
‘’L’ORA SANTA’’ DEL
CATECHISMO
Alla fine di ogni anno catechistico, presi dallo
scoraggiamento, spesso succede che buona parte dei catechisti dicano tra sé: ‘’Questa è l’ultima volta che faccio il catechismo,
non è possibile andare avanti così. Basta, ci rinuncio!’’.
Questa rinuncia interiore, (che per fortuna poche volte si
concretizza nella realtà) nasce dal fatto che l’ora del catechismo, molto
spesso, si trasforma in un’ora di combattimento corpo a corpo, al punto che non
si vede l’ora che finisca, si cerca di andare avanti guardando l’orologio e
dicendo a se stessi: resisti, mancano
solo 45 minuti… mancano solo trenta minuti… dai adesso sono solo 15 minuti… ecco
è quasi fatta… anche per questa volta è
andata!
Ecco, c’è un affanno e un’ansia che sicuramente non fanno
bene né ai bambini né al catechista.
Ai bambini,
perché se il clima è sereno il messaggio arriva nel modo giusto e con buon profitto, in caso
contrario ogni cosa è frammentario, con scarsa consapevolezza , tutt’al più
resta a livello di conoscenza, ma non scende giù nel cuore e se questo non
accade… vuol dire che qualcosa non è andata bene; Gesù non è un personaggio
storico da analizzare, la sua vita non consiste in un insieme di imprese da
memorizzare, ma è una Persona - viva - da incontrare, da conoscere per contatto
diretto, intimo, personale, confidenziale.
Questo
rapporto stretto e personale con Gesù lo si costruisce giorno per giorno e
passa per i vari momenti di partecipazione alla vita della Chiesa, non meno per
il catechismo che aiuta a salire quei gradini (mediante la preparazione ai
Sacramenti dell’iniziazione cristiana), che portano all’incontro con Gesù.

Questa
conoscenza, che passa per il cuore prima ancora che per la mente, richiede
tempi e modi adeguati, se il clima non è quello giusto… la piantina rischia o di non nascere proprio o di seccare subito dopo
essere nata o, se dovesse nascere, e non è ben supportata dalla fede avrà vita
dura in un terreno non fertile e non sufficientemente irrigato.
In un clima
di confusione e di continua distrazione… la Parola di Gesù fatica a farsi
sentire e a farsi accogliere per come è giusto che sia.
Quanto ai catechisti, naturalmente anche loro vivono male la loro esperienza di testimoni e di evangelizzatori,
due compiti che non sono certo una passeggiata, non è come bere un sorso di
acqua fresca; sono compiti che impegnano sul piano personale, su quello sociale
nonché su quello prettamente spirituale.
I catechisti sono testimoni prima ancora che evangelizzatori¸
ma si può anche dire che lo sono contemporaneamente, in quanto testimoniano il
Vangelo con la loro vita, con il loro mettersi a disposizione di una Persona
che li chiama personalmente e singolarmente, che li sceglie per un servizio
tanto delicato quanto complicato.
Un servizio fondamentale perché è l’inizio del cammino
cristiano, i primi passi verso l’abbraccio eterno di Dio; un cammino che non
sempre è facile avviare, né facile da accompagnare, né tanto meno facile da condurre
a termine.
A quanto pare… niente è facile nella Vigna del Signore!
Nessuno ha vita facile nella Vigna del Signore.
Certo, non sarà facile, ma ciò non toglie che si può essere
felici!
Essere testimoni, dicevo, significa mostrare con la vita, anche
in assenza di parole, la veridicità e l’importanza di ciò che si va a dire.
Significa prima di tutto parlare con i fatti, poi anche con
le parole per trasmettere quell’esperienza fondamentale che ha cambiato la
propria vita; solo in virtù di questa consapevolezza e di questa esperienza
straordinaria, si diventa catechisti, cioè coloro che, riconosciuta
l’importanza di quanto è successo nella propria vita, non possono trattenersi
dal farlo conoscere agli altri e
raccontargliela come un sogno realizzato che resta tutt’ora un sogno troppo
bello per essere vero… eppure lo è!
