mercoledì 20 luglio 2016

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FEDE E OPERE SECONDO LO STILE DI DIO

TRA IL DIRE E IL FARE… C’È DI MEZZO L’AMORE!

Fra le tante dispute mai terminate né mai superate c’ è sicuramente quella sulla salvezza: ci si salva per fede o per le opere buone?
Sono tanti i riferimenti nei Vangeli che possono dare risposte a questa domanda, eppure sembra che le interpretazioni a volte non siano concordi, ma contraddittorie quasi, come se si smentissero a vicenda.
Alcuni dei passi evangelici più discussi e controversi si trovano nelle lettere di  S. Paolo che, spesso, vengono contrapposte alla lettera di S. Giacomo.
Papa Benedetto XVI, in una sua catechesi, ha detto: ‘’Paolo ci aiuta a capire il valore assolutamente fondante e insostituibile della fede. Ecco che cosa scrive nella Lettera ai Romani: «Noi riteniamo che l'uomo viene giustificato per la fede, indipendentemente dalle opere della Legge» (3,28). E così pure nella Lettera ai Galati: «L'uomo non è giustificato dalle opere della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo; perciò abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della Legge, poiché dalle opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno» (2,16).
«Essere giustificati» significa essere resi giusti, cioè essere accolti dalla giustizia misericordiosa di Dio, ed entrare in comunione con Lui e, di conseguenza, poter stabilire un rapporto molto più autentico con tutti i nostri fratelli: e questo sulla base di un totale perdono dei nostri peccati. …  «Siamo giustificati gratuitamente per sua grazia, in virtù della redenzione realizzata da Cristo Gesù» (Rm 3,24).
A tutto quello che dice il papa, possiamo anche aggiungere Romani 4,1-3: ‘’Che diremo dunque di Abramo, nostro antenato secondo la carne? Se infatti Abramo è stato giustificato per le opere, certo ha di che gloriarsi, ma non davanti a Dio. Ora, che cosa dice la Scrittura? Abramo ebbe fede in Dio e ciò gli fu accreditato come giustizia’’.
La posizione di Paolo è molto chiara: ci si salva per fede.
Vediamo, adesso, cosa dice nella sua lettera San Giacomo al capitolo 2, 14-26:  ‘’[14]Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? [15]Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano [16]e uno di voi dice loro: «Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi», ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? [17]Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa. [18]Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede. [19]Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano! [20]Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza calore? [21]Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare?[22]Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta [23]e si compì la Scrittura che dice: E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio. [24]Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede. [25]… [26] Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.’’.
Anche in questo caso la posizione è piuttosto chiara: per San Giacomo l’uomo viene giustificato in base alle opere.
Il dilemma è dunque legittimo, sembra proprio che queste due posizioni si contrappongano, si contraddicano e, di conseguenza, si annullino a vicenda.
Sembra, come sempre.
Il ‘’sembrare’’, lo sappiamo, non è sinonimo di Verità, ma di apparenza, indica cioè una situazione apparentemente vera; l’apparenza non ha niente a che fare con la verità però.
E allora?
Quale delle due posizioni è quella giusta?
Dove sta la verità?
Come superare questa apparente contraddizione?
Come conciliare le due posizioni?
In realtà, la risposta è già stata scritta nelle lettere dei due autori in questione, basta leggerla con i loro occhi e con la loro esperienza, ma soprattutto individuando l’intendo dei due ed inserendola nel contesto socio-storico-religioso in cui viene espressa.

