quattro minuti e poi scomparve.
Anche una delle figliole, che era assieme a me un po dietro alle altre, vide
quei raggi, ma non vide Gesù e non vide da dove uscivano i raggi. Rimase
molto impressionata e lo raccontò alle altre ragazze. Le ragazze
cominciarono a ridere di lei dicendole che le era sembrato di vedere
qualcosa e forse era una luce proveniente da un aereo, ma essa rimase
saldamente ferma sulla propria opinione e disse che mai in vita sua aveva
visto raggi di quel genere. Dato che le ragazze le obiettarono anche che
forse quello era un riflettore, essa allora rispose che conosceva la luce dei
riflettori. « Raggi così non ne avevo visti mai ». Quella ragazza dopo cena
si rivolse a me e mi disse che quei raggi l'avevano talmente
impressionata, che non riusciva a darsi pace: « Continuamente ne avrei
parlato »; eppure non aveva visto Gesù. E mi ricordava continuamente
quei raggi, mettendomi così in un certo imbarazzo, dato che non potevo
dirle di aver visto Gesù. Pregai per questa cara anima, perché il Signore le
concedesse le grazie di cui aveva tanto bisogno. Il mio cuore si rallegrò,
perché Gesù stesso si fa conoscere nella Sua opera. Benché abbia avuto
per questo motivo grandi dispiaceri, tuttavia per Gesù si può sopportare
tutto. Quando andai all'adorazione, sentii la vicinanza di Dio. Dopo un
momento vidi Gesù e Maria. Quella visione riempì la mia anima di gioia e
chiesi al Signore: Quale è, Gesù, la Tua volontà in questa questione, sulla
quale il confessore mi ordina di interpellarTi? Gesù mi rispose: « E Mia
volontà che stia qui e che non si licenzi ». E domandai a Gesù se
andava bene la scritta: « Cristo, Re di Misericordia ».
Gesù mi rispose: «Sono Re di Misericordia », e non disse: « Cristo ». 
« Desidero che questa immagine venga esposta al pubblico la prima 
domenica dopo Pasqua. Tale domenica è la festa della Misericordia.
Attraverso il Verbo Incarnato faccio conoscere l'abisso della
Mia Misericordia ». Avvenne in modo mirabile! Come il Signore aveva
chiesto, il primo tributo di venerazione per questa immagine da parte
della folla ebbe luogo una prima domenica dopo Pasqua. Per tre giorni
quest'immagine fu esposta al pubblico e fu oggetto della pubblica
venerazione. Era stata sistemata ad Ostra Brama su di una finestra in
alto, per questo era visibile da molto lontano. Ad Ostra Brama venne
celebrato un triduo solenne a chiusura del Giubileo della Redenzione del
Mondo, per il 19° centenario della Passione del Salvatore. Ora vedo che
l'opera della Redenzione è collegata con l'opera della Misericordia
richiesta dal Signore. Un certo giorno vidi interiormente quanto dovrà
soffrire il mio confessore. Gli amici ti abbandoneranno e tutti ti
contrasteranno e le forze fisiche diminuiranno. Ti ho visto come un
grappolo d'uva, scelto dal Signore e gettato sotto il torchio delle
sofferenze. In certi momenti, padre, la tua anima sarà piena di dubbi per
quanto riguarda quest'opera e me. E vidi come se Iddio stesso gli fosse
contrario e domandai al Signore perché si comportasse così con lui, come
se gli rendesse difficile quello che ordina. Ed il Signore disse: « Mi
comporto così con lui, per far comprendere che quest'opera è
Mia. Digli che non abbia paura di nulla. Il Mio sguardo è
rivolto giorno e notte su di lui. Nella sua corona ci saranno
tante corone quante sono le anime che si salveranno tramite
quest'opera. Io do il premio per le sofferenze, non per il buon
esito nel lavoro ». O mio Gesù, Tu solo sai quante persecuzioni sto
sopportando per il fatto che Ti sono fedele e che mi attengo decisamente
alle Tue richieste. Tu sei la mia forza; sostienimi, affinché possa sempre
fedelmente adempiere tutto quello che richiedi da me. Io da sola non
sono capace di nulla, ma se Tu mi sostieni, tutte le difficoltà non contano
niente. O Signore, vedo bene che la mia vita, dal primo momento in cui la
mia anima ricevette la capacità di conoscerTi, è una lotta incessante e
sempre più accanita. Ogni mattina durante la meditazione mi preparo
alla lotta per tutto il giorno e la S. Comunione mi dà la sicurezza che
vincerò e così avviene. Ho paura di quel giorno in cui non ho la S.
Comunione. Questo Pane dei Forti mi dà ogni energia per portare avanti
quest'opera ed ho il coraggio di eseguire tutto quello che richiede il
Signore. Il coraggio e l'energia, che sono dentro di me, non sono miei, ma
di Chi abita in me: l'Eucaristia. O Gesù mio, quanto sono grandi le
incomprensioni! Talvolta, se non ci fosse l'Eucaristia, non avrei il
coraggio di proseguire sulla strada che mi hai indicato. L'umiliazione è il
mio cibo quotidiano. È logico che la promessa sposa si adorni con ciò che
interessa al suo promesso Sposo, perciò la veste dello scherno che ha
coperto Lui, deve coprire anche me. Nei momenti in cui soffro molto,
cerco di tacere poiché non mi fido della lingua, che in quei momenti è
propensa a parlare di sé, ed invece deve servirmi per lodare Iddio per i
tanti benefici e doni che mi ha elargito. Quando ricevo Gesù nella S.
Comunione Lo prego ardentemente perché si degni di guarire la mia
lingua, in modo che con essa non offenda né Iddio, né il prossimo.
Desidero che la mia lingua lodi Dio incessantemente. Grandi colpe si
commettono con la lingua. Un'anima non può giungere alla santità, se

non tiene a freno la propria lingua.

domenica 18 gennaio 2015




MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
PER LA GIORNATA MONDIALE
DEL MIGRANTE E DEL RIFUGIATO 2015

“Chiesa senza frontiere, Madre di tutti”

Cari fratelli e sorelle!

