DAR DA BERE
AGLI ASSETATI
O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, *
di te ha sete l'anima mia,
a te anela la mia carne, *
come terra deserta, arida, senz'acqua.
(SALMO 62,
2-9)
Come terra deserta. Arida.
Senz’acqua.
No, non sto parlando dell’estesissimo
deserto del Sahara, né della sconosciuta Siberia né del lontanissimo deserto del Kahalari, sto
parlando di qualcosa a noi molto più vicino ed intimo, di molto più esteso
anche del deserto più grande del mondo, sto parlando del DESERTO DELLA NOSTRA ANIMA.
La nostra anima ha sete.
Ha sete del Dio Vivente.
Che cosa significa questo?
Innanzitutto ci dice che la nostra
sete non è solo quella fisiologica, facilmente saziabile, almeno in una parte
del mondo; ma c’è un’altra sete, più profonda, più estesa, più insaziabile
perché più sconosciuta, più difficile da ‘’ascoltare’’, da percepire, quindi più
difficile da dissetare… più difficile perché la nostra attenzione è rivolta
unicamente alle richieste del corpo, a quel corpo che chiede soddisfazione
immediata, altrimenti fa sentire i suoi morsi e la sua ribellione in maniera così
dolorosa, da obbligarci a dare attenzione e risposta al più presto.
Siamo un deserto arido.
È normale che il deserto sia arido,
ma non è normale che la nostra anima sia un deserto arido.
Noi siamo fatti per la fertilità,
per la vita, per la riproduttività, per la nascita e la crescita, noi siamo
campi fertili, distese di vegetazione e vita, noi siamo un campo di grano
pronto per il raccolto, siamo abbondanza, ricchezza di raccolto, siamo fatti
per il raccolto… invece… invece la nostra terra non fiorisce più, non produce
più frutti, siamo terra arida, deserta, senz’acqua… e senz’acqua non c’è vita.
C’è dunque qualcosa dentro la nostra
natura che non va, qualcosa che rinnega se stessa, che trasforma se stessa e ci
fa essere diversi da ciò che siamo: non siamo terra deserta, ma terra fertile!
Per essere terra fertile, però,
occorre irrigarsi spesso o lasciarsi irrigare da mani sapienti e generose.
Purtroppo, la secchezza della
nostra ‘’terra’’ ci ha resi duri da talmente tanto tempo che abbiamo
dimenticato il passaggio dolce e ristoratore dell’acqua che scorre e accarezza
la terra ridandole vita e capacità di generare vita.
Siamo deserti. Siamo rimasti
deserti troppo a lungo.
Siamo vastissimi deserti che si
accontentano di essere tali.
Che credono di essere tali.
Che si sono rassegnati ad essere
tali ed hanno dimenticato i tempi della fertilità.
Siamo deserti rassegnati.
Rassegnati ad essere deserti.
Ma se questa è la nostra scelta,
questa non è la nostra vera realtà.
Andiamo contro noi stessi.
Facciamo violenza a noi stessi.
Occorrerebbe sentire quella
‘’sete’’, sentire la sua morsa, sentire i suoi crampi, lasciarsi lacerare dalla
sete insaziabile, lasciarsi strappare le vesti dal bisogno di acqua, lasciarsi
penetrare ancora da un raggio di luce che viene a svegliare la vita dentro di
noi.
Quanta sete nel mio cuore… solo in Dio si sazierà!
È un grido lacerante… quanta sete nel mio cuore… è un grido
lacerante che mi dice qual è il mio vero problema: sono assetata; e mi dice anche qual è la soluzione: ho bisogno di Dio.
Sì, quanta sete nelle profondità
abissali del nostro cuore, anche le vie più sotterranee sono rimaste asciutte,
neanche più una goccia; la sopravvivenza stessa è a rischio.
Una sete che si sazierà soltanto in
Dio.
Una sete, però, che noi non
sentiamo più… per questo è destinata a
restare SETE, un’arsura infinita e straziante il cui dolore non percepiamo più.