La prima riflessione la facciamo sulle parole di S. Paolo nella lettera ai Galati: «L'uomo non è giustificato dalle opere della Legge, ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo; perciò abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della Legge, poiché dalle opere della Legge non verrà mai giustificato nessuno» (2,16).
La parola-chiave, quella che apre al pensiero paolino sulla giustificazione, è ripetuta più volte in questi versetti : le opere della Legge.
Paolo non fa riferimento ad opere qualsiasi, ad opere buone o ad opere importanti, ma a delle opere precise, quelle ‘’ della Legge’’.
Risultati immagini per dio immagini sacrePerché?
Parlando di Legge, ovviamente, si riferisce alla Legge di Mosè.
Ora, la Legge di Mosè era prescrittiva, prescriveva, cioè, una serie di norme di comportamento che regolavano la fede, ma anche il vivere sociale, la quotidianità antropologica (rapporti, relazioni, comportamenti per ogni situazioni di vita…)
La Legge di Mosè è stata, per secoli e secoli, un punto di riferimento indiscutibile per il popolo ebreo.
I Giudei, in particolari, erano tra i più osservanti di tale Legge.
La Legge di Mosè aveva assunto, però, nel tempo, un significato che non le era più proprio:  era stata ridotta ad una serie di regole alle quali ci si atteneva con  un’osservanza meccanica e sterile, rigida, più attenta all’esteriorità che all’interiorità della persona stessa.
La Legge, in un certo senso, era stata ‘’mondanizzata’’,  si era fatta cioè ‘’Legge del mondo’’, non più ‘’Legge divina’’, operava perlopiù sul piano della mondanità, dell’esteriorità, dell’osservanza effimera finalizzata al ‘’mostrare’’ piuttosto che ‘’all’essere’’.
La Legge non intaccava più il cuore degli Ebrei ed invece di unire l’uomo con Dio, era diventata strumento di divisione fra l’uomo e Dio e fra gli uomini stessi.
Sono noti i rigorismi e la puntigliosa scrupolosità a cui erano abituati i vari gruppi interni al giudaismo: sadducei, farisei, zeloti… gruppi che curavano gli aspetti formali e l’osservanza della Legge con uno zelo estremo, limitate però alle norme di purità, al pagamento delle tasse o all’osservanza del sabato… come sono note anche la superbia dei sadducei, l’osservazione ferrea della tradizione ebraica da parte dei farisei che si esprimeva nell’ostentazione dei loro gesti, la loro presunzione di perfezione e la loro intolleranza verso coloro che venivano considerati impuri, perché non rispettosi della Legge mosaica; la contrapposizione degli  Esseni, che si consideravano la casta dei ‘’puri’’, verso i Samaritani considerati i più impuri, per la promiscuità della loro religione tra giudaismo e paganesimo… com’è noto anche l’odio che ne derivava tra i vari gruppi,  i quali, avendo ridotto la Legge a pura adesione formale ed esteriore, l’avevano fatta diventare una Legge forense, in base alla quale si emettevano giudizi, vere e proprie sentenze giudiziarie; infine, l’avevano  trasformata in una legge discriminante tra gli stessi  gruppi giudaici del tempo.