Gesù è «l’evangelizzatore per eccellenza e il Vangelo in persona» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 209). La sua sollecitudine, particolarmente verso i più vulnerabili ed emarginati, invita tutti a prendersi cura delle persone più fragili e a riconoscere il suo volto sofferente, soprattutto nelle vittime delle nuove forme di povertà e di schiavitù. Il Signore dice: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Missione della Chiesa, pellegrina sulla terra e madre di tutti, è perciò di amare Gesù Cristo, adorarlo e amarlo, particolarmente nei più poveri e abbandonati; tra di essi rientrano certamente i migranti ed i rifugiati, i quali cercano di lasciarsi alle spalle dure condizioni di vita e pericoli di ogni sorta. Pertanto, quest’anno la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato ha per tema: Chiesa senza frontiere, madre di tutti.

In effetti, la Chiesa allarga le sue braccia per accogliere tutti i popoli, senza distinzioni e senza confini e per annunciare a tutti che «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16). Dopo la sua morte e risurrezione, Gesù ha affidato ai discepoli la missione di essere suoi testimoni e di proclamare il Vangelo della gioia e della misericordia. Nel giorno di Pentecoste, con coraggio ed entusiasmo, essi sono usciti dal Cenacolo; la forza dello Spirito Santo ha prevalso su dubbi e incertezze e ha fatto sì che ciascuno comprendesse il loro annuncio nella propria lingua; così fin dall’inizio la Chiesa è madre dal cuore aperto sul mondo intero, senza frontiere. Quel mandato copre ormai due millenni di storia, ma già dai primi secoli l’annuncio missionario ha messo in luce la maternità universale della Chiesa, sviluppata poi negli scritti dei Padri e ripresa dal Concilio Ecumenico Vaticano II. I Padri conciliari hanno parlato di Ecclesia mater per spiegarne la natura. Essa infatti genera figli e figlie e «li incorpora e li avvolge con il proprio amore e con le proprie cure» (Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 14).

La Chiesa senza frontiere, madre di tutti, diffonde nel mondo la cultura dell’accoglienza e della solidarietà, secondo la quale nessuno va considerato inutile, fuori posto o da scartare. Se vive effettivamente la sua maternità, la comunità cristiana nutre, orienta e indica la strada, accompagna con pazienza, si fa vicina nella preghiera e nelle opere di misericordia.

Oggi tutto questo assume un significato particolare. Infatti, in un’epoca di così vaste migrazioni, un gran numero di persone lascia i luoghi d’origine e intraprende il rischioso viaggio della speranza con un bagaglio pieno di desideri e di paure, alla ricerca di condizioni di vita più umane. Non di rado, però, questi movimenti migratori suscitano diffidenze e ostilità, anche nelle comunità ecclesiali, prima ancora che si conoscano le storie di vita, di persecuzione o di miseria delle persone coinvolte. In tal caso, sospetti e pregiudizi si pongono in conflitto con il comandamento biblico di accogliere con rispetto e solidarietà
lo straniero bisognoso.

Da una parte si avverte nel sacrario della coscienza la chiamata a toccare la miseria umana e a mettere in pratica il comandamento dell’amore che Gesù ci ha lasciato quando si è identificato con lo straniero, con chi soffre, con tutte le vittime innocenti di violenze e sfruttamento. Dall’altra, però, a causa della debolezza della nostra natura, «sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore»
(Esort. ap. Evangelii gaudium, 270).

Il coraggio della fede, della speranza e della carità permette di ridurre le distanze che separano dai drammi umani. Gesù Cristo è sempre in attesa di essere riconosciuto nei migranti e nei rifugiati, nei profughi e negli esuli, e anche in questo modo ci chiama a condividere le risorse, talvolta a rinunciare a qualcosa del nostro acquisito benessere. Lo ricordava il Papa Paolo VI, dicendo che «i più favoriti devono rinunciare ad alcuni dei loro diritti per mettere con maggiore liberalità i loro beni al servizio degli altri»
Lett. ap. Octogesima adveniens, 14 maggio 1971, 23).

Del resto, il carattere multiculturale delle società odierne incoraggia la Chiesa ad assumersi nuovi impegni di solidarietà, di comunione e di evangelizzazione. I movimenti migratori, infatti, sollecitano ad approfondire e a rafforzare i valori necessari a garantire la convivenza armonica tra persone e culture. A tal fine non può bastare la semplice tolleranza, che apre la strada al rispetto delle diversità e avvia percorsi di condivisione tra persone di origini e culture differenti. Qui si innesta la vocazione della Chiesa a superare le frontiere e a favorire «il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione ... ad un atteggiamento che abbia alla base la ‘cultura dell’incontro’, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno» (Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014).
I movimenti migratori hanno tuttavia assunto tali dimensioni che solo una sistematica e fattiva collaborazione che coinvolga gli Stati e le Organizzazioni internazionali può essere in grado di regolarli efficacemente e di gestirli. In effetti, le migrazioni interpellano tutti, non solo a causa dell’entità del fenomeno, ma anche «per le problematiche sociali, economiche, politiche, culturali e religiose che sollevano, per le sfide drammatiche che pongono
alle comunità nazionali e a quella internazionale»
(Benedetto XVI, Lett. Enc. Caritas in veritate, 29 giugno 2009, 62).