Quel bisogno di acqua pura che altro non è se non quell’angoscia che a volte ti prende e tu non
sai darle un nome o un volto, non riesci a capirne la provenienza, la causa; è
un’angoscia che ti strazia e ti sbatte come il vento fa con i panni stesi al
sole o con la tenera erba appena germogliata e ti stravolge, ti annienta, ti
annulla e tu non sai perché.
O meglio… non vuoi sapere il perché,
non vuoi chiedertelo, dovresti fare i conti con una terribile realtà che non ti
va o non hai il coraggio di affrontare: la realtà della tua vita interiore che
non è quella che credi che sia, ma tutt’altra cosa da ciò che credi che sia… è
deserto arido, senz’acqua, non campo rigoglioso percorso da fiumi di acqua
viva.
Come siamo diversi nella nostra
duplice realtà: fuori belli, sazi e vivi, dentro sporchi, assetati e morti!
Siamo come la doppia identità del dottor
Jekyll e mister Hyde, sì siamo uno strano caso di terribile ambiguità, di
sdoppiamento di personalità: dal dentro al fuori e dal fuori al dentro.
Diversi. Persone diverse.
Eccessivamente curati fuori,
sporchi e trasandati dentro; eccessivamente saziati fuori, terribilmente
affamati ed assetati dentro.
No, non servono né l’ecografia né
la Tac e nemmeno una risonanza magnetica per tracciare il quadro della nostra
situazione interiore, non riuscirebbero ad oltrepassare l’invisibile, a
cogliere l’Assoluto di cui siamo immagine.
La nostra interiorità ha una sua
personalità, un suo bisogno di mangiare e bere, di saziarsi e ristorarsi… ma
noi siamo troppo presi dal saziare e ristorare il nostro corpo, perché ‘’il ventre è – ormai- il nostro dio’’, siamo fatti o peggio ci
siamo ridotti solo a ‘’carne’’, e diamo ascolto solo ai morsi, ai bisogni, alle
richieste della carne, tutto il resto… è a noi sconosciuto, è da noi rifiutato
direi, un rifiuto volontario, perché lo spazio interiore è scomodo e pesante,
ingombrante, ci è d’ostacolo, rallenta il nostro passo, ci induce a fermarci, rallenta la
soddisfazione dei bisogni materiali, toglie spazio alle nostre urgenze
esclusivamente fisiche.
Poveri noi!
Non siamo che erba secca, fieno,
paglia bruciata dal sole ed invece siamo convinti di essere baobab rigogliosi
carichi di frutti!
Poveri noi, perché annulliamo la
parte migliore di noi e diamo spazio illimitato a quella parte destinata a
perire, a ridursi in polvere, inanimata e inutile polvere.
Ci dice la Madonna nel messaggio
del 25 febbraio scorso: ‘’Avete
dimenticato lo scopo della vostra vita, il senso della vostra esistenza, vi
siete persi in voi stessi, amate poco e pregate di meno’’.
Non poteva esserci fotografia più
perfetta di questa: non preghiamo, non sappiamo amare e viviamo sazi di noi
stessi, siamo noi al centro del nostro mondo. Siamo noi il centro di ogni cosa.
Il fine ultimo di ogni cosa.
E non potrebbe esserci inganno più
tragico di questo.
Abbiamo usurpato il centro
all’Unico Vero Centro che ne ha vero e pieno diritto: a Cristo, vero e unico
Centro di ogni cosa, in Lui tutto è ricapitolato, tutto confluisce in Lui, è
quel Mare a cui giungono tutte le acque del mondo e solo in Lui trovano riposo
.
Prendersi cura del proprio corpo
non è un male in se stesso, anzi è un dovere verso se stessi, ciò che è male è
l’esagerazione, dalla semplice e necessaria cura si è passati al ‘’ culto del corpo’’ , al punto da farlo
diventare ‘’nuovo idolo, nuovo dio’’, centro primo ed unico della nostra
attenzione.
Il ventre diventa il nostro dio, unico centro di interesse e di
attenzione, al punto da dominarci,
ammaliarci, schiavizzarci, asservirci
totalmente.