Ma c’è di peggio: più si era osservanti della Legge più si rifiutava Cristo e il suo messaggio salvifico, la rivoluzione cioè avvenuta con l’avvento di Cristo, la sua Passione, Morte e Resurrezione.
Gesù aveva insegnato un nuovo modo di vivere, aveva lasciato un comandamento nuovo che era quello dell’Amore.
Questo modo nuovo di vivere richiedeva un uomo nuovo che doveva abbandonare il vecchio stile di vita, non perché la Legge di Mosè non fosse più valida, ma perché era avvenuto qualcosa di nuovo che portava a compimento la stessa Legge: la resurrezione di Cristo era la pietra d’angolo che reggeva tutta la Legge, la rinnovava senza modificarla nella sostanza, la faceva nuova senza cancellare nulla del vecchio, la rinnovava spiritualmente perché era stata sigillata con il sangue di un Dio.
Tutto questo, però, i Giudei non lo accettavano, rifiutavano, come sappiamo, la resurrezione di Cristo, come rifiutavano Cristo stesso quale Dio e Figlio di Dio.
Paolo si muove, dunque, in un quadro teologico squisitamente dottrinale, il suo intento, infatti, era questo: far capire loro che era avvenuto qualcosa di grande che aveva cambiato la Storia dell’Umanità: la fede adesso doveva essere riposta in Cristo, nuovo Adamo, nuovo Mosè, che con il Suo Sangue  aveva operato la salvezza dell’Umanità.
Ciò che a Paolo interessava era far capire loro che nessuna pratica esteriore li avrebbe mai salvati, ma l’accettare Cristo come Dio che con la sua morte e resurrezione aveva restaurato ogni cosa, aveva fatto nuova ogni cosa.
In questo contesto, le parole di Paolo sono pienamente giustificate, a lui premeva evidenziare la centralità dell’azione salvifica di Cristo, che era una novità assoluta nella Storia degli Ebrei e che andava a rivoluzionare l’intero assetto religioso fin a quel momento vissuto.
Il contesto di opposizione, di rifiuto, di negazione dell’opera redentrice di Cristo richiedeva una presa di posizione forte, chiara e decisa da parte di Paolo, capace di smuovere dall’immobilismo teorico ed intellettualistico per riportate la fede a qualcosa di molto più concreto: un’adesione totale ad una Persona viva e vera che aveva rivoluzionato il tempo e lo spazio.
Il senso del pensiero paolino  può essere sintetizzato in questa affermazione “… se la giustificazione viene dalla Legge, Cristo è morto invano” (Gal. 2,21).
Risultati immagini per dio immagini sacreCome a dire: se fosse bastata la Legge di Mosè a salvarci, a nulla sarebbe servito il sacrificio di Cristo.
La Legge di Mosè e la redenzione operata da Cristo appartengono ad un unico progetto di salvezza, per questo non si annullano, ma si completano a vicenda.
La difficoltà era proprio convincere in quanto a questo, far accettare i nuovi eventi che superavano i primi in quanto a potenza e significato.
La resurrezione di Cristo, avvenuta nella pienezza dei tempi, altro non era se non la pienezza della Legge stessa: ma far accettare questo era un’impresa impossibile; ciononostante, Paolo afferma ‘’guai a me se non annunciassi il Vangelo’’; lui, che aveva perseguitato i cristiani in nome di quella Legge e che aveva vissuto, poi, personalmente la rivoluzione del cuore, operata con forza e potenza dal Cristo Risorto, non poteva tacere di fronte alla Verità.
Per affermare quella Verità, il cui annuncio (il Kerygma che è "potenza di Dio per chiunque crede") tanti, da Duemila anni a questa parte,  hanno pagato e continuano a pagare  con la vita.

S. Giacomo si muove, invece, in un quadro teologico di tipo etico, morale, esortativo, per questo non solo non annulla nulla di quanto viene detto da Paolo, ma ne prolunga e ne amplia il significato stesso dei suoi discorsi, sempre in perfetta sintonia con lui.
Vediamo, infatti, come S. Giacomo parla di ‘’opere buone’’, non fa riferimento alle ‘’opere della Legge’’: siamo su due livelli completamente diversi.
Paolo stesso aveva condannato lo sterilismo della Legge per come veniva vissuta ai suoi tempi dai Giudei, non certo quelle opere buone che sono  legittima  conseguenza di una fede viva, alla quale fa riferimento S. Giacomo nella sua lettera.
La contraddizione, quindi, non esiste né sul piano ideologico né su quello teologico, né su quello sacramentale né su quello scritturistico,  semplicemente perché l’intendo dottrinale dell’uno (Paolo) è quello di spingere ad orientare la propria vita verso Dio ed aprirsi esistenzialmente alla sua proposta salvifica, unica via per accedere alla giustificazione; va da sé che le opere, cioè lo stile di vita, accompagnino questa scelta del credente; l’intendo etico dell’altro (Giacomo)  è quello di far capire  che la fede deve permeare l’intera vita del cristiano e deve essere testimoniata attraverso le opere.
Giacomo, in realtà, si pone come un pastore che si rivolge ad una comunità il cui vivere è in netta dissonanza con quanto credono, per questo sottolinea con forza che  le opere devono essere il corpo visibile della fede, nel senso che la fede deve concretizzarsi in un chiaro stile di vita cristiano e lo deve caratterizzare.
La fede è tutto ciò in cui il cristiano crede e a cui deve conformare anche la sua vita perché la sua fede non si riduca ad un semplice atto intellettuale, così come era accaduto per i Giudei.
Il suo timore  era che la “fides qua creditur”, cioè la fede per mezzo della quale si crede e sulla quale il credente modella la sua vita, non si trasformi semplicemente in un vacuo “fides quae creditur”, cioè una semplice serie di verità a cui aderire intellettivamente, ma dalle quali la concretezza del vivere è ben lontana.