È vero… davvero!
Essere evangelizzatori significa istruire altri: sulla
pedagogia di Dio, sulla sua Presenza viva e reale fra noi, sul suo Amore misericordioso e infinito per noi… significa scoprire
e far comprendere il senso profondo della
vita e della morte, del dolore anche; significa dare loro l’opportunità di
crescere nella vita sociale, nei rapporti interpersonali, nella vita
spirituale;
significa offrire strumenti per la salvezza, per proteggersi
dal maligno, ma anche per proteggersi dalle insidie del mondo, dalle truffe,
dagli inganni spirituali che ci fanno deviare dalla retta vita, che ci illudono
sul senso della vita, che ci mettono, purtroppo troppo spesso e troppo
facilmente, contro Dio.
Se la nostra fede non
è salda sulla Roccia, se il nostro cammino
non è solido, se restano delle incertezze, delle falle, dei vuoti non colmati,
dei dubbi, dei chiarimenti non avuti, se ciò che si è ricevuto non è supportato
da una testimonianza autentica di vita cristiana, se fra il dire e il fare non
c’è corrispondenza, se il nostro credere è fatto solo di parole e non di
esperienze che danno senso e concretezza a quelle parole… allora qualcosa non
va e si rischia di mettere in pericolo anche coloro che si vanno a formare e ad
evangelizzare.
In pericolo come cristiani. E in pericolo come creature.
In pericolo perché se le nostre parole non si incarnano
nella realtà, cadranno nel vuoto, non costruiranno niente di buono né di solido
con il rischio che chiunque può proporci presunte verità e spacciarle per vere
e distorcere, in questo modo, la Verità Assoluta, portarci lontano da quella Verità che per il cristiano ha un
Nome preciso: Gesù!
Volendo sintetizzare chi è Gesù si potrebbe dire che: è una
Mano tesa verso le tante mani che chiedono aiuto.
La nostra fede è fatta dunque dell’incontro di due Mani: una Mano desiderosa di salvare e un’ altra mano
desiderosa di salvarsi.

Ecco la causa dello scoraggiamento: si tende la mano… ma
nessuno desidera afferrarla!
Ed allora si finisce
con il pensare che non serve a niente tendere la mano, perché tanto - si pensa - se a nessuno interessa afferrarla è una perdita di tempo, un impegno che non
vale la pena portare avanti, sacrificando magari altre cose, come la famiglia,
i rapporti interpersonali, i propri interessi…
È questa la difficoltà vera, ciò che più scoraggia i
catechisti (almeno la maggior parte di essi, infatti è un coro comune quello
che si alza dalle pagine di riviste cattoliche e siti religiosi): la
consapevolezza dell’enorme responsabilità che ci si porta dentro e l’impossibilità,
quasi, di vivere serenamente e nel modo giusto quell’ora ‘’santa’’.
L’ora di catechismo non è infatti un’ora qualunque, è
‘’un’ora santa’’, un’ora in cui ci si dispone ad incontrare Dio, la Sua Parola,
la Sua Verità, i suoi insegnamenti, è un incontro ravvicinato di terzo grado, è
un momento di comunione con Dio, di vicinanza con Lui e di condivisione della
propria vita con Lui; quasi un mettersi cuore a cuore e sentire l’uno il
palpito dell’atro; che si stia in chiesa o in un’aula non importa, il Signore è
dovunque, ci vede e ci ascolta dovunque noi siamo, per cui anche in mezzo ad un
campo, nell’ora di catechismo, Dio è con noi!
Quell’ora è un’ora santa, perché ci prepara alla santità.
E se si tende alla santità vuol dire che c’è una Grazia
operante.
E la Grazia va accolta, interiorizzata, trasformata in vita
da vivere, in un rapporto tanto intimo quanto personale e complesso.
Questo rapporto così speciale fa dell’ora di catechismo
un’ora speciale, un’ora santa appunto, perché ci dà i mezzi, l’opportunità di
essere santi, ci avvia, ci guida, ci istruisce sulle vie della santità.
È un’opportunità imperdibile e incredibile!