Non è il mangiare in se stesso, ma quell’esagerazione immonda, quel compiacimento estremo, è quel saziarsi di mondanità che ci distrugge, che distrugge tanto la nostra stessa esteriorità, alterata nella sua bellezza originaria, quanto la nostra interiorità completamente annullata e cancellata dal nostro orizzonte di vita.
Il danno peggiore della mondanità è
quello di averci privati della nostra tridimensionalità, del nostro spessore ed
averci ridotti a ‘’figure piane’’, piatte, cioè a due dimensioni: altezza e
larghezza, escludendo la profondità, quella profondità che ci dà la prospettiva
tridimensionale, quel valore aggiunto che ci fa diversi dalle cose e dagli
animali.
Il problema vero è che noi non
vogliamo essere diversi da loro, noi vogliamo essere proprio come loro, perché solo
così potremo vivere in assoluta libertà tutta la nostra carica istintuale e
soddisfare ogni più piccolo bisogno carnale, legittimo o meno che sia e
sentirci sazi solo di questo.
Una sazietà transitoria,
ovviamente!
Il nostro bisogno di saziare, di
assecondare gli istinti più bassi che dentro si muovono toglie qualsiasi
attenzione ai bisogni dello spirito, negando a se stessi la presenza di
qualcosa di più grande e di più nobile che vive dentro di noi e che chiede la
stessa attenzione data alla nostra corporeità.
Di te ha sete l’anima mia ed è una sete quotidiana, che si sveglia sin dal mattino: all’aurora ti cerco, a te anelo, come la cerva ai corsi d’acqua, come la sabbia arsa sotto il sole, di Te ha bisogno l’anima mia… che
soccombe perché non so più trovarti, non so più riconoscerti, non so più come
saziare la sete che mi devasta.
Noi ci siamo inariditi e la cosa peggiore
è che rifiutiamo che qualcuno riprenda ad irrigarci, sarebbe un dover
ricominciare da capo, un abbattere per ricostruire… no, troppa fatica, chi ce
la fa fare, stiamo bene così, con le nostre libertà conquistate, sì… come la
libertà di lasciarci morire…
È la decisione di qualche giorno fa di una donna
malata di sclerosi multipla, intervistata dal TG2: ho già scelto il giorno in cui morire, è mio diritto farlo, non voglio
soffrire!
Una scelta personale che diventa
quasi diritto legale, è la conferma del nostro metterci al posto di Dio: solo io ho diritto di vita e di morte su me
stessa.
Ecco, Dio non serve più, non ha
nessun potere su di me, sono io padrona di me stessa, il corpo è mio e decido
io se farlo vivere o morire.
Sconcertante!
Ciò che emerge non è tanto la sfida
rivolta a Dio, quanto la nostra paura di soffrire, la nostra fragilità e la nostra
consapevolezza di non poter fermare in nessun modo un processo degenerativo che
porta alla corruzione del corpo, quella corruzione fisica che tanto spaventa, come
se non fosse questa la realtà di ciascuno di noi, come se questo corpo fosse
destinato all’eternità; questo accade quando la morte interiore anticipa la ‘’ sorella nostra morte corporale’’ per
dirla con san Francesco; quando ‘’la sorella acqua’’ non ha più falde acquifere
a cui attingere dentro di noi, quando tutto è ormai definitivamente inaridito
dentro di noi.
In questa totale aridità, l’inesorabilità
della malattia si fa tempesta di sabbia che oscura il Cielo e riduce tutto a
tenebre, tutto a disperazione e la disperazione senza la luce della Speranza
Vera induce a scegliere la morte come unica speranza, l’inganno è così
realizzato: basta una tempesta di sabbia e tutto crolla, perché i castelli costruiti
intorno a noi sono stati fondati sulla sabbia e non sulla Roccia.