Giacomo non squalifica, dunque, affatto la fede, intesa come apertura esistenziale a Dio per mezzo di Cristo, quanto piuttosto, spingendo il credente a conformare il proprio vivere alle verità-realtà che palpitano in lui in virtù del battesimo, avvalora la stessa fede.

Non c’è dunque nessuna contraddizione tra Paolo e Giacomo, ma soltanto due intendi diversi: aprire alla fede, per l’uno; vivere la fede per l’altro.

S. Giacomo conferma pienamente che la salvezza viene da Cristo, ma aggiunge che l’uomo deve cooperare a questa salvezza con le sue opere buone.
Si tratta di una cooperazione all’opera di Cristo, non certamente di un presunto potere salvifico delle opere umane.
Nessun’opera umana ha o avrà mai questo potere: solo Dio salva!
Questo è molto chiaro ed indiscutibile in entrambi.
Anche su Abramo i due concordano pienamente: egli ha creduto per fede, si è affidato completamente alle Promesse di Dio; una tale fede lo ha portato ad agire in un certo modo, cioè in assoluta obbedienza al comando di Dio: lascia la tua Terra e va’ dove ti manderò!
Abramo ha obbedito ed ha agito di conseguenza e questa obbedienza gli è stata accreditata come giustizia.
Alla fede sono seguite le azioni: quale conseguenza del suo c’è stato il suo partire.
Così come la conseguenza del suo sì alla richiesta del sacrificio del figlio Isacco lo ha portato sul monte, dove, preparato un altare, era pronto ad obbedire alla richiesta di immolazione del figlio, se non fosse intervenuta la misericordia di Dio: ora so che tu mi ami!
La fede muove dunque le opere buone.
Le opere della fede, a  cui fa riferimento S. Giacomo, non hanno niente a che fare con le opere della Legge, a cui fa riferimento S. Paolo.
Il Sì di Abramo come  il Sì di Maria hanno risposto alla Legge del cuore che ha generato in loro opere gradite a Dio, quale risposta della creatura  all’invito del Creatore che li ha chiamati a mettere in gioco tutto ciò in cui credevano.
Queste opere, naturalmente, sono benedette da Dio, perché testimoniano una fede viva in una Persona Viva.
Dobbiamo quindi fare un distinguo tra le ‘’opere della Legge’’ che avevano trasformato i Giudei in  sepolcri imbiancati, cioè uomini morti, per una fede fatta di gesti esteriori, ma spiritualmente morta, vacua, insignificante, non incarnata; e le opere vive della Legge del cuore, come hanno concretamente dimostrato Abramo e Maria, nei quali la Parola ha acceso il cuore e rivitalizzato lo spirito, che è stato innalzato a Dio in un canto di lode, conseguenza  di quell’azione di Grazia che ha agito in loro e a cui hanno risposto con pronta e totale obbedienza.
Le prime portano, quindi, ad opere sterili e non gradite a Dio, le secondo ad opere feconde e gradite a Dio.
Le opere della Grazia introducono al ‘’modus operandi’’ di Dio, che non sempre è chiaro ed immediatamente comprensibile.
Spesso resta un mistero insormontabile, indefinibile, inaccessibile, incomprensibile, per questo solo una fede viva permette di aderirvi in pienezza e in totale abbandono alla Sua Volontà.
È la nostra risposta alla sua Grazia, dunque, che cambia il senso delle opere compiute.
Le opere buone di S. Giacomo sono risposte d’amore ad un invito dettato direttamente al cuore; non più adesione ad una legge scritta sulla pietra che aveva, nel corso del tempo, pietrificato il  cuore stesso dell’uomo, ma un’adesione ad una Persona che rivoluziona il cuore.

Risultati immagini per dio immagini sacreTutto questo ci mostra come la PAROLA non sarà mai in contraddizione con se stessa, non potrà mai negare in un testo ciò che è stato affermato in un altro, mai si troveranno due autori che diranno cose contrarie l’uno dell’altro, come spesso tanti cercano di far fare alle varie lettura bibliche.
E se è vero, ancora, che la Parola si spiega con la Parola, questo ci dà la certezza assoluta che Paolo e Giacomo non sono e non saranno mai in contrapposizione; le loro parole non vanno lette in contrapposizione, ma come ampliamento di un concetto piuttosto vasto e complesso quale è quello della fede.
Se volessimo individuare un preciso percorso spirituale che porta alla risposta d’amore della creatura verso il Creatore e quindi alla realizzazione di buone opere, potremmo così sintetizzarlo:
  1. la prima condizione è il CREDERE
  2. la seconda riguarda il COME CREDERE?
Ø  Credere per fede.
  1. la terza: IN CHI CREDERE?
Ø  In Cristo Gesù.
  1. la quarta: CHE COSA CREDERE?
Ø  Che Lui ci ha salvati con la sua morte e resurrezione.
  1. Conclusione: La salvezza è dunque un dono gratuito dato per Grazia, realizzato attraverso un evolversi di eventi storici ben precisi che hanno portato alla resurrezione dell’Uomo-Dio chiamato Gesù, incarnatosi nel seno della Vergine Maria.
La nostra, dunque, è una fede incarnata.
Questo significa che la fede non è una teoria, non è un’obbedienza a dei concetti astratti, ma un’adesione ad una Parola fattasi Carne, che agisce sulla Storia di tutti e di ciascuno, nel tessuto infinito del tempo.
La salvezza, come ci dice Paolo, è dono di Grazia, dono divino, dataci da Cristo, il Dio fattosi Uomo per la redenzione del mondo.
Nessuna osservanza ferrea della Legge potrebbe mai uguagliare l’ampiezza, la profondità e la grandezza di questo Dono, né mai paragonarsi negli effetti: solo la fede vera e l’adesione libera e spontanea del cuore alla Volontà di Dio… salva!
Dice Madre Teresa di Calcutta: ‘’La fede porta all’amore. L’amore porta al servizio. Il servizio porta alla pace.’’
Le opere, dunque, compiute secondo la logica di Dio, portano i frutti tipici di Dio: pace, misericordia, amore, servizio.
Tutto questo rende viva la fede.
Senza di questo, la fede è morta, semplicemente perché non è vera fede; una fede fatta di apparenze non serve a niente perché, in realtà, non ha niente a che fare con la fede vera, si è su un piano completamente diverso.
Giacomo, dunque, non solo non annulla affatto quanto detto da Paolo, non può che essere d’accordo con lui, ma  aggiunge un’ ulteriore conquista dello spirito: individua nelle opere buone la risposta, per fede, all’amore di Dio.

C’è un passaggio  molto sottile nella sua lettera che chiarisce ogni cosa: [21]Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare?[22]Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta [23].
Giacomo non dice che la fede non serve a nulla e che bastano solo le opere, dice, invece, che c’è una COOPERAZIONE tra opere e fede che rende perfetta quest’ultima; la risposta di Abramo alla richiesta di Dio ha dato la misura della sua fede.
Egli ha sacrificato tutte le sue certezze ed era pronto anche a sacrificare suo figlio pur di dimostrare a Dio il suo amore e la sua totale obbedienza.
Ciò che lui ha fatto, è stato solo espressione consequenziale della fede che si portava nel cuore.
Giacomo  non dice né che basta solo la fede né che bastano solo le opere, ma che fra la fede e le opere c’è una ‘’cooperazione’’, su tale cooperazione si viene giustificati, si diventa cioè uomini giusti al cospetto di Dio e in questo essere giusti al suo cospetto si compie la salvezza dell’uomo, già operata da Cristo come dono per tutta l’Umanità.
Se Paolo evidenzia il cuore della questione: la salvezza viene da Cristo; Giacomo lo completa: Cristo ci ha salvati una volta e per sempre e noi possiamo cooperare a questa economia della salvezza compiendo le opere del cuore, della misericordia, dell’amore, in obbedienza al Comandamento nuovo: ‘’Amatevi come io vi ho amati’’.
È solo l’uomo nuovo, riscattato per Grazia, che può comprendere l’altezza e la profondità di questa Nuova Legge.

Di conseguenza: se credo per fede che sono salvato dal sacrificio di Cristo, non posso non sentire quel debito d’amore che questo credere porta in sé; se sento in me questo debito, non posso non operare cose buone, quale risposta all’amore incondizionato di un Dio fattosi Uomo e morto per me.
Ecco che quelle ‘’opere’’ a cui fa riferimento Giacomo, acquistano un valore completamente diverso rispetto a quelle menzionate da Paolo;  se la fede è in me, vuol dire che Cristo è in me (come afferma Paolo) e se Cristo è in me non posso non compiere opere giuste ai suoi occhi, altrimenti sarebbe questa la vera contraddizione: non posso essere in Cristo e non potrebbe essere Cristo in me se la mia vita non è espressione viva di questa co-abitazione d’amore.
La mia fede mi porta a compiere opere buone che mi verranno accreditate come giustizia davanti a Dio.
È il bagaglio che si porta con sé come risposta a quel debito d’amore contratto con Dio.
Dio è Uno che osa rischiare, potremmo definirlo quasi ‘’un Giocatore d’azzardo’’:  la sua pedagogia richiede che l’uomo, in qualche modo, partecipi liberamente all’opera della salvezza, Dio scommette sull’uomo lasciandolo libero di aderire o meno al suo progetto di salvezza.
Il suo ‘’azzardo’’ sta nella libertà concessa all’uomo, creatura imperfetta, a quell’ uomo che non è ‘’puro spirito’’, ma un campo di battaglia quotidiana tra il Bene e il Male ed è una battaglia senza esclusioni di colpi.
Il rischio che Dio ha scelto di correre è dunque grosso: l’amore è e deve essere Libertà, nessuno può costringere ad amare, un amore forzato o imposto contraddice il concetto stesso di Amore quale ‘’libero dono di sé’’.
Ricapitolando: la Salvezza, è chiaro, viene da Cristo; con la Sua Morte e Resurrezione Egli ha restaurato l’intera Creazione, salvando anche la carne immersa nel peccato.
La salvezza non è un automatismo, però, è offerta a tutti come dono, pertanto va desiderata e richiesta.
Il Signore la concede con grande gioia a quanti gliela chiedono.
Questo vuol dire che una volta operata la salvezza  in seguito al sacrificio di Cristo, tutto resta nelle mani dell’uomo che non è obbligato ad accogliere questo dono: proprio perché è un dono, deve essere una sua libera scelta se accoglierlo o meno.

C’è da chiedersi che cosa accade se noi accogliamo o respingiamo questo dono?

Se noi l’accogliamo, accade una cosa meravigliosa: accogliere la Salvezza significa accogliere quello Spirito che Lui ci ha mandato dopo la Sua Ascensione al cielo, quel Paraclito che ci aveva promesso: io salgo al cielo, ma vi manderò il Consolatore.
Ecco, il Consolatore promesso porterà a compimento l’opera sua: la salvezza realizzata con la sua morte e resurrezione entra nella vita di ogni uomo che accoglie il suo Spirito.
Apparentemente tutto questo accade in maniera misteriosa, in realtà è tutto ben visibile e concreto se riusciamo a leggere la vita con gli occhi di Dio.
Il Consolatore agisce concretamente nella nostra vita perché è Persona viva.
Agisce in chi lo lascia agire dentro di sé, in chi non gli impedisce di ‘’muoversi’’ in lui, in chi permette a quel Fuoco Vivo di alimentare la fiamma accesa con il Battesimo; lo Spirito è come un Vento che soffia su quella fiamma e ne alimenta la vita.

Quando in un bosco c’è un principio di incendio, se l’aria è calma e l’intervento tempestivo, il focolaio è facilmente circoscrivibile e lo si spegne in breve tempo; se invece soffia il vento, le fiamme s’innalzano e l’incendio diventa indomabile.
Gli interventi diventano quasi inefficaci con i normali mezzi quotidiani, l’incendio si fa ingestibile e avvolge ogni cosa.
Risultati immagini per dio immagini sacreL’incendio, in genere, viene visto come fuoco distruttore, ma non è solo questo: il fuoco distrugge e rinnova allo stesso tempo, da ciò che è bruciato rinasce nuova vita.
Ritornando al nostro discorso: lo Spirito, accolto dall’anima desiderosa della salvezza, alimenta la fiamma messa nel cuore con il Battesimo ed innesca un incendio d’amore che ben presto diventa indomabile, in quanto il desiderio della salvezza cresce alimentato dal Vento dello Spirito.
Il soffio dello Spirito  alimenta quell’incendio che brucia (le stoppie del Male) e rinnova allo stesso tempo (seminando germogli di Bene).
Il Vento non è qualcosa di statico, ma per sua natura è dinamismo, il vento non concepisce l’immobilità, cammina e soffia dove vuole, spinge lontano, soffia sul fuoco e sospinge lungo il cammino.
In questo modo, chi porta in sé il Vento dello Spirito, non può non mettersi in cammino, non può non sentire l’incendio che infiamma il suo cuore, un incendio ormai dilagante, non più gestibile dalla Ragione, perché obbedisce alla Legge del Cuore, di conseguenza non può non agire: camminare, compiere azioni, amare, soccorrere, porgere aiuto…  l’indifferenza non gli appartiene più.
Non può restare indifferente. Mai. Di fronte a nessuno.  
Sarebbe come agire contro la propria natura.
Non può chiudere gli occhi di fronte alla necessità di un fratello, fosse anche il suo  peggior nemico.
Non può.
Non riuscirebbe a farlo.
Non può contenere quel  bisogno di agire, di afferrare quella mano che chiede aiuto, non può sottrarsi a quella spinta interiore che lo porta inevitabilmente verso l’altro.
Non è semplicemente un fatto di solidarietà, di empatia, di filantropismo, ma qualcosa di molto di più: è quel senso di fratellanza che senti forte e naturale, che ti porta a vedere nell’altro il Cristo sofferente.
È la forza della Fede, che si incarna in opere d’Amore.
Credo che sia capitato a tutti sentir dire: mi sono trovata in quella situazione e non ho potuto fare a meno di…, mi dispiaceva di… , non ce l’ho fatta ad andarmene, a non intervenire… è stata una cosa più forte di me… non sono riuscita a trattenermi… ho fatto quel che ho potuto…
Ecco, gli effetti di quella spinta interiore non possono che dar vita a questa prossimità nei confronti del fratello bisognoso, conosciuto o meno che sia; è una spinta misteriosa che ci porta ad agire, a volte anche ad osare cose che mai avremmo osato, una spinta forte, come un Vento che alimenta una fiamma fino a trasformarla in un incendio indomabile; apparentemente la spinta è verso l’altro, in senso orizzontale, in realtà la spinta è verso l’alto, in senso verticale… più vai verso tuo fratello più vai verso il compimento della salvezza, verso il Regno dei Cieli.
Sembra un gioco di parole, sembra un gioco di incroci e vicende apparentemente slegate e occasionali, in realtà è la nostra Realtà!
Quando la realtà spirituale s’incarna nella nostra realtà terrena, esse si alimentano a vicenda, prendono vita l’una dall’altra.
Lo Spirito:
ü  è Vita ed alimenta la vita, interviene concretamente nella vita;
ü  lo Spirito è Fuoco ed infiamma la vita, brucia le stoppie del peccato e rinnova il terreno inselvatichito;
ü  lo Spirito è Vento e spinge lontano, sospinge piano ma con forza, mette in cammino, porta con sé semi e spore e le dissemina anche su terreni deserti e aridi;
ü  lo Spirito è Acqua che dà vita, che permette la vita, che sostiene la vita, che fa germogliare la vita, quella vita nuova  già rivestita di salvezza.
Ricapitolando dunque: la Salvezza è un dono; il dono lo si può accogliere o rifiutare.
Chi lo accoglie, accoglie lo Spirito promesso da Cristo.
Lo Spirito guida alla Salvezza e la porta a compimento attraverso la risposta dell’uomo.
L’uomo guidato dallo Spirito si mette in cammino, in questo cammino compie opere, agisce, spinto da una Forza interiore che non può domare, non può contenere; le sue opere daranno buoni frutti; il frutto per eccellenza è il compimento della Salvezza ricevuta per dono ed accolta come desiderio dell’anima, infuocata dallo Spirito.
Le opere, dunque, altro non sono se non la risposta ad un’offerta.
Non sono le opere, dunque, a salvarci, ma quelle opere non possono non esserci; sono la diretta conseguenza, l’espressione concreta di un’accoglienza.
In virtù di quest’accoglienza si realizza la salvezza.

E coloro che non accoglieranno la salvezza?
La scelta, abbiamo detto, è personale.
Non è Cristo che esclude, Lui è morto per tutti, ma è l’uomo che, disponendo del suo libero arbitrio, sceglie di non accogliere il dono della Salvezza e di mettersi fuori dall’Amore misericordioso di Dio.
Cristo ci ha salvati una volta per tutte, l’opera della Redenzione è compiuta per tutti e per tutti i tempi, presente, passato e futuro.
A noi è data la libertà di scegliere: possiamo lasciarci trasfigurare dal Sangue dell’Agnello, rivestirci di un abito nuovo, lasciar morire l’uomo vecchio, lasciarci rinnovare dallo Spirito, lasciare che lo Spirito alimenti la fiamma posta con il Battesimo, lasciarci guidare dallo Spirito, abbandonarci al Suo Abbraccio, lasciar ardere dentro il Fuoco purificatore e rinnovatore, che brucia, arde e distrugge i rovi, le spine e ogni radice del male e lasciar poi germogliare il seme dell’Amore fraterno alimentata dall’Acqua dello Spirito… e possiamo anche non volere tutto questo, non permettere allo Spirito di entrare a far parte della nostra vita.
La scelta è nostra!
Salvezza ed opere, dunque, non solo non sono in contrasto fra di loro, ma sono inevitabilmente in stretta ed indissolubile relazione, quella cooperazione di cui parlava S. Giacomo.
La domanda posta all’inizio: ci si salva per fede e per le opere?, non merita risposta, perché è una domanda posta male; la domanda giusta si gioca sul tipo di relazione e non sulla contrapposizione: in che relazione stanno il dono della Salvezza e le opere dell’uomo?
Molte volte le diatribe, le discussioni teologiche, pneumatologiche o escatologiche attraversano i secoli, creano dissapori, scismi, settarismi … senza mai giungere a conclusioni condivise semplicemente perché si parte da domande poste male, nate da una logica che non è propria del Cristianesimo; quando la logica del mondo s’inserisce nella logica divina è normale l’inconciliabilità della soluzione, si parte da motivazioni diverse, da logiche opposte, come si potrà mai giungere a soluzioni univoche?
Trattando delle cose di Dio occorre seguire la logica di Dio, per giungere alla conclusione di Dio; ma se trattiamo delle cose di Dio seguendo la logica del mondo, non si riuscirà mai a giungere né alla conclusione di Dio né a quella del mondo: lo Spirito ha desideri contrari alla carne e la carne ha desideri contrari allo Spirito.
Se dunque si parte da due logiche diverse e contrarie: come si potrà mai giungere a soluzioni accettate da Dio e dagli uomini?

La salvezza è un dono che ci viene dall’alto ed è per l’uomo, per tutti gli uomini, e questo non cambierà mai, resta Verità Eterna, ma noi andiamo invece facilmente fuori strada, pensiamo di poterla gestire a modo nostro, e sbagliamo.

Nel trattare le cose di Dio, c’è uno stile ben preciso che il cristiano deve adottare: lo stile di  Dio.
Lo stile di Dio ce lo indica chiaramente Paolo: “Poiché in Cristo Gesù ciò che conta... è la fede che opera per mezzo della carità. (S. Paolo, Gal 5,6).
La legge che Cristo ci ha portato è la legge dell’amore (Rm 13,8) e l’amore si mostra attraverso le opere (Rm 2,6).’’

Ecco che Paolo rimette le cose a posto ed arriva alla stessa conclusione di Giacomo:  le opere sono ciò che rendono visibile la fede, quindi semplici strumenti attraverso cui opera la fede.
Tale cooperazione è sigillata dalla presenza dello Spirito, che si riceve per fede e ci sottrae alla Legge: Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete più sotto la legge. (Gal 5,18) .

Le opere, dunque, non hanno il compito di salvare,  ma quello di rendere visibile la fede.
Se le cose di Dio vengono lette secondo lo stile di Dio, ogni cosa viene rimessa nella giusta dimensione.

E lo stile di Dio ha una sola caratteristica: l’Amore gratuito, offerto ed accolto in piena Libertà!


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