Nell’agenda internazionale trovano posto frequenti dibattiti sull’opportunità, sui metodi e sulle normative per affrontare il fenomeno delle migrazioni. Vi sono organismi e istituzioni, a livello internazionale, nazionale e locale, che mettono il loro lavoro e le loro energie al servizio di quanti cercano con l’emigrazione una vita migliore. Nonostante i loro generosi e lodevoli sforzi, è necessaria un’azione più incisiva ed efficace, che si avvalga di una rete universale di collaborazione, fondata sulla tutela della dignità e della centralità di ogni persona umana. In tal modo, sarà più incisiva la lotta contro il vergognoso e criminale traffico di esseri umani, contro la violazione dei diritti fondamentali, contro tutte le forme di violenza, di sopraffazione e di riduzione in schiavitù. Lavorare insieme, però, richiede reciprocità e sinergia, con disponibilità e fiducia, ben sapendo che «nessun Paese può affrontare da solo le difficoltà connesse a questo fenomeno, che è così ampio da interessare ormai tutti i Continenti nel duplice movimento
di immigrazione e di emigrazione»
(Messaggio per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2014).

Alla globalizzazione del fenomeno migratorio occorre rispondere con la globalizzazione della carità e della cooperazione, in modo da umanizzare le condizioni dei migranti. Nel medesimo tempo, occorre intensificare gli sforzi per creare le condizioni atte a garantire una progressiva diminuzione delle ragioni che spingono interi popoli a lasciare la loro terra natale a motivo di guerre e carestie, spesso l’una causa delle altre.

Alla solidarietà verso i migranti ed i rifugiati occorre unire il coraggio e la creatività necessarie a sviluppare a livello mondiale un ordine economico-finanziario più giusto ed equo insieme ad un accresciuto impegno in favore della pace, condizione indispensabile di ogni autentico progresso.


Cari migranti e rifugiati! Voi avete un posto speciale nel cuore della Chiesa, e la aiutate ad allargare le dimensioni del suo cuore per manifestare la sua maternità verso l’intera famiglia umana. Non perdete la vostra fiducia e la vostra speranza! Pensiamo alla santa Famiglia esule in Egitto: come nel cuore materno della Vergine Maria e in quello premuroso di san Giuseppe si è conservata la fiducia che Dio mai abbandona, così in voi non manchi la medesima fiducia nel Signore. Vi affido alla loro protezione e a tutti imparto di cuore la Benedizione Apostolica

sabato 17 gennaio 2015


CANTO A TE, SIGNORE!

Preghiera 
O glorioso Sant'Antonio, abate, 
che per seguire fedelmente Gesù
rinunciasti a tutte le ricchezze umane
e abbracciasti volontariamente
la povertà evangelica,
insegnaci a distaccare il nostro cuore
dai beni terreni
per non divenirne schiavi.
Tu che vivesti nell'ardente amore
di Dio e del prossimo,
superando ogni egoismo, ottienici
di praticare la vera carità e di avere
il cuore aperto a tutte le necessità
dei nostri fratelli.
Ottienici dal Signore la grazia
di essere sempre vittoriosi nel duro
scontro con il potere delle tenebre
e la forza contro le insidie del maligno.
Fa' che, liberi da ogni compromesso
con il male, diventiamo ricchi  di Dio.
Amen

sabato 10 gennaio 2015


A Maria, Madre della Chiesa

Aiutaci a guardare il mondo con simpatia e con l'audacia della fede.
Vergine santa, che guidata dallo Spirito, "ti mettesti in cammino per raggiungere in fretta una città di Giuda" (Lc 1,39), dove abitava Elisabetta, e divenisti così la prima missionaria del Vangelo, fà che, sospinti dallo stesso Spirito, abbiamo anche noi il coraggio di entrare nella città per portarle annunci di liberazione e di speranza, per condividere con essa la fatica quotidiana, nella ricerca del bene comune.
Donaci oggi il coraggio di non allontanarci, di non imboscarci dai luoghi dove ferve la mischia, di offrire a tutti il nostro servizio disinteressato e guardare con simpatia questo mondo nel quale nulla vi è genuinamente umano che non debba trovare eco nel nostro cuore.
Aiutaci a guardare con simpatia il mondo e a volergli bene.
Noi sacerdoti troviamo il culmine della nostra presenza presbiteriale nel giovedì santo, quando vien posto nelle nostre mani l'olio dei catecumeni, l'olio degli infermi e il sacro crisma.
Fà che nelle nostre mani l'olio degli infermi significhi scelta preferenziale della città malata, che soffre a causa della debolezza propria o della malvagità altrui.
Fà che l'olio dei catecumeni, l'olio dei forti, l'olio dei lottatori, esprima solidarietà di impegno con chi lotta per il pane, per la casa, per il lavoro.
Solidarietà da tradurre anche con coraggiose scelte di campo, offerta di impegno da non imbalsamare nel chiuso dei nostri sterili sentimenti.
E fà che il sacro crisma indichi a tutti gli umiliati e gli offesi della nostra città, ma anche agli indifferenti, ai distratti, ai peccatori la loro incredibile dignità sacerdotale, profetica e regale.
Come te, Vergine santa, come te, Madre Maria, sorella nostra e nostra necessaria compagnìa.
Amen

martedì 6 gennaio 2015


ARRIVA BABBO NATALE …  
ARRIVA LA BEFANA…
MA QUANDO ARRIVA GESU’ BAMBINO?

‘’L’epifania tutte le feste porta via’’
Si conclude così, in bellezza, come si suol dire, il ciclo delle festività natalizie: cominciate con Babbo Natale e terminate con la Befana!
Ma come, direte, Babbo Natale… befana… feste… vacanze… tutto qua?
Sì, tutto qua…e perché ci scandalizziamo tanto?
Non è forse vero che il Natale è tutto qua?
Non è forse vero che il Natale dei cristiani sia tutto qua?
Lo sappiamo bene che è così, anche se facciamo di tutto per convincerci che non sia vero… non solo è così… è anche peggio di così: i riti scaramantici legati al Natale e nei quali tutti ci credono sono così tanti che non si possono contare!
Basti pensare alla famose quanto incolpevoli lenticchie alle quali viene affidato il compito ingrato di ‘’portar soldi’’!
Compito ingrato perché… le povere lenticchie… ahimè… sono solo in grado di riprodurre solo se stesse, non saprebbero proprio come trasformarsi in monete sonanti… a meno che… non vengano toccate dal Re Mida o Pinocchio non decida di piantarle nel campo dei miracoli… se il Gatto e la Volpe non le rubassero… chissà… potrebbe anche succedere qualcosa!?
No, non sto scherzando, perché nel potere scaramantico delle lenticchie ci credono davvero tutti, cristiani e non … una vigilia di Capodanno senza lenticchie sarebbe uno scandalo!
In questo periodo di crisi pare che sia aumentato del 9%, a livello nazionale, il consumo del ‘’prezioso’’ legume, già abbondantemente usato in tutte le salse e con tutti i cotechini!
E di portafortuna natalizi ce ne sono di ogni genere: in Italia esistono miriadi di rituali propiziatori da svolgersi nella notte di San Silvestro… ne riporto solo qualche esempio:
·        in Sicilia, la sera del 31 dicembre, ogni lavoro manuale iniziato dovrebbe rimanere in sospeso, perché si rischia di non terminarlo o di concluderlo malamente; se proprio dovesse accadere, durante i rintocchi della mezzanotte bisognerà declamare uno scongiuro che non riporto in quanto chiama in causa addirittura la Santissima Trinità.
Sistemata così la coscienza lavorativa, è bene occuparsi dei riti scaramantici che garantiranno un anno perfetto; si sa che il fuoco è simbolo della luce del sole portatrice di energia e salute. Per questo nella notte di San Silvestro s’accendono fuochi: in Friuli i ragazzi saltano sui falò, purificatorio rito pagano di origine celtica, propiziatore di virilità e fecondità.
·        A San Martino di Castrozza, una lunga fiaccolata si snoda dal colle delle Strine sino ai prati di Tonadico, dove verrà bruciato un enorme fantoccio di legno e stracci e con lui, simbolicamente, verranno cancellati tutti i guai e le tristezze del vecchio anno.
·        Importante è anche quello che si mangia quella notte; innanzi tutto, mai come quest’anno occorrerà mangiare molte lenticchie perché portan soldi: persino il serissimo Emmanuel Kant la sera del 31 dicembre si cibava esclusivamente dei legumi tanto amati da Esaù.
·        In Val d’Aosta e nelle Marche, mentre scocca la Mezzanotte è di buon augurio inghiottire (possibilmente masticandoli per non strozzarsi, ché non sarebbe il modo migliore per iniziare l’anno) 12 acini d’uva nera, mentre in Romagna va bene l’uva di qualunque colore (magnìla cla porta quatrèn!) o altra frutta che si sgrana, come il melograno.
·        In Abruzzo a cena non debbono mancare 7 minestre di 7 legumi diversi, anche loro portatrici di ricchezza.
·        Altro elemento fondamentale del cenone dovrà essere la frutta secca, simbolo di prosperità: se in Francia la tradizione ne esige 13 tipi diversi, da noi ne bastano 7: noci, nocciole, arachidi, zibibbo, mandorle, fichi, datteri.
·        Indispensabile ovunque il cin cin con lo spumante o del vino frizzante che, stappato a mezzanotte esatta, faccia il botto: questo rumore, come quello di petardi e similari dicono che serva a scacciare il malocchio
·        Per sapere cosa il nuovo anno porterà in famiglia, in alcune zone della Calabria v’era la bizzarra usanza di far cadere una grossa pietra sul pavimento della cucina: se non procurava alcun danno, era buon auspicio. Se scheggiava le mattonelle, prediceva accadimenti sfortunati (ad esempio il costo del muratore!).
·        Usanza tipicamente laziale sino a qualche anno fa, era quella di lanciare fuori dalla finestra tre grossi vasi di coccio pieni dell’acqua che era servita in precedenza a lavare pavimenti, insieme a oggetti e panni sporchi e rotti di tutto l’alloggio: gettandola via si gettavano fuori casa tutte le magagne e le tristezze dell’anno passato.
·        Ma in tutto il centro sud italiano vigeva (o vige ancora?) la pericolosa tradizione di disfarsi, defenestrandoli, degli oggetti vecchi e inutili: gesto simbolico che dovrebbe significare lo sbattere fuori tutti i brutti ricordi.
·        Nel Bergamasco, il 1° gennaio, non si debbono prestare oggetti di nessun tipo, in Calabria non chiedere soldi in prestito, nelle Marche non acquistare né pagare niente, in Liguria non litigare, in Emilia-Romagna bisogna iniziare un lavoro proficuo, in Campania … è meglio non scendere in particolari … tutto questo perché, si sa, ciò che si fa il primo dell’anno si fa tutto l’anno
·        Secondo  le tradizioni e le usanze friulane, nella notte di Natale, se una ragazza a mezzanotte si guarderà nello specchio coi capelli sciolti, vi vedrà l’effigie di colui che è destinato per sposo. Sempre la vigilia di Natale si mette sul fuoco il ceppo, detto Zòc o Nadàlin. Questo ceppo è simbolo stesso del Natale, tant’è che lo si portava a casa in forma solenne, un rito accompagnato dall’allegria dei fanciulli che reggono lumi accesi. Alcune famiglie usano gettare nel fuoco gocce di vino e qualche pezzo dei dolci che si mangiano, altri versano il vino sul ceppo. Terminate le feste, le schegge e i carboni “del zòc” erano conservati con cura e utilizzati per accendere il fuoco quando minacciava mal tempo, o in segno scaramantico-augurale quando si dischiudevano i bachi. Assieme alla schegge del ceppo natalizio si bruciavano anche le foglie dell’ulivo benedetto e alcuni rami di ginepro ritenendo questa pratica un potente talismano contro le malìe delle streghe e, generalmente, contro il malocchio.
Continuare non credo che serva… ce n’è abbastanza per tutti!
Sono anche in tanti quelli che si occupano di recuperare queste tradizioni perché non vadano perse e facciano ‘’cultura’’!
In realtà, mi chiedo che genere di cultura possa mai essere questa: una cultura che crede che un suono di campanacci, (come quello che rimbomberà nel nostro caro paese tra pochi giorni), che un pugno di lenticchie o un pezzo di legno… possano migliorare la vita di tanta gente o addirittura far piovere soldi, impedire disgrazie e intemperie o portare pace, felicità… amore!
Cultura è forse credere che oggetti inanimati siano rivestiti di così potenti poteri capaci di cambiare la vita di un mondo intero!?
E a crederci davvero sono i cristiani, quelli che frequentano le chiese e quelli che non frequentano le chiese convinti di essere più credenti di quelli che le frequentano.

Qualcuno dirà: ma sono semplici tradizioni, cose da nonni, cose che si fanno per divertimento, cose in cui nessuno ci crede veramente, cose senza conseguenze, senza nessuna aspettativa…
L’inganno è proprio questo: non ci credo…ma!
Nessuno ammette di crederci, ma tutti hanno paura di non crederci!
Ammettere di credere nelle superstizioni si rischia di fare la figura del credulone del Medioevo, ma pur affermando di non crederci… le lenticchie le mangiamo lo stesso… non si sa mai!
Ecco il cristiano!
Ecco l’uomo colto e civilizzato!
Ecco la persona supertecnolocizzata… del Terzo Millennio!
Ecco la persona che crede di essere migliore dei suoi antenati!
In queste feste natalizie, ne ho sentite davvero di tutti i colori, ma ciò che più mi ha colpito sono state le letterine a Babbo Natale, di grandi e piccini: caro Babbo Natale, dona la salute a mamma e papà… aiutaci a trovare lavoro, portaci la pace…
A voler continuare dovrei riportare milioni di letterine come queste…
Ma ci rendiamo conto in che cosa noi crediamo!
È vero che in ognuno di noi continua a vivere il fanciullino, di pascoliana memoria, ma chiedere a Babbo Natale di trovarci un lavoro mi sembra davvero che abbiamo oltrepassato il limite.
Ma quale Babbo Natale potrà mai darci un lavoro?
Ci rendiamo conto a chi domandiamo questa grazia?
A chi chiediamo aiuto?
Ad un personaggio immaginario! Inesistente!
Ad un uomo qualsiasi, vestito di rosso, con tanta di barba bianca, al quale i bambini stessi fanno fatica a credere… ad un personaggio di semplice fantasia affidiamo i nostri sogni, bisogni e desideri più delicati!
Ma in che mondo viviamo?
Ma che fine ha fatto la nostra ragione?
Ma che cristiani siamo?
I Babbo Natale spuntano da ogni angolo del mondo, appollaiati sui tetti, arrampicati alle finestre, dentro i camini e sui manifesti di tutto il mondo; per la befana poi … feste a non finire, tradizioni millenarie intramontabili, forme tradizionali di befane regionali di ogni genere… si diceva oggi al telegiornale: è arrivata la Befana, la festa dei bambini!
Mi chiedevo: ma Gesù Bambino arriva mai a Natale?
E per chi arriva: per i grandi, per i piccini?
Tutti arrivano: amici, parenti, familiari, sorprese, regali, Babbo Natale, befane, pranzi, vacanze, l’anno nuovo, anche il primo nato dell’anno nuovo… sono in tanti ad arrivare… ma forse, guardandoci intorno, si scopre che l’Unico che dovrebbe arrivare, l’Unico che davvero dovremmo attendere con gioia, con ansia, con stupore, con commozione, con desiderio intenso… l’Unico… non c’è!
Non arriva!
O peggio: arriva, ma nessuno ci bada, a nessuno interessa… che cosa potrebbe fare mai un Bambino… Babbo Natale è ben più potente di Lui!
Certo… che ne ha di potere Babbo Natale… l’economia mondiale conta su di lui per incassare milioni su milioni e non solo per i regali!
Non c’è posto in questo nostro mondo strapieno di superstizioni, di usanze pagane, di tradizioni senza senso, di convinzioni disorientanti, di bisogni affidati alle fantasie del mondo, di desideri affidati a lampade cinesi lanciate nelle notti di agosto… non c’è posto per il vero protagonista del Natale: non c’è posto per Gesù Bambino!
In questo mondo strapieno di ogni cosa… c’è il vuoto più abissale della storia!
In questo mondo illuminato da milioni di luminarie… regna la tenebra più oscura!
Se l’umanità chiede la pace a Babbo Natale o per avere prosperità economica si affida a delle lenticchie … vuol dire che ha davvero toccato il fondo… e da quel fondo… fa fatica a credere nella Luce!
Per spiegare meglio la situazione in cui si trova oggi l’Umanità, mi viene in mente uno dei più famosi miti che la filosofia insegna, quello della caverna, riportato da Platone nel Libro Settimo de La Repubblica.
Egli ci dice: ‘’Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall'infanzia, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada sia stato eretto un muretto lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attrarrebbe l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (ricordando che sono incatenati fin dall'infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre "parlanti" come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del sole ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.
Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi. Successivamente, egli potrebbe, di notte, volgere lo sguardo al cielo, ammirando i corpi celesti con maggior facilità che di giorno. Infine, il prigioniero liberato sarebbe capace di vedere il sole stesso, invece che il suo riflesso nell'acqua, e capirebbe che:   « è esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte le cose del mondo visibile e ad essere causa, in certo modo, di tutto quello che egli e suoi compagni vedevano. » 
Resosi conto della situazione, egli vorrebbe senza dubbio tornare nella caverna e liberare i suoi compagni, essendo felice del cambiamento e provando per loro un senso di pietà: il problema, però, sarebbe proprio quello di convincere gli altri prigionieri ad essere liberati. Infatti, dovendo riabituare gli occhi all'ombra, dovrebbe passare del tempo prima che il prigioniero liberato possa vedere distintamente anche nel fondo della caverna; durante questo periodo, molto probabilmente egli sarebbe oggetto di riso da parte dei prigionieri, in quanto sarebbe tornato dall'ascesa con "gli occhi rovinati". Inoltre, questa sua temporanea inabilità influirebbe negativamente sulla sua opera di convincimento e, anzi, potrebbe spingere gli altri prigionieri ad ucciderlo, se tentasse di liberarli e portarli verso la luce, in quanto, a loro dire, non varrebbe la pena di subire il dolore dell'accecamento e la fatica della salita per andare ad ammirare le cose da lui descritte.’’
(Platone, La Repubblica, libro VII, 516 c - d, trad.: Franco Sartori)

Platone si riferisce alla scoperta della realtà delle cose che ci circondano: cosa che forse dovremmo fare anche noi, aprire gli occhi accecati da millenni di oscurantismo morale e spirituale, oscurantismo che viene da noi e non dalla religione o dalle filosofie, ma soltanto dalle nostre credenze; occorre svegliarci da quel sonno millenario che ci porta a credere che i sogni sian veri e che la realtà possa essere ‘’trasformata’’ da personaggi come la Befana e Babbo Natale!
Il nostro cuore si trova imprigionato nelle caverne più buie, il Sole vero non l’abbiamo mai conosciuto, la Luce vera che viene a squarciare le tenebre è solo una frase che ci lascia indifferenti, che ci lascia freddi, vuoti e prigionieri più di prima… per nostra volontà!
Sì, semplicemente e soltanto per nostra volontà: i prigionieri della caverna volevano uccidere colui che era andato a raccontare loro le meraviglie che aveva visto con i suoi occhi, toccato con le sue mani, udite con le sue orecchie… credevano che fosse impazzito e non volevano certo fare la fatica di abituare la vista ad una nuova realtà: a che pro?
Perché tanta fatica?
E se poi non era vero niente?
Perché faticare per qualcosa di cui non si ha certezza?
Perché uscire da quella situazione che è l’unica realtà di cui si ha esperienza e di cui si è certi?
Perché lasciare il certo per l’incerto?
E ritorniamo qui alle superstizioni: non ci credo… ma se caso mai ci fosse del vero… meglio non rischiare!
Da filosofo e non da cristiano, Platone aveva capito che: « ... Nel mondo conoscibile, punto estremo e difficile a vedere è l'idea del bene; ma quando la si è veduta, la ragione ci porta a ritenerla per chiunque la causa di tutto ciò che è retto e bello, e nel mondo visibile essa genera la luce e il sovrano della luce, nell'intelligibile largisce essa stessa, da sovrana, verità e intelletto. » (Platone, La Repubblica, libro VII, 517 b - c, trad.: Franco Sartori)
Se per  Platone il sole che brilla all'esterno della caverna rappresenta l'idea del bene, per noi quel Sole ha un Nome ben preciso: Gesù!
È Lui il Sole, la Luce che in queste settimane Giovanni ci ha riproposto più volte, è Lui quella Luce che squarcia le tenebre che tengono prigioniero il nostro cuore e ci impediscono la vista delle cose vere.
E Platone ci dice anche un’altra verità: dopo aver fatto ritorno dalla contemplazione del divino alle "cose umane", l'uomo-filosofo rischia di fare una "cattiva figura", viene deriso e rifiutato dai suoi stessi amici; lui, tornato entusiasta di ciò che aveva visto e scoperto, avendo conosciuto la verità, non vedeva l’ora di farla conoscere anche ai suoi amici, per liberarli dalle tenebre in cui si trovavano da sempre… ma così facendo rischia di essere ucciso, perché va a scuotere la consuetudine, la tradizione, la monotonia del vivere quotidiano, le certezze radicate nella conoscenza di ciò che credevano reale e vero; così è anche per il cristiano: colui  che dopo anni di ricerca e di cammino… riesce a trovare finalmente Colui che ha da sempre cercato: Cristo, la Verità, la Luce, ed apre gli occhi, apre il cuore, apre le mani, apre la sua stessa vita al Bene che lo inonda di Luce e lo riempie della Grazia, Dono d’Amore per chi incontra l’Amore… quel cristiano convertito rischia di essere emarginato, creduto pazzo, considerato fuori dal normale!
Sì, in un certo senso il convertito è fuori dal normale … se consideriamo che per normale si intende colui che chiede la salute a Babbo Natale… il convertito che chiede la salute a Gesù è davvero fuori dal normale, perché fa una cosa in cui non ci crede nessuno, che non farebbe mai nessuno!
Il mistero della conversione è la scoperta della Verità, l’incontro con una Persona, la svolta che cambia la vita e ti riempie di entusiasmo e di desiderio, bisogno incontenibile di urlare al mondo la gioia di aver incontrato la Persona capace di rendere felice anche chi soffre su un letto di dolore!
È un mistero inspiegabile quello della conversione, ma un mistero possibile, non riservato a pochi privilegiati, come ci ricorda papa Francesco, ma riservato a tutte le creature create ed amate dal Signore!
Ecco, però, che il mito si traduce in tragica realtà: colui che si è convertito vorrebbe dare testimonianza della sua esperienza, vorrebbe farsi missionario della Verità, dire a tutti che  l’incontro con Gesù appartiene al mondo della realtà e non della fantasia, che l’unico mondo non vero è quello delle opinioni, come ci dice Platone, delle convenzioni, delle consuetudini, delle tradizioni cristallizzate negli arcaismi della nostra coscienza, nei nostri timori di cambiare, di invertire rotta, nelle nostre paure di lasciare il certo per l’incerto… così come dicono gli antichi… ‘’lascia il mondo come l’hai trovato’’,  un detto che i nostri anziani ripetono a ritornello quando qualcuno va a proporre loro qualcosa di diverso…
È anche vero che a volte le proposte sono davvero indecenti come quelle dei testimoni di Geova, altre volte, invece, andrebbero prese sul serio e questo ci riporta ad un altro punto della filosofia platoniana: l’uso della ragione e la sua trascendenza. Colui che esce dalla caverna, spiega Platone, fa un percorso ben preciso, distinto in 4 tappe:
IMMAGINAZIONE: L'uomo è prigioniero dell'opinione perché crede passivamente alle immagini delle cose sensibili, cioè le ombre delle forme proiettate sulla parete della caverna.
FEDE: L'uomo, anche quando osserva direttamente le forme di animali e piante fatte passare dietro il muretto, è ancora legato all'opinione a causa del divenire dell'esistenza.
DISCORSO INTELLETTIVO: L'uomo entra nell'intelligibile quando passa dallo scorgere oggetti e uomini nel riflesso dell'acqua all'osservazione diretta
INTELLEZIONE: L'uomo volge lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, approdando al mondo della pura intellezione e giungendo a scorgere l'idea del Bene in sé.

Questo percorso di ordine filosofico non è in contraddizione con quello dello spirito, ma sono identici, proviamo a ripercorrerlo in un’ottica spirituale:
IMMAGINAZIONE: L'uomo è prigioniero dell'opinione, cioè delle superstizioni, delle credenze, delle tradizioni anche pseudo-religiose, delle usanze, prigioniero del ‘’si è sempre fatto così’’ perché crede passivamente alla memoria storica, senza esercitare l’uso della ragione e del discernimento.
FEDE: dice Platone: ‘’l'uomo, anche quando osserva direttamente le forme di animali e piante fatte passare dietro il muretto, è ancora legato all'opinione a causa del divenire dell'esistenza.’’; e non è forse così anche per il cristiano?
Anche quando il sacerdote ti dice che è possibile incontrare Gesù, che la Resurrezione è vera, reale, testimoniata, che la vita Eterna non è un’invenzione per bambini, che l’Inferno e il Paradiso sono realtà e non fantasie, che Gesù si è fatto Uomo per salvarci, anche quando ci viene rivelata la Verità… noi continuiamo per la nostra strada… a lasciare il mondo come l’abbiamo trovato… nelle tenebre sempre più tenebrose! Anche quando ci viene messa di fronte la Verità noi la rifiutiamo.
Siamo cristiani-fai-da-te, siamo cristiani spenti, cristiani di apparenze, cristiani tiepidi!
DISCORSO INTELLETTIVO: Platone ci dice che è questo il momento dell’esperienza personale, esperienza che corrisponde all’attimo della conversione, il momento in cui si comincia ad esercitare l’uso dell’intelletto e si scopre che tutto quello in cui si era creduto in realtà non erano che fantasie, illusioni, ombre, certezze comode, fandonie, credulonerie… come la befana, come Babbo Natale, come le lenticchie… come gli indumenti rossi da indossare la notte di san Silvestro!
La conversione è l’apertura dell’Intelletto e il passaggio dall’attenzione alle cose umane a quelle divine, è lo sguardo alzato e aperto vero il cielo, piuttosto che ripiegato verso la terre e le sue cose terrene.
INTELLEZIONE: questa tappa potrebbe essere paragonata al momento mistico, al momento culmine dell’esperienza religiosa: l’incontro con Cristo come Dio e come Uomo!
La scoperta che Gesù è vivo, vero, reale, presente e l’apertura al prossimo quale volto dell’amore di Cristo!
Se ci sono delle parole che ricorrono in ogni Natale sono proprio quelle della Luce e delle tenebre, entrambe accompagnano il nostro percorso di vita, da cristiani e da uomini e donne di questo mondo.
Ma a noi piace restare prigionieri delle immagini, delle ombre, delle tenebre, ci piace … non è forse poetico scrivere una letterina a Babbo Natale per chiedergli la pace del mondo! Oh che bella cosa!
Sì… ne avremo di millenni da aspettare che la pace ci giunga se continuiamo a chiederla a Babbo Natale!
La pace, ci dice papa Francesco, ha la sua radice nella preghiera!
E la preghiera la si innalza solo a Dio, alla Luce vera, alla Verità, come Maria ci ricorda da Medjugorje: “Cari figli, sono qui in mezzo a voi come Madre che vuole aiutarvi a conoscere la verità. Mentre vivevo la vostra vita sulla terra, io avevo la conoscenza della verità e con ciò un pezzetto di Paradiso sulla terra. Perciò per voi, miei figli, desidero la stessa cosa. Il Padre Celeste desidera cuori puri, colmi di conoscenza della verità. Desidera che amiate tutti coloro che incontrate, perché anch’io amo mio Figlio in tutti voi. Questo è l’inizio della conoscenza della verità. Vi vengono offerte molte false verità. Le supererete con un cuore purificato dal digiuno, dalla preghiera, dalla penitenza e dal Vangelo. Questa è l’unica verità ed è quella che mio Figlio vi ha lasciato. Non dovete esaminarla molto: vi è chiesto di amare e di dare, come ho fatto anch’io. Figli miei, se amate, il vostro cuore sarà una dimora per mio Figlio e per me, e le parole di mio Figlio saranno la guida della vostra vita. Figli miei, mi servirò di voi, apostoli dell’amore, per aiutare tutti i miei figli a conoscere la verità. Figli miei, io ho sempre pregato per la Chiesa di mio Figlio, perciò prego anche voi di fare lo stesso.’’
La Verità!
La Verità, ci dice Maria, ha un Nome: Gesù!
La Pace ha un Nome: Gesù!
La felicità ha un Nome: Gesù!
Ma noi siamo convinti che la Verità faccia male… per questo preferiamo dimorare nelle tenebre e vivere da prigionieri, è più comodo, più sicuro, meno faticoso!

Così termina anche questo Natale, con statistiche, regali da riciclare, pranzi da smaltire, comincia il dopo-festa, si torna al lavoro usato, come Leopardi ci ricorda, ricominciano le corse, le ansie, le preoccupazioni, gli stress per la linea e la dieta da rispettare, per le bollette e tutte le tasse da pagare… ritorna la dolorosa quotidianità… dolorosa sì… perché abbiamo confidato soltanto nella Befana e in Babbo Natale… come possiamo aspettarci che qualcosa cambi?
Siamo forse cambiati noi?
È forse cambiato qualcosa in noi?
Come potrebbe cambiare il mondo intorno a noi se nessuno ha voglia di cambiare?
Se vaghiamo nelle tenebre e siamo felici di farlo, se siamo prigionieri delle nostre credenze e siamo convinti di essere nel giusto, se continuiamo a credere alle fantasie e al potere soprannaturale di lenticchie, rami d’albero e filastrocche popolari… se tutto questo permane radicato in noi… cosa mai cambierà dentro e fuori di noi?
E come possiamo aspettarci il cambiamento dal mondo esterno se non siamo disposti a cominciare noi dall’interno a cambiare?
Il cambiamento ci spaventa?
È umano, è nomale, è comprensibile, è legittimo… ma la ragione ci dice che ogni buon cambiamento non potrà mai fare del male… potrà sconvolgere inizialmente, come un terremoto che rimescola il sopra con il sotto, come un cataclisma che ti porta dalle stelle alle stalle… tutto questo è normale… è giusto… è scomodo sì… ma è bello, è bellissimo… è tanto incredibilmente devastante quanto profondamente desiderabile… ed è questo il mio augurio che giunge al termine di questo ciclo di festività natalizie: il mio augurio è che possiate provare, vivere, in questo nuovo anno, il più devastante e rivoluzionante terremoto spirituale; che possiate uscire da quella caverna e incontrare la Luce e sentire forte, impellente il bisogno di correre per il mondo ad annunciare quella Luce che avete incontrato… all’alba, lungo il marciapiede di una immensa stazione, in una grande città, nascosta sotto un groviglio di cartoni inzuppati dalla neve, appena sciolta al tepore del sole, dietro una lunga ed incolta barba, imputridita in stracci e sudiciume vario… in due occhi smarriti e spaventati… nei quali brillavano gli occhi azzurri di un Bimbo… nato per dare e per chiedere AMORE!
E in quelle sue braccia incrociate per difendersi dal freddo, intravedere le manine tese di un Bambino desideroso di portare e di offrire tutta la tenerezza di un Padre che va incontro a quel figlio che lo ha sostituito con un vitello d’oro o con un uomo vestito di rosso che viaggia su una slitta.
Si dice che dove si è distrutta la religione, si è affermata la superstizione!
CHE SIA UN ANNO QUESTO, DUNQUE, DI RIVOLUZIONE… DI VERA RIVOLUZIONE… LA RIVOLUZIONE DELL’AMORE, DELLA VERITA’… DELLA SANTITA’!

CHE IL DIO DELLA VITA TORNI AD OCCUPARE IL PRIMO POSTO NEL NOSTRO CUORE, CHE SQUARCI LE TENEBRE CHE HANNO POSTO RADICI PROFONDE IN NOI, CHE DISSOLVA LE NUBI… CHE RIPORTI LA LUCE… CHE APRA I NOSTRI OCCHI ALLA LUCE E CHE CI ABITUI AL SUO SPLENDORE!