Sempre qualche giorno fa, sentivo
l’esperienza, invece, di un giovane ragazzo, Nino Baglieri, di Modica (SI) che
a 17 anni, il 6 maggio 1968, precipita
giù da un’impalcatura alta 17 metri. Ricoverato d’urgenza, Nino s’accorge con
amarezza di essere rimasto completamente paralizzato. C’è chi tra gli
specialisti e i dottori arriva a proporre l’eutanasia, ma la madre coraggiosamente
si oppone, confidando in Dio e
dichiarandosi disponibile ad accudirlo personalmente per tutta la vita.
I primi anni sono stati davvero
tremendi, rifiutava quella situazione, avrebbe preferito morire piuttosto che
vivere in quelle condizioni, poi, grazie alle preghiere della mamma, fervida e
tenace credente, un po’ alla volta qualcosa è cominciato a cambiare dentro di lui,
ha imparato a scrivere tenendo la penna in bocca ed ha scritto testi di una
spiritualità eccezionale, la sua conversione interiore gli aveva ridato la vita,
lo aveva portato a vita nuova, pur restando assolutamente immobile nel suo
letto.
Per 40 anni ha vissuto come un
‘’tronco morto’’ fisicamente, ma come tenero germoglio capace di fruttificare
interiormente; per lui è stata avviato il processo di beatificazione, perché ha
fatto della sua sofferenza fisica un’opportunità per una rinnovata e riscoperta
vita interiore, molto viva e attiva,
eccezionalmente e meravigliosamente vivace; un cammino di spiritualità frutto
di un dono di Grazia non concessa per pietà per la sua condizione fisica, ma
come risposta alle preghiere costanti della madre: bussate e vi sarà aperto,
chiedete e vi sarà dato.
La sua è stata una guarigione
spirituale di eccezionale bellezza e fervore; le sue ferite sono state risanate
con l’Acqua dello Spirito che ha ridato vita ad un corpo morto.
Pur nella sua immobilità, Nino ha
saputo essere testimone del Vangelo della gioia e della speranza. Acqua di
sofferenza che si è fatta Acqua di conversione per tanti.
Assolutamente immobilizzato nel
corpo, incredibilmente vivo nello spirito.
È possibile, sì, è possibile quando
si accetta di bere quel ‘’Calice della salvezza’’ che ci viene offerto gratuitamente per amore;
è possibile quando si fa dell’Amore la prima regola di vita e ci si affida ad
essa.
Ecco, una madre assetata di
giustizia, è stata ascoltata dal Giudice Supremo e le è stata fatta giustizia,
ha avuto più di quello che ha chiesto: ha chiesto la vita per suo figlio e le è
stata data l’eternità.
La generosità del Signore non ha
paragoni.
Ha chiesto un sorso d’acqua, le è
stato dato un ‘’fiume di acqua viva’’.
Ecco, noi ci muoviamo tra due
estremi: estrema sazietà corporea ed estrema aridità spirituale; estrema
infermità corporea ed estrema libertà spirituale.
La nostra fede si muove tra due
estremi: da una parte viviamo della promessa dell’acqua che disseta in eterno,
dall’altra assecondiamo i bisogni del corpo come se non ci fosse altro in noi,
come se fosse la carne la nostra unica realtà.
Speriamo in una promessa, ma in
realtà non facciamo niente perché questa promessa possa realizzarsi in noi.
Eppure ci è stato dato tutto ciò
che serve perché questo possa davvero realizzarsi; siamo stati immersi
nell’acqua del battesimo, acqua purificatrice che ci rinnova prima e ci
ritempra dopo.
Rinnovati dall’acqua della
misericordia, siamo stati purificati dal Sangue della Passione; nel Suo Sangue,
le acque amare del peccato sono state trasformate in acque vive della
resurrezione
È necessario rinnovare il nostro Battesimo
nella ‘’morte di Cristo’’, è solo lì che la nostra arsura epocale può trovare
ristoro.
Perché se noi ‘’abbiamo sete del Dio Vivente’’, noi ‘’siamo - anche - la sete del
Dio Vivente’’
‘’Ho sete!’’
È stata una delle ultime parole dell’Uomo-Dio
su questa terra: ‘’Ho sete! Sete di
anime, sete del vostro amore, sete di voi, voi siete la mia sete inestinguibile.’’
Il Cristo, il Figlio del Dio Vivente
ci hai lasciato in eredità la sua sete, se ne è andato assetato, interiormente lacerato dall’implacabile ‘’sete di noi’’.
Non siamo stati ‘’ ACQUA’’ per Lui,
ma ‘’ACETO’’, aceto amaro che brucia ancora di più le sue ferite interiori ed
esteriori.
Non gli siamo andati incontro con
la brocca dell’acqua fresca attinta dal pozzo di Sichem, ma con una spugna imbevuta di aceto, attinta al
pozzo amaro del nostro peccato, della
nostra superbia.
‘’Ho sete!’’
È consuetudine non negare l’ultima
sigaretta al condannato, noi invece gli abbiamo negato anche l’ultimo
desiderio: l’acqua del nostro amore.
Lui ci hai lavati nel suo sangue,
ci ha dissetati all’acqua sgorgata dalle sue piaghe, ci hai saziati con il vino
di Cana, ci ha ristorati con l’acqua della roccia, la nostra sete non gli è mai
stata estranea, non è rimasto mai indifferente neanche alle nostre necessità
fisiche.
Noi, invece, abbiamo deriso la sua
sete: una spugna di aceto gli abbiamo offerto. Fiele e aceto in cambio dell’Acqua
ristoratrice!
Perdonaci
Signore,
non abbiamo
saputo dissertati un tempo,
quando ‘’non sapevamo chi era Colui che crocifiggevamo’’;
ma non sappiamo farlo neanche oggi,
che
sappiamo molto bene chi abbiamo crocifisso
e chi
continuiamo a crocifiggere
con le
nostre arroganze e presunzioni.
Ti sei addossato anche la nostra sete, Signore
e il carico si è fatto
ancor più insopportabile!
Perdonaci, Signore,
perché siamo
rimasti indifferenti anche
all’ultima
richiesta del Condannato,
l’aridità
del nostro cuore
non ha
saputo esaudire neanche il suo ultimo desiderio.
La nostra
crudeltà supera
quella di
coloro che urlarono a Pilato:
‘’Crocifiggilo,
crocifiggilo!’’
Sì,
continuiamo a crocifiggerti
e a farti
morire assetato oggi più che mai,
perché dentro
di noi non scorre più ‘’Acqua’’,
siamo ormai
a secco da tempo.
Ma se noi
non possiamo darti quell’Acqua che ci chiedi
e se non
sappiamo essere ‘’Acqua per te’’,
allora
dacci Tu da bere, Signore;
dacci Tu la
tua acqua che disseta,
liberaci da
quest’arsura che ci distrugge,
che ci
allontana da te, Fonte d’acqua pura.
Dacci da
bere Signore
e non
stancarti mai di dissetarci,
di saziare
l’ arsura del nostro cuore;
‘’facci
Acqua’’ , fiumi di acqua
così che
anche noi possano straripare di ‘’Acqua Viva’’
e possiamo
dissetare il mondo che ha fame e sete di TE.
Dissetaci,
Signore,
e facci acqua per dissetare le strade
deserte del mondo,
per far
fronte a quella desertificazione che ci devasta
e ci rende
sterili;
aiutaci a
metterci al servizio della Vita e non della Morte,
facci ‘’Acqua
Viva’’ come Te,
che sei Fonte
inestinguibile di Vita Eterna!
Facci ‘’Acqua
Viva’’ per Te,
nostra
Patria e nostra Felicità.
O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora Tu ci cerchi,
di noi ha sete l'anima tua,
di questa terra deserta, arida, senz'acqua
Siano le
nostre lacrime di pentimento, Signore,
l’acqua che ti disseta,
l’acqua che
rinnova il mondo,
l’ acqua
che ci porta a Te,
Mare di Misericordia
Infinita,
e in Te trovi, finalmente,
pace, ristoro
e quiete!
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