Purtroppo, come dicevo all’inizio, più che un’ora santa,
l’ora del catechismo può essere definita ‘‘un’ora devastata’’, mortificata, caotica, inconcludente,
direi spesso… fallimentare!
Lo scoraggiamento che spesso prende i catechisti nasce
propria da questa discordanza tra la percezione e la consapevolezza di ciò che
è veramente l’ora del catechismo e ciò che in realtà diventa: la distanza è
tanta, troppa!
Questo scoraggia,
delude, fa fuggire, mette in crisi.
Fortemente in crisi.
E non è questione di metodi, non è questione di sussidi o di
proposte di cammino… no, non è questo il punto!
Il punto sta a monte non a valle, la causa vera è un’altra e
sta da un’altra parte: è la svalorizzazione del Nome di Dio da parte di una
società scristianizzata.
Lo svuotamento, da parte della società, del Nome di Dio.

Bastano pochi minuti di conversazione con chiunque, giovane
o meno giovane che sia, uomo o donna che sia che, immediatamente, parte la
bestemmia, l’offesa, la maledizione o quell’intercalare continuo dei nomi di
Dio, dei santi o della Madonna che rende quella conversazione quasi blasfema.
I bambini ascoltano, osservano, imparano… ed imparano che il
Nome di Dio vale molto meno del nome di
un calciatore che – guai a offenderlo - o a nominarlo in maniera irriverente, nel
parlare di lui il sorriso si allarga e la mente esulta per l’impresa eccezionale
di saper calciare un pallone dentro una rete.
Il Nome di Dio lo si usa, invece, quando ci si arrabbia,
quando non ci piace come vanno le cose, quando siamo delusi, ma non per
invocarlo e chiedergli aiuto e soccorso, semplicemente per scaricare su di Lui la
nostra rabbia, per gridargli il nostro disappunto, per prendercela con Lui per
il latte versato.
Per il semplice latte versato!
Molto spesso, la bestemmia non ha nemmeno una causa precisa…
parte e basta… senza motivo, anche in assenza di rabbia, di motivi concreti, di
situazioni di vero disagio… si bestemmia per abitudine, si bestemmia in maniera
meccanica, automatica… tant’è la durezza del cuore da non sapersi più nemmeno
ascoltare e da non riuscire più nemmeno a decidere quel che si dice…si apre la
bocca e il Nome di Dio è il capro espiatorio di ogni cosa… fosse anche di una
banalissima battuta!
È terribile!
I nostri bambini vivono queste situazioni familiari e
sociali, assorbono questo linguaggio, lo fanno proprio, lo interiorizzano e se
ne convincono.
Ovviamente, quello della bestemmia è solo uno dei tanti comportamenti
perversi del nostro essere cristiani… bisognerebbe parlare di quello che si crede e
si pensa dell’andare a messa, del partecipare all’adorazione quotidiana, del
rispettare il digiuno anche solo nei giorni comandati, del fare un ‘’fioretto’’
da offrire per una richiesta di aiuto; non parliamo delle tante prese in giro
nei confronti dei ragazzi o delle
ragazze che decidono di frequentare la vita della chiesa più da vicino o di far
parte di un gruppo o di un’associazione… l’ elenco è tanto lungo quanto
doloroso!
Difficile diventa, a questo punto, scardinare il Nome di Dio
da questo stato di cose e ridargli il giusto valore, il giusto spazio, il
giusto ruolo!
Difficile perché ciò che viene fatto o almeno che si cerca
di fare al catechismo viene annullato dal ritorno a casa, e se non è nella
propria casa… lo è sicuramente nell’ambiente sociale in cui si è immersi.
Molti bambini conoscono il Nome di Dio solo per averlo
sentito nelle bestemmie!
E non c’è bisogno di commentare altro…

Sto esagerando?
Vi faccio qualche esempio…
Molti bambini credono che l’Ostia che si riceve nel fare la
Comunione sia una ‘’patatina’’.
Altri pensano che Gesù sia un Uomo ricco perché alla nascita
ha ricevuto oro, argento e mirra… anzi… birra e non mirra, per cui è anche un
ubriacone!
Qualcuno è arrivato anche a dire … di aver paura del prete perché
è un VAMPIRO!
Alla domanda di chiarimento di questa convinzione, il
bambino risponde: perché beve il Sangue
di Cristo! Io non voglio farlo mai, perché non voglio diventare un vampiro come
lui!
E non sono certo convinzioni di bambini di tre anni, ma di
bambini che hanno già fatto esperienza di catechismo.
Non c’è bisogno di aggiungere altro… voglio invece riportare
un’esperienza che mi ha fatto riflettere molto…
sul nostro essere cristiani.
Qualche tempo fa, mi è capitato si seguire una trasmissione
su TV2000, dove fanno spesso programmi di natura religiosa, si trattava di un
documentario che metteva a confronto una lezione di catechismo cristiano con una di insegnamento coranico.

Verrebbe da dire: certo, sono
bambini, che cosa gli si può chiedere? Occorre prendere quello che è possibile,
senza aspettarsi niente, lasciandoli liberi di maturare piano piano!
Sono le nostre giustificazioni occidentali!!! Ma… lasciamo
stare…
Nella controparte, le cose, invece, andavano molto
diversamente: i bambini avevano la stessa età di quelli della scuola cristiana,
più o meno 6 -7 anni; nell’entrare salutavano il loro catechista e poi, con molta delicatezza e riverenza, si sedevano per terra incrociando le gambe e,
nel più completo silenzio, con gli sguardi rivolti all’educatore ascoltavano con attenzione quanto diceva loro.
E che cosa diceva?
Diceva che nella loro
religione non si poteva pronunciare il nome di Dio senza rispetto e senza
anteporre a quel nome una serie di aggettivi che ne definivano il valore e la
grandezza; al nome di Allah, dovevano anteporre: l’altissimo, il divinissimo,
il santissimo… Allah.
Guai a pronunciare quel nome senza quelle serie di attributi,
perché diventava un’offesa al loro dio e una mancanza di rispetto per la sua sovrannaturalità, per il suo essere al di
sopra di tutto e di tutti.
I bambini restavano quasi incantati da tanta sublimità, i
loro occhi erano stupiti e i loro sguardi sbalorditi per l’immensità di quel
dio che veniva loro presentato.
Ora, è vero che parliamo di due culture molto diverse, di
due ‘’divinità’’ molto diverse: Allah è un dio altissimo ma lontanissimo, al di
sopra del mondo, intangibile, quasi innominabile, irraggiungibile, lontano
dalla vita terrena e dalle sue preoccupazioni, un dio che siede in alto nei
cieli, che guarda il mondo dall’alto al basso, con distanza, con distacco.
Un dio che ha detto a suo tempo tutto ciò che aveva da dire,
che resta in silenzio oggi ed assiste alle
vicende umane restando immobile ed imperturbabile dall’alto dei cieli.
Il nostro Dio, invece, ha annullato ogni distanza con la sua
incarnazione, ha reso intimo ogni rapporto con il suo morire sulla Croce per
salvare noi, ha reso grande ogni credente con il suo risorgere dalla morte ed
ascendere ai Cieli per preparare il posto ad ognuno di noi.
Il nostro, dicevo
all’inizio, è un Dio che si fa vicino, che si è fatto Uomo per restare
con noi per sempre, con noi oggi qui, su questa terra, presente ed operante in
mezzo a noi. Non ci scruta dall’alto dei Cieli, ma si fa nostro compagno di
viaggio e cammina accanto a noi, davanti a noi, combatte per noi, ci illumina
il cammino, ci spiana la via, abbatte le montagne che ci impediscono il cammino,
costruisce ponti, appiana colline, apre strade in mezzo al deserto e in mezzo
al mare.
Il Nostro è il
Dio-con-noi, l’Emanuele, il Dio fattosi Uomo e venuto ad abitare in mezzo a
noi.
Questa differenza è sostanziale, ma è anche sostanziale
l’approccio e il comportamento dei due gruppi di bambini: Allah sarà anche un
dio lontano, ma è un dio che non si può nominare invano, in maniera irriverente
e con leggerezza, né è possibile utilizzare il suo nome per le imprecazioni.
Non sia mai!
È un dio che viene onorato e reso potente dalla puntualità,
precisione e profondità della preghiera, dal modo sacrosanto con cui viene
pronunciato il suo nome, dall’attenzione totale con cui si ascoltano le sue
parole. È stato impressionante vedere con quanta delicatezza, quanto silenzio,
quanta attenzione, quanto interesse c’ erano in quegli sguardi di bimbi, a cui
nessuno diceva di stare fermi e zitti, ma che semplicemente e liberamente si
sono messi intorno al loro maestro ed hanno ascoltato, ascoltato attentamente.
Un sogno per noi catechisti cristiani, che abbiamo la
fortuna di avere un Dio vicino e la sfortuna di avere i fedeli lontani.
Più il nostro Dio cerca di venirci incontro e di entrare in
un rapporto di confidenzialità con noi, più noi lo banalizziamo, lo riduciamo
in polvere, lo svuotiamo di ogni cosa; è la qualità del nostro rapporto che fa
acqua da tutte le parti e fa la
differenza fra noi e i musulmani.
Per noi cristiani, la santità di Dio vale meno dell’acqua
fresca … non così, non così per i musulmani, non così per loro, per loro che
pregano cinque volte al giorno, che si svegliano alle due di ogni notte per un’intera
ora di preghiera e poi tornano a dormire… se ci riescono; noi facciamo una notte bianca una volta all’anno… e ci pesa
da morire e già ci sembra un’esagerazione esasperante da parte del parroco di
turno!
Due esperienze, dunque, con lo stesso obiettivo: nell’aula del catechismo cristiano si ride, si
canta e si salta, si chiede mille volte di andare al bagno, si consulta l’orologio ogni secondo per sapere quanto
manca all’uscita, non si vede l’ora di uscire per andare al corso di… calcio,
musica, ballo, piscina…; nell’altra, invece, si resta immersi in un clima quasi di
contemplazione che sembra essere pieno di quella consapevolezza profonda della
grandezza delle cose di Dio.
Si arriva quasi a
provare invidia per un simile modo di fare catechismo!
L’invidia per quel modo bello, tranquillo, santo… di fare catechismo
Un’utopia irrealizzabile nelle nostre aule di catechismo!
Perché un Dio che si è fatto piccolo e si è fatto Uomo per
entrare nella nostra piccolezza umana, un Dio che ha preferito condividere
tutto con noi, fuorchè il peccato… un Dio che si fa vicino … ai nostri occhi diventa un Dio dalla logica
perdente, un Dio povero, un Dio troppo umile … e questa sua umiltà fa schizzare
in alto la superbia dell’uomo.
La nostra superbia è tale da fare della vicinanza misericordiosa
di Dio… un’occasione di peccato!
L’irriverenza nel pronunciare il Nome di Dio supera ogni
limite consentito, straripa nella volgarità, nella mondanità, nell’offesa, nel
peggiore dei tradimenti.
È sconvolgente questa realtà!

Ma, ovviamente, abbiamo già detto, questo non è il nostro
Dio, il nostro Dio si fa chiamare Padre; il nostro Dio si fa chiamare Fratello,
Amico, Sposo; il nostro Dio si siede accanto a noi, si siede di fronte a noi,
ci tende la Mano e ci accompagna, ci guida, ‘’anche di notte’’ ci istruisce; il
nostro Dio è un Maestro che ama, corregge, forma, plasma, interviene
direttamente nella nostra vita, la raddrizza, le indica la strada giusta,
perdona… abbraccia!
Sì, il nostro Dio non è un Dio che si fa guardare dal basso
all’alto, che ci fa stare con il naso all’insù… il nostro Dio ci asciuga le
lacrime e gioisce con noi, piange e soffre con noi, ci ama e ci chiama per
nome, come fa un Padre con i suoi figli, come fa un Pastore con le sue
pecorelle!
È bello il nostro Dio!
È bello questo, è molto bello!
Una bellezza, purtroppo, deturpata dalla volgarità del
nostro linguaggio, dalla povertà dei nostri pensieri e dalla miseria dei nostri sentimenti.
È doloroso questo! È molto doloroso!
Se da una parte, infatti, Lui si fa piccolo per incontrare
noi, noi ci facciamo ‘’grandi’’ e ci innalziamo al di sopra di Lui e questo ci
porta anche ad offenderlo, a sovrastarlo con la nostra superbia; questo fa sì
che i bambini nella loro libertà di amare, facciano più fatica ad ascoltare la
sua Parola, a comprenderne gli insegnamenti, a desiderare il Suo Amore, a coglierne l’immensa portata del suo amarci.

Certo, un catechista soffre sempre quando, dopo aver
impiegato tanto tempo per preparare la sua lezioncina, magari ha cercato
giochi, testi che facilitino la comprensione del messaggio, preparato
cartelloni o quant’altro per rendere più interessante e coinvolgente la lezione,
si trova davanti un gruppo di bambini che ha voglia di fare tutto tranne quello
di ascoltare o svolgere ciò che è stato preparato per quell’incontro!
La delusione per i risultati non raggiunti… fa sentire forte tutto il suo peso e ti mette
in crisi più del chiasso stesso dei bambini.
Ma il Signore non ha mai detto che seguirlo è facile, che
avere a che fare con Lui è facile; ha detto che il suo giogo è dolce e leggero,
ma ha anche detto che chi decide di seguirlo deve portare con sé la sua croce e
seguirlo su quel Calvario che è la Meta dell’ Amore.
Ora, non voglio dire che fare il catechista sia ‘’una croce così pesante e impossibile’’, vero
è, però, che a volte diventa così
pesante da farsi impossibile ed allora… vien voglia di sedersi e abbandonare
ogni cosa.
Ma c’è una sollecitudine che ti impedisce di sederti, c’è un
movimento dentro che ti impedisce di abbandonare, c’è un anelito nel cuore che
non ti lascia in pace, c’è un bisogno di camminare nonostante la salita, la
fatica, lo scoraggiamento, la delusione, la stanchezza, tutto questo c’è… e non
puoi non tenerne conto!
Ed allora… cosa succede a questo punto?

Certo, è proprio strana la nostra fede… quando credi di non
poterne più, quando le tue forze vengono meno… allora una Forza nuova ti
investe e tu, tra lo stupore e l’incredulità, riparti… passo passo, mano nella
mano… una mano a Gesù e una a quei ‘’monelli’’ che scopri di non poter non amare nella loro libertà di andare
incontro al Signore, correndo, saltando, urlando… imparando ad amare!
Ed allora quell’ora si fa ‘’santa’’ davvero… la santità è
fatta di libertà… si impara ad amare solo se si è liberi di amare, secondo i
propri tempi, le proprie capacità, le proprie difficoltà… amare ed essere amati
è un nostro bisogno… ma non è detto che sia facile, che sia semplice, che sia
scontato… l’Amore è il traguardo… il cammino per quel traguardo è fatto di
buche, di cadute, di salite, di scivoloni anche dolorosi, di fatica, di strade
polverose e sconosciute, di strade
strette e di nottate buie… poi, camminando camminando, scopri che quelli che tu
credevi fossero ostacoli al tuo cammino altro non sono che ‘’la misura alta
della fede cristiana’’.
Il Signore ci invita a far festa con Lui, ma prima di
giungere a quella festa bisogna conquistarsi l’abito adeguato, sostituire gli
stracci della nostra miseria, con panni regali e adatti alla situazione… ecco…
mentre cammini, arrancando per la stanchezza… scopri che ogni cosa cambia
aspetto e dal buio dello scoraggiamento comincia a filtrare quel raggio di Luce
che ti dice… dai… vai avanti… non sarà un’ora santa quella che ti aspetta, ma
in quell’ora che credi ‘’devastata’’ … IO CI SONO!
E si ricomincia… a lode e gloria del suo Santo Nome!
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