sabato 19 settembre 2015



‘’L’ORA SANTA’’ DEL CATECHISMO

Alla fine di ogni anno catechistico, presi dallo scoraggiamento, spesso succede che buona parte dei catechisti dicano tra sé: ‘’Questa è l’ultima volta che faccio il catechismo, non è possibile andare avanti così. Basta, ci rinuncio!’’.
Questa rinuncia interiore, (che per fortuna poche volte si concretizza nella realtà) nasce dal fatto che l’ora del catechismo, molto spesso, si trasforma in un’ora di combattimento corpo a corpo, al punto che non si vede l’ora che finisca, si cerca di andare avanti guardando l’orologio e dicendo a se stessi: resisti, mancano solo 45 minuti… mancano solo trenta minuti… dai adesso sono solo 15 minuti… ecco è quasi fatta…  anche per questa volta è andata!
Ecco, c’è un affanno e un’ansia che sicuramente non fanno bene né ai bambini né al catechista.
Ai bambini, perché se il clima è sereno il messaggio arriva nel  modo giusto e con buon profitto, in caso contrario ogni cosa è frammentario, con scarsa consapevolezza , tutt’al più resta a livello di conoscenza, ma non scende giù nel cuore e se questo non accade… vuol dire che qualcosa non è andata bene; Gesù non è un personaggio storico da analizzare, la sua vita non consiste in un insieme di imprese da memorizzare, ma è una Persona - viva - da incontrare, da conoscere per contatto diretto, intimo, personale, confidenziale.
Questo rapporto stretto e personale con Gesù lo si costruisce giorno per giorno e passa per i vari momenti di partecipazione alla vita della Chiesa, non meno per il catechismo che aiuta a salire quei gradini (mediante la preparazione ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana), che portano all’incontro con Gesù.
È un rapporto di amicizia, un rapporto filiale, un rapporto che richiede la reciproca disponibilità e conoscenza: non si può amare chi non si conosce.
Questa conoscenza, che passa per il cuore prima ancora che per la mente, richiede tempi e modi adeguati, se il clima non è quello giusto… la piantina rischia o di non nascere proprio o di seccare subito dopo essere nata  o, se dovesse nascere,  e non è ben supportata dalla fede avrà vita dura in un terreno non fertile e non sufficientemente irrigato.
In un clima di confusione e di continua distrazione… la Parola di Gesù fatica a farsi sentire e a farsi accogliere per come è giusto che sia.

Quanto ai catechisti, naturalmente anche loro vivono  male la loro  esperienza di testimoni e di evangelizzatori, due compiti che non sono certo una passeggiata, non è come bere un sorso di acqua fresca; sono compiti che impegnano sul piano personale, su quello sociale nonché su quello prettamente spirituale.
I catechisti sono testimoni prima ancora che evangelizzatori¸ ma si può anche dire che lo sono contemporaneamente, in quanto testimoniano il Vangelo con la loro vita, con il loro mettersi a disposizione di una Persona che li chiama personalmente e singolarmente, che li sceglie per un servizio tanto delicato quanto complicato.
Un servizio fondamentale perché è l’inizio del cammino cristiano, i primi passi verso l’abbraccio eterno di Dio; un cammino che non sempre è facile avviare, né facile da accompagnare, né tanto meno facile da condurre a termine.
A quanto pare… niente è facile nella Vigna del Signore!
Nessuno ha vita facile nella Vigna del Signore.
Certo, non sarà facile, ma ciò non toglie che si può essere felici!
Essere testimoni, dicevo, significa mostrare con la vita, anche in assenza di parole, la veridicità e l’importanza di ciò che si va a dire.
Significa prima di tutto parlare con i fatti, poi anche con le parole per trasmettere quell’esperienza fondamentale che ha cambiato la propria vita; solo in virtù di questa consapevolezza e di questa esperienza straordinaria, si diventa catechisti, cioè coloro che, riconosciuta l’importanza di quanto è successo nella propria vita, non possono trattenersi dal farlo conoscere  agli altri e raccontargliela come un sogno realizzato che resta tutt’ora un sogno troppo bello per essere vero… eppure lo è!
È vero… davvero!
Essere evangelizzatori significa istruire altri: sulla pedagogia di Dio, sulla sua Presenza viva e reale fra noi, sul suo Amore  misericordioso e infinito per noi… significa scoprire  e far comprendere il senso profondo della vita e della morte, del dolore anche; significa dare loro l’opportunità di crescere nella vita sociale, nei rapporti interpersonali, nella vita spirituale;
significa offrire strumenti per la salvezza, per proteggersi dal maligno, ma anche per proteggersi dalle insidie del mondo, dalle truffe, dagli inganni spirituali che ci fanno deviare dalla retta vita, che ci illudono sul senso della vita, che ci mettono, purtroppo troppo spesso e troppo facilmente, contro Dio.
 Se la nostra fede non è salda  sulla Roccia, se il nostro cammino non è solido, se restano delle incertezze, delle falle, dei vuoti non colmati, dei dubbi, dei chiarimenti non avuti, se ciò che si è ricevuto non è supportato da una testimonianza autentica di vita cristiana, se fra il dire e il fare non c’è corrispondenza, se il nostro credere è fatto solo di parole e non di esperienze che danno senso e concretezza a quelle parole… allora qualcosa non va e si rischia di mettere in pericolo anche coloro che si vanno a formare e ad evangelizzare.
In pericolo come cristiani. E in pericolo come creature.
In pericolo perché se le nostre parole non si incarnano nella realtà, cadranno nel vuoto, non costruiranno niente di buono né di solido con il rischio che chiunque può proporci presunte verità e spacciarle per vere e distorcere, in questo modo, la Verità Assoluta, portarci lontano  da quella Verità che per il cristiano ha un Nome preciso: Gesù!
Volendo sintetizzare chi è Gesù si potrebbe dire che: è una Mano tesa verso le tante mani che chiedono aiuto.
La nostra fede è fatta dunque dell’incontro di due Mani:  una Mano desiderosa di salvare e un’ altra mano desiderosa di salvarsi.
Ecco, il ruolo del catechista sta proprio in questo: favorire l’incontro di queste due mani, allineare le loro traiettorie, metterle sulle stesse coordinate, accorciare le distanze fra le due mani, fra la nostra  e quella del Signore… un compito arduo che non sempre viene raggiunto, perché è difficile afferrare  mani che non vogliono afferrare la tua, che non sono disponibili o interessati a farlo, mani che sono piene di altre cose, di altri pensieri, di altre proposte.
Ecco la causa dello scoraggiamento: si tende la mano… ma nessuno desidera afferrarla!
Ed allora  si finisce con il pensare che non serve a niente tendere la mano, perché tanto  - si pensa - se  a nessuno interessa afferrarla  è una perdita di tempo, un impegno che non vale la pena portare avanti, sacrificando magari altre cose, come la famiglia, i rapporti interpersonali, i propri interessi…
È questa la difficoltà vera, ciò che più scoraggia i catechisti (almeno la maggior parte di essi, infatti è un coro comune quello che si alza dalle pagine di riviste cattoliche e siti religiosi): la consapevolezza dell’enorme responsabilità che ci si porta dentro e l’impossibilità, quasi, di vivere serenamente e nel modo giusto quell’ora ‘’santa’’.
L’ora di catechismo non è infatti un’ora qualunque, è ‘’un’ora santa’’, un’ora in cui ci si dispone ad incontrare Dio, la Sua Parola, la Sua Verità, i suoi insegnamenti, è un incontro ravvicinato di terzo grado, è un momento di comunione con Dio, di vicinanza con Lui e di condivisione della propria vita con Lui; quasi un mettersi cuore a cuore e sentire l’uno il palpito dell’atro; che si stia in chiesa o in un’aula non importa, il Signore è dovunque, ci vede e ci ascolta dovunque noi siamo, per cui anche in mezzo ad un campo, nell’ora di catechismo, Dio è con noi!
Quell’ora è un’ora santa, perché ci prepara alla santità.
E se si tende alla santità vuol dire che c’è una Grazia operante.
E la Grazia va accolta, interiorizzata, trasformata in vita da vivere, in un rapporto tanto intimo quanto personale e complesso.
Questo rapporto così speciale fa dell’ora di catechismo un’ora speciale, un’ora santa appunto, perché ci dà i mezzi, l’opportunità di essere santi, ci avvia, ci guida, ci istruisce sulle vie della santità.
È un’opportunità imperdibile e incredibile!
Purtroppo, come dicevo all’inizio, più che un’ora santa, l’ora del catechismo può essere definita  ‘‘un’ora devastata’’, mortificata, caotica, inconcludente, direi spesso… fallimentare!
Lo scoraggiamento che spesso prende i catechisti nasce propria da questa discordanza tra la percezione e la consapevolezza di ciò che è veramente l’ora del catechismo e ciò che in realtà diventa: la distanza è tanta, troppa!
Questo  scoraggia, delude, fa fuggire,  mette in crisi.
Fortemente in crisi.
E non è questione di metodi, non è questione di sussidi o di proposte di cammino… no, non è questo il punto!
Il punto sta a monte non a valle, la causa vera è un’altra e sta da un’altra parte: è la svalorizzazione del Nome di Dio da parte di una società scristianizzata.
Lo svuotamento, da parte della società, del Nome di Dio.
La nostra è una fede fatta di un’amicizia tanto intima quanto personale, più intima a noi della nostra stessa intimità… noi,  invece, siamo stati capaci di  trasformarla in qualcosa di irreale, di inutile, in qualcosa dal valore  inflazionato; quel rapporto da Persona a persona, da Padre a figlio, da Creatore a creatura… di cui è impregnato il Cristianesimo è stato ridotto ad un rapporto unilaterale, dove l’uomo si erge al di sopra di tutto e crede di non aver più bisogno di niente e di nessuno.
Bastano pochi minuti di conversazione con chiunque, giovane o meno giovane che sia, uomo o donna che sia che, immediatamente, parte la bestemmia, l’offesa, la maledizione o quell’intercalare continuo dei nomi di Dio, dei santi o della Madonna che rende quella conversazione quasi blasfema.
I bambini ascoltano, osservano, imparano… ed imparano che il Nome di Dio  vale molto meno del nome di un calciatore che – guai  a offenderlo -  o a nominarlo in maniera irriverente, nel parlare di lui il sorriso si allarga e la mente esulta per l’impresa eccezionale di saper calciare un pallone dentro una rete.
Il Nome di Dio lo si usa, invece, quando ci si arrabbia, quando non ci piace come vanno le cose, quando siamo delusi, ma non per invocarlo e chiedergli aiuto e soccorso, semplicemente per scaricare su di Lui la nostra rabbia, per gridargli il nostro disappunto, per prendercela con Lui per il latte versato.
Per il semplice latte versato!
Molto spesso, la bestemmia non ha nemmeno una causa precisa… parte e basta… senza motivo, anche in assenza di rabbia, di motivi concreti, di situazioni di vero disagio… si bestemmia per abitudine, si bestemmia in maniera meccanica, automatica… tant’è la durezza del cuore da non sapersi più nemmeno ascoltare e da non riuscire più nemmeno a decidere quel che si dice…si apre la bocca e il Nome di Dio è il capro espiatorio di ogni cosa… fosse anche di una banalissima battuta!
È terribile!
I nostri bambini vivono queste situazioni familiari e sociali, assorbono questo linguaggio, lo fanno proprio, lo interiorizzano e se ne convincono.
Ovviamente, quello della bestemmia è solo uno dei tanti comportamenti perversi del nostro essere cristiani…  bisognerebbe parlare di quello che si crede e si pensa dell’andare a messa, del partecipare all’adorazione quotidiana, del rispettare il digiuno anche solo nei giorni comandati, del fare un ‘’fioretto’’ da offrire per una richiesta di aiuto; non parliamo delle tante prese in giro nei confronti dei ragazzi  o delle ragazze che decidono di frequentare la vita della chiesa più da vicino o di far parte di un gruppo o di un’associazione… l’ elenco è tanto lungo quanto doloroso!
Difficile diventa, a questo punto, scardinare il Nome di Dio da questo stato di cose e ridargli il giusto valore, il giusto spazio, il giusto ruolo!
Difficile perché ciò che viene fatto o almeno che si cerca di fare al catechismo viene annullato dal ritorno a casa, e se non è nella propria casa… lo è sicuramente nell’ambiente sociale in cui si è immersi.
Molti bambini conoscono il Nome di Dio solo per averlo sentito nelle bestemmie!
E non c’è bisogno di commentare altro…
Parlare poi loro di Chiesa, di Sacramenti, di preghiera… è come parlare una lingua sconosciuta ma soprattutto una lingua che non appartiene alla loro realtà quotidiana: magari il discorso di un extraterrestre lo capirebbero, mentre quello dei segni e dei simboli della Chiesa è letteralmente incomprensibile per loro.
Sto esagerando?
Vi faccio qualche esempio…
Molti bambini credono che l’Ostia che si riceve nel fare la Comunione sia una ‘’patatina’’.
Altri pensano che Gesù sia un Uomo ricco perché alla nascita ha ricevuto oro, argento e mirra…  anzi… birra e non mirra, per cui è anche un ubriacone!
Qualcuno è arrivato anche a dire … di aver paura del prete perché è un VAMPIRO!
Alla domanda di chiarimento di questa convinzione, il bambino risponde: perché beve il Sangue di Cristo! Io non voglio farlo mai, perché non voglio diventare un vampiro come lui!
E non sono certo convinzioni di bambini di tre anni, ma di bambini che hanno già fatto esperienza di catechismo.
Non c’è bisogno di aggiungere altro… voglio invece riportare un’esperienza che mi ha fatto riflettere molto…  sul nostro essere cristiani.
Qualche tempo fa, mi è capitato si seguire una trasmissione su TV2000, dove fanno spesso programmi di natura religiosa, si trattava di un documentario che metteva a confronto una lezione di catechismo cristiano con  una di insegnamento coranico.
Le scene si alternavano per poter meglio cogliere somiglianze e differenze; una cosa in particolare mi ha colpito: nell’ora di catechismo cristiano i bambini saltavano di qua e di là, la catechista si rivolgeva ora a questo ora a quel bambino, sperando di trovarne qualcuno attento ed interessato a quanto diceva; erano quasi tutti indaffarati nell’esplorazione dell’aula o nel discutere dei fatti propri; qualche parola di tanto in tanto riuscivano a coglierla, rispondevano anche tra un saltare e l’altro, tra un correre e acchiapparsi e una banale litigata. Intanto la catechista cercava di semplificare il più possibile l’argomento proposto, con un linguaggio semplice e in modo narrativo, come il raccontare una storiella, una favola quasi per renderla accessibile e comprensibile a tutti.
Verrebbe da dire: certo, sono bambini, che cosa gli si può chiedere? Occorre prendere quello che è possibile, senza aspettarsi niente, lasciandoli liberi di maturare piano piano!
Sono le nostre giustificazioni occidentali!!! Ma… lasciamo stare…
Nella controparte, le cose, invece, andavano molto diversamente: i bambini avevano la stessa età di quelli della scuola cristiana, più o meno 6 -7 anni; nell’entrare salutavano il loro catechista e poi,  con molta delicatezza e riverenza,  si sedevano per terra incrociando le gambe e, nel più completo silenzio, con gli sguardi rivolti all’educatore ascoltavano con attenzione quanto  diceva loro.
E che cosa diceva?
 Diceva che nella loro religione non si poteva pronunciare il nome di Dio senza rispetto e senza anteporre a quel nome una serie di aggettivi che ne definivano il valore e la grandezza; al nome di Allah, dovevano anteporre: l’altissimo, il divinissimo, il santissimo… Allah.
Guai a pronunciare quel nome senza quelle serie di attributi, perché diventava un’offesa al loro dio e una mancanza di rispetto per la sua  sovrannaturalità, per il suo essere al di sopra di tutto e di tutti.
I bambini restavano quasi incantati da tanta sublimità, i loro occhi erano stupiti e i loro sguardi sbalorditi per l’immensità di quel dio che veniva loro presentato.
Ora, è vero che parliamo di due culture molto diverse, di due ‘’divinità’’ molto diverse: Allah è un dio altissimo ma lontanissimo, al di sopra del mondo, intangibile, quasi innominabile, irraggiungibile, lontano dalla vita terrena e dalle sue preoccupazioni, un dio che siede in alto nei cieli, che guarda il mondo dall’alto al basso, con distanza, con distacco.
Un dio che ha detto a suo tempo tutto ciò che aveva da dire, che resta in silenzio oggi ed  assiste alle vicende umane restando immobile ed imperturbabile dall’alto dei cieli.
Il nostro Dio, invece, ha annullato ogni distanza con la sua incarnazione, ha reso intimo ogni rapporto con il suo morire sulla Croce per salvare noi, ha reso grande ogni credente con il suo risorgere dalla morte ed ascendere ai Cieli per preparare il posto ad ognuno di noi.
Il nostro, dicevo  all’inizio, è un Dio che si fa vicino, che si è fatto Uomo per restare con noi per sempre, con noi oggi qui, su questa terra, presente ed operante in mezzo a noi. Non ci scruta dall’alto dei Cieli, ma si fa nostro compagno di viaggio e cammina accanto a noi, davanti a noi, combatte per noi, ci illumina il cammino, ci spiana la via, abbatte le montagne che ci impediscono il cammino, costruisce ponti, appiana colline, apre strade in mezzo al deserto e in mezzo al mare.
Il Nostro è  il Dio-con-noi, l’Emanuele, il Dio fattosi Uomo e venuto ad abitare in mezzo a noi.
Questa differenza è sostanziale, ma è anche sostanziale l’approccio e il comportamento dei due gruppi di bambini: Allah sarà anche un dio lontano, ma è un dio che non si può nominare invano, in maniera irriverente e con leggerezza, né è possibile utilizzare il suo nome per le imprecazioni. Non sia mai!
È un dio che viene onorato e reso potente dalla puntualità, precisione e profondità della preghiera, dal modo sacrosanto con cui viene pronunciato il suo nome, dall’attenzione totale con cui si ascoltano le sue parole. È stato impressionante vedere con quanta delicatezza, quanto silenzio, quanta attenzione, quanto interesse c’ erano in quegli sguardi di bimbi, a cui nessuno diceva di stare fermi e zitti, ma che semplicemente e liberamente si sono messi intorno al loro maestro ed hanno ascoltato, ascoltato attentamente.
Un sogno per noi catechisti cristiani, che abbiamo la fortuna di avere un Dio vicino e la sfortuna di avere i fedeli lontani.
Più Dio si avvicina, più noi credenti ce ne allontaniamo.
Più il nostro Dio cerca di venirci incontro e di entrare in un rapporto di confidenzialità con noi, più noi lo banalizziamo, lo riduciamo in polvere, lo svuotiamo di ogni cosa; è la qualità del nostro rapporto che fa acqua da tutte le parti  e fa la differenza fra noi e i musulmani.
Per noi cristiani, la santità di Dio vale meno dell’acqua fresca … non così, non così per i musulmani, non così per loro, per loro che pregano cinque volte al giorno, che si svegliano alle due di ogni notte per un’intera ora di preghiera e poi tornano a dormire… se ci riescono; noi facciamo  una notte bianca una volta all’anno… e ci pesa da morire e già ci sembra un’esagerazione esasperante da parte del parroco di turno!
Due esperienze, dunque, con lo stesso obiettivo:  nell’aula del catechismo cristiano si ride, si canta e si salta, si chiede mille volte di andare al bagno, si consulta  l’orologio ogni secondo per sapere quanto manca all’uscita, non si vede l’ora di uscire per andare al corso di… calcio, musica, ballo, piscina…; nell’altra, invece,  si resta immersi in un clima quasi di contemplazione che sembra essere pieno di quella consapevolezza profonda della grandezza delle  cose di Dio.
Si  arriva quasi a provare invidia per un simile modo di fare catechismo!
L’invidia per quel modo bello, tranquillo, santo… di fare catechismo
Un’utopia irrealizzabile nelle nostre aule di catechismo!
Perché un Dio che si è fatto piccolo e si è fatto Uomo per entrare nella nostra piccolezza umana, un Dio che ha preferito condividere tutto con noi, fuorchè il peccato… un Dio che si fa vicino …  ai nostri occhi diventa un Dio dalla logica perdente, un Dio povero, un Dio troppo umile … e questa sua umiltà fa schizzare in alto la superbia dell’uomo.
La nostra superbia è tale da fare della vicinanza misericordiosa di Dio… un’occasione di peccato!
L’irriverenza nel pronunciare il Nome di Dio supera ogni limite consentito, straripa nella volgarità, nella mondanità, nell’offesa, nel peggiore dei tradimenti.
È sconvolgente questa realtà!
Si arriva a sognare un catechismo come  quello di una scuola coranica , a desiderare quell’attenzione e quel silenzio quasi adorante di tanti bambini che sembrano riescano a cogliere, pur nella loro tenera età, quell’onnipotenza di un dio che sovrasta il mondo e le sue creature.
Ma, ovviamente, abbiamo già detto, questo non è il nostro Dio, il nostro Dio si fa chiamare Padre; il nostro Dio si fa chiamare Fratello, Amico, Sposo; il nostro Dio si siede accanto a noi, si siede di fronte a noi, ci tende la Mano e ci accompagna, ci guida, ‘’anche di notte’’ ci istruisce; il nostro Dio è un Maestro che ama, corregge, forma, plasma, interviene direttamente nella nostra vita, la raddrizza, le indica la strada giusta, perdona… abbraccia!
Sì, il nostro Dio non è un Dio che si fa guardare dal basso all’alto, che ci fa stare con il naso all’insù… il nostro Dio ci asciuga le lacrime e gioisce con noi, piange e soffre con noi, ci ama e ci chiama per nome, come fa un Padre con i suoi figli, come fa un Pastore con le sue pecorelle!
È bello il nostro Dio!
È bello questo, è molto bello!
Una bellezza, purtroppo, deturpata dalla volgarità del nostro linguaggio, dalla povertà dei nostri pensieri  e dalla miseria dei nostri sentimenti.
È doloroso questo! È molto doloroso!
Se da una parte, infatti, Lui si fa piccolo per incontrare noi, noi ci facciamo ‘’grandi’’ e ci innalziamo al di sopra di Lui e questo ci porta anche ad offenderlo, a sovrastarlo con la nostra superbia; questo fa sì che i bambini nella loro libertà di amare, facciano più fatica ad ascoltare la sua Parola, a comprenderne gli insegnamenti, a desiderare il Suo Amore,  a coglierne l’immensa portata del suo amarci.
Ma la bellezza della nostra fede sta anche nella libertà e nella possibilità del nostro rifiuto, della nostra indisciplina, della nostra reticenza, della nostra distrazione, del nostro chiasso.
Certo, un catechista soffre sempre quando, dopo aver impiegato tanto tempo per preparare la sua lezioncina, magari ha cercato giochi, testi che facilitino la comprensione del messaggio, preparato cartelloni o quant’altro per rendere più interessante e coinvolgente la lezione, si trova davanti un gruppo di bambini che ha voglia di fare tutto tranne quello di ascoltare o svolgere ciò che è stato preparato per quell’incontro!
La delusione per i risultati non raggiunti…  fa sentire forte tutto il suo peso e ti mette in crisi più del chiasso stesso dei bambini.
Ma il Signore non ha mai detto che seguirlo è facile, che avere a che fare con Lui è facile; ha detto che il suo giogo è dolce e leggero, ma ha anche detto che chi decide di seguirlo deve portare con sé la sua croce e seguirlo su quel Calvario che è la Meta dell’ Amore.
Ora, non voglio dire che fare il catechista sia  ‘’una croce così pesante e impossibile’’, vero è, però,  che a volte diventa così pesante da farsi impossibile ed allora… vien voglia di sedersi e abbandonare ogni cosa.
Ma c’è una sollecitudine che ti impedisce di sederti, c’è un movimento dentro che ti impedisce di abbandonare, c’è un anelito nel cuore che non ti lascia in pace, c’è un bisogno di camminare nonostante la salita, la fatica, lo scoraggiamento, la delusione, la stanchezza, tutto questo c’è… e non puoi non tenerne conto!
Ed allora… cosa succede a questo punto?
Succede che… al suonar della campanella – diciamo così –  all’inizio di ogni anno catechistico, ci si prende il proprio zaino sulle spalle e si riparte per la nuova avventura… che riserverà soprese, belle o brutte, novità da gestire, chiasso e confusione, corse ed urla, malumori e … tutta una serie di situazioni che si vorrebbero evitare… eppure quell’avventura cristiana ha un fascino al quale non puoi resistere… non riesci a dire il tuo no… non riesci a non dire… eccomi, ci sono!
Certo, è proprio  strana la nostra fede… quando credi di non poterne più, quando le tue forze vengono meno… allora una Forza nuova ti investe e tu, tra lo stupore e l’incredulità, riparti… passo passo, mano nella mano… una mano a Gesù e una a quei ‘’monelli’’ che scopri di non poter  non amare nella loro libertà di andare incontro al Signore, correndo, saltando, urlando… imparando ad amare!
Ed allora quell’ora si fa ‘’santa’’ davvero… la santità è fatta di libertà… si impara ad amare solo se si è liberi di amare, secondo i propri tempi, le proprie capacità, le proprie difficoltà… amare ed essere amati è un nostro bisogno… ma non è detto che sia facile, che sia semplice, che sia scontato… l’Amore è il traguardo… il cammino per quel traguardo è fatto di buche, di cadute, di salite, di scivoloni anche dolorosi, di fatica, di strade polverose  e sconosciute, di strade strette e di nottate buie… poi, camminando camminando, scopri che quelli che tu credevi fossero ostacoli al tuo cammino altro non sono che ‘’la misura alta della fede cristiana’’.
Il Signore ci invita a far festa con Lui, ma prima di giungere a quella festa bisogna conquistarsi l’abito adeguato, sostituire gli stracci della nostra miseria, con panni regali e adatti alla situazione… ecco… mentre cammini, arrancando per la stanchezza… scopri che ogni cosa cambia aspetto e dal buio dello scoraggiamento comincia a filtrare quel raggio di Luce che ti dice… dai… vai avanti… non sarà un’ora santa quella che ti aspetta, ma in quell’ora che credi ‘’devastata’’ … IO CI SONO!

E si ricomincia… a lode e gloria del suo Santo Nome